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Più leadership femminile, e le relazioni internazionali cambieranno

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Il politologo di Princeton John Ikenberry interviene al Festival della Diplomazia: “Per gestire il nuovo Medio Oriente avremo bisogno di più liberalismo, l’ordine attuale non è solo americano, è facile entrarci ma difficile uscirci»

«Quando il mondo sarà meno americano sarà anche meno liberale?» È questa la domanda che John Ikenberry, docente di politica e affari internazionali alla Princeton University si fa rivolgendosi agli studenti di Scienze politiche di Roma Tre. «Il mondo sembra frantumarsi, le forze dell’ordine contro le forze del disordine, stiamo assistendo a una transizione di poteri, abbiamo vissuto 60 anni in questo sistema liberale, il declino degli Stati Uniti è inevitabile», continua Ikenberry descrivendo lo scenario internazionale, l’emergere di potenze come la Cina, la Russia, e di crisi come quelle in Medio Oriente o quelle sanitarie come l’Ebola. 

 

Ma in questo scenario ci sono delle buone notizie, continua il professore, invitato a parlare nell’ambito del Festival della diplomazia: «Avremo bisogno di più liberalismo, l’ordine attuale non è solo americano, è profondo, istituzionalizzato, è facile entrarci ma difficile uscirci». E cita il caso del Wto di cui anche la Cina fa parte traendo così vantaggi dall’apertura dei mercati, quella stessa Cina che in cinque anni, ricorda Ikenberry diventerà la prima economia del mondo per dimensione (anche se rimarrà indietro per produttività e tecnologia) e che aumenta del 12% l’anno le spese militari. 

 

Terminata la lezione affrontiamo il tema del rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne, se hanno un peso nello scacchiere internazionale. Sono recenti i casi di una donna iraniana giustiziata dal governo perché ha ucciso l’uomo che tentava di violentarla, le violenze compiute dall’Isis o ancora il rapimento di studentesse da parte di Boko Haram in Nigeria. La comunità internazionale non sembra riuscire a contrastare queste pesanti violazioni umanitarie. «Con l’emergere di Paesi non occidentali sullo scacchiere internazionale il rispetto dei diritti umani diventerà meno importante, perché questi nuovi Paesi sono scettici degli accordi internazionali che sono stati firmati sul tema. Quindi, noi, gli stati che si fanno portatori della loro protezione dovremo fare di più». Quello che è certo, però è che «a livello internazionale non stiamo facendo abbastanza per la protezione dei diritti delle donne, ma la mobilitazione per quello che è successo in Iran o per le ragazze rapite da Boko Haram è stata molto forte, e questo è un elemento positivo».  

 

Si potrebbe fare di più, è la convinzione di parte della diplomazia occidentale, «c’è una visione crescente e condivisa sul fatto, ad esempio, che molti cambiamenti in Medio Oriente potrebbero arrivare dall’educazione delle ragazze. Non è solo una questione di diritti umani, ma di sviluppo economico e di sicurezza nel lungo periodo. Questa è una coalizione di interessi straordinaria, e non vuol dire che non potranno esserci interventi esterni per salvare le vite di singole persone». 

 

La discussione a questo punto non può che cadere sulla leadership femminile in politica estera. L’Italia dopo Emma Bonino e Federica Mogherini avrà molto probabilmente e per la terza volta di fila un ministro donna, un elemento che può portare al cambiamento: «Fa la differenza avere una maggiore presenza femminile in politica estera perché siamo in grado di trovare persone più capaci, pescando in un più grande bacino di talenti, prima non era così. Se le donne agiscono poi diversamente è un dibattito ancora aperto, ci sono elementi contraddittori. Certo, se Hillary Clinton non fosse stata Segretario di Stato non ci sarebbe stata attenzione a temi quali lo sviluppo, i diritti delle donne, e l’inclusione di questi problemi nel Quadriennal diplomacy and development review». È lo strumento scelto dalla Clinton per tracciare le linee strategiche dell’impegno diplomatico statunitense, integrando progetti di sviluppo e relazioni diplomatiche, e sostituisce il precedente piano annuale con una pianificazione ogni quattro anni.  

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