Change.org, il potere delle petizioni: "Il click è solo l'inizio, i cittadini stanno cambiando le regole"
I numeri di Change.org nei suoi 9 anni di vita indicano le dimensioni di un fenomeno in crescita: quasi 96 milioni di iscritti alla piattaforma in 196 paesi, con sedi in venti paesi; in Italia gli iscritti sono 3,3 milioni, con 25mila petizioni lanciate di cui 9000 sono attualmente aperte alle firme sul sito. Oltre un milione di petizioni avviate finora a livello globale, di cui 10mila hanno raggiunto l'obiettivo, trenta solo in Italia dall'inizio del 2015. Molte riguardano i diritti delle donne, dalla campagna contro gli attacchi con l'acido in India a quella contro gli "stupri correttivi" contro le donne omosessuali in Sudafrica, molte il diritto alla salute - come la campagna di Salvatore Usala, malato di Sla, che con la mobilitazione raccolta intorno alla sua petizione ha contribuito allo stanziamento di fondi da parte del governo italiano.
Ben Rattray al Festival Internazionale di Giornalismo
A Ben Rattray abbiamo chiesto come è nato e come funziona il suo "social del cambiamento dal basso". Il primo passo, racconta, è stata un'esperienza molto personale, che lo ha convinto ad abbandonare il sogno di andare a lavorare nel mondo della finanza a Wall Street per imboccare un percorso di impegno sociale, coniugato con l'imprenditoria."Il primo momento rivelatore per me fu una conversazione inaspettata con mio fratello che mi rivelò di essere gay, parlandomi di come fosse difficile vivere apertamente questa condizione di fronte a persone che ti isolano o ignorano queste difficoltà. Capii che parlava di me. E per la prima volta mi sono vergognato non di qualcosa che avevo fatto ma di qualcosa che non avevo fatto, dichiarare la mia solidarietà e impegnarmi perché le cose cambiassero. Ma il momento che davvero cambiò la mia prospettiva e mi ha fatto decidere di utilizzare la tecnologia per creare una piattaforma per il cambiamento è stato la prima volta che mi sono loggato a Facebook, nel 2005. Inizialmente c'era questo senso di frustrazione perché le persone non riuscivano a farsi sentire dai loro governi, ma poi mi sono reso conto che quella tecnologia avrebbe permesso alle persone di superare le barriere che storicamente gli avevano impedito di avviare dei movimenti sociali".
Come avviene la certificazione di una B corporation?"Ci sono diversi indici su cui si viene valutati da organismi pubblici, tra cui governance, trasparenza, sostenibilità, relazioni aziendali. E il fatto che le valutazioni vengano rinnovate nel tempo ci rende responsabili nel mantenimento dei nostri standard".
Come viene finanziata?"Abbiamo deciso fin dall'inizio di non avvalerci del finanziamento di capitali di rischio, come fanno tradizionalmente le start up della Silicon Valley. Abbiamo invece puntato su investitori che avessero un progetto di cambiamento sociale a lungo termine. Uno di loro è stato Pierre Omidyar (fondatore di Ebay e dal 2013 imprenditore dell'informazione con la piattaforma First Look Media, che ha tra l'altro lanciato il sito di informazione investigativa di Greenwald The Intercept, ndr), poi uno dei fondatori di Twitter, e Yahoo. Il tipo di persone che riconosce il potenziale della tecnologia per il cambiamento sociale e non solo per raccogliere fans, foto, giochi o video. Non ci sono molte organizzazioni che si sono posizionate in questo segmento con la nostra stessa rilevanza a livello globale, e ci siamo riusciti in parte per fortuna ma anche buone scelte esecutive e strategiche."
Come siete distribuiti e organizzati internazionalmente?"Nel 2012 abbiamo deciso di espanderci fuori dagli Usa e in sei mesi ci siamo stabiliti in 18 Paesi, grazie a imprenditori locali che condividono la nostra missione. Change. org funziona meglio nei Paesi in cui più sistematica è la frustrazione delle persone nella capacità di ascolto dei loro governi. Ad esempio in Spagna, in Italia, in parte in Francia, sta andando bene in Gran Bretagna. Ma è interessante vedere la risposta in Paesi come India, Brasile, Argentina, Indonesia: il desiderio di cambiamento non è prettamente occidentale ma universale".
Ma in Paesi dove la libertà di espressione è più limitata come si traduce l'azione di una petizione?"E' sorprendente come le persone riescano a far sentire la propria voce in luoghi dove i cittadini tradizionalmente non hanno impatto sulle scelte del governo. La Russia è un esempio. E questo perché le nostre petizioni non necessariamente hanno impatto nazionale. Ci sono altre piattaforme, come Twitter, che vengono usate per le rivoluzioni in tempo reale. Change.org serve invece all'evoluzione del quotidiano. Molte petizioni non riguardano grandi questioni nazionali di massa, ma mobilitano masse di persone per cause specifiche. Non si sfidano i governi ma si tenta di cambiare situazioni che colpiscono le persone localmente, e quindi si riesce ad avere un impatto anche in Paesi dove i regimi non rispettano la libertà di espressione".
Ci può fare qualche esempio di campagne di successo a diversi livelli? Ma anche, come si misura il successo secondo voi?"Ad esempio c'è stata questa campagna per un blogger iraniano che era stato incarcerato per dei post su Facebook considerati offensivi per Maometto, e una donna iraniana dall'Italia ha lanciato una petizione per la sua liberazione. E la condanna internazionale generata dalla campagna è stata più potente di quanto un movimento interno sarebbe riuscito a realizzare. La stessa cosa è accaduta in Sudafrica con la petizione sugli "stupri collettivi" delle donne omosessuali, puniti dopo che la questione aveva avuto risonanza all'estero grazie a una petizione. E così in Arabia Saudita con le petizioni per il diritto delle donne a guidare. Alcune delle donne che sfidarono il divieto finirono in prigione e per il loro rilascio venne lanciata una petizione al re che però non se ne curò affatto. In questo caso la petizione è stata rivolta al politico internazionale che avrebbe avuto più influenza sul governo saudita: l'allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton. Per lei la situazione era delicata, dal punto di vista diplomatico. Dopo le prime diecimila firme i media cominciarono a chiederle cosa ne pensasse, e lei disse che ne avrebbe parlato privatamente con i sauditi. E poi arrivarono altre diecimila firme e i giornalisti della Casa Bianca cominciarono a parlarne, e alla fine lei stessa si impegnò in prima persona perché questa politica fosse cambiata".
Qual è il ruolo delle celebrities nelle petizioni di Change. org?"In realtà non sono loro a dare visibilità alle petizioni, di solito ci si accodano quando le petizioni decollano e le amplificano. Il coinvolgimento delle personalità famose in campagne sui social media è un fenomeno diffuso, ma non sono mai loro a dare il via".
Qui al Festival di Perugia per la prima volta abbiamo sentito rappresentanti anche dei media americani cominciare a parlare della necessità degli organi di informazione di farsi agenti del cambiamento sociale in modo attivo. Il Guardian ad esempio con la campagna di disinvestimento nelle compagnie petrolifere che producono combustibili fossili, allo scopo di combattere i cambiamenti climatici. Ha notato questo cambiamento? A cosa lo attribuisce?"Per i media il problema è intercettare e ampliare sempre nuovi segmenti di pubblico, di fronte alla realtà che produrre informazione non è più sufficiente perché ce n'è in sovrabbondanza. Quindi ora il problema di business model è come differenziarsi dagli altri. Una delle opportunità adesso è essere di ispirazione per i leader nel cambiamento. I media hanno il potere, la diffusione, l'influenza, il rispetto necessari per essere forze di cambiamento - una forza che i cittadini o le ong non hanno. A volte sono storie riportate dai giornali a far partire le campagne e le petizioni. Ma in ogni caso se non lo fanno i media tradizionali saranno i nuovi media a occupare questo spazio".
Change. org dice di essere neutrale rispetto alle diverse petizioni ma è un fatto che segnalate ai media alcune petizioni invece di altre. Quindi una selezione avviene.."Invece di sostenere alcune campagne piuttosto che altre noi serviamo le persone che utilizzano la piattaforma segnalando ai media le cause che pensiamo possano destare il loro interesse. Abbiamo un ruolo di intermediari più che di avvocati, perché i media ci riconoscono come interlocutori. A prescindere dal contenuto delle campagne il problema maggiore per la gente comune è avere gli strumenti e l'organizzazione per far passare il proprio messaggio".
Ma in questo modo voi esprimete comunque delle valutazioni di merito"Noi cerchiamo sempre di non imporre un'agenda, specialmente sulle questioni più controverse e divisive".
Una delle critiche maggiori all'attivismo online è che si tratti solo di "clicktivsim", un modo rapido per mettere in pace le coscienze con click e non porta le persone a impegnarsi in prima persona. Come risponde?"E' una critica che capisco e che storicamente si è basata sull'inefficacia di queste campagne. Una petizione che chieda la fine della fame nel mondo al segretario generale dell'Onu ovviamente non avrà esiti, mentre quello che sta cambiando sono le piattaforme e le strategie che i cittadini usano adesso: campagne locali, su questioni molto specifiche con risultati plausibili. E' importante che i cittadini nel mondo sappiano che queste potenzialità ci sono, ed educarli a come usare gli strumenti, e dare ai media delle storie di individui eccezionali che aiutino a gettare luce su questioni generali di pubblico interesse".
Il problema però spesso è che dopo il click le persone non si sentono più responsabili di quel che accade..."No, la nostra esperienza - e quello che anche gli investitori possono vedere - è esattamente il contrario. Firmare la petizione è l'inizio e non la fine dell'esperienza. E' un meccanismo per coinvolgere le persone e non per esaurirne le energie sociali. Guardate ad esempio la campagna elettorale di Obama del 2008: c'è un motivo per cui hanno deciso di avviare un'enorme piattaforma di membership con petizioni e richieste dei cittadini. Questo gli ha permesso di raccogliere due milioni di donatori in più di quelli che avevano prima, di ampliare la base dei volontari. La firma della petizione non è un incidente, è un primo passo per altre azioni".
Ci sono petizioni che aiutano anche a raccogliere finanziamenti?"Alcuni avviano petizioni in modo strategico, in contemporanea con raccolte di fondi e utilizzano una base di mobilitazione anche per aggregare in modo più attivo. Questo accade a vari livelli: ad esempio nel caso della campagna #bringbackourgirls per il rilascio delle studentesse nigeriane rapite da Boko Haram le critiche sono state forti e anche sensate, perché le ragazze non sono state liberate e i media hanno un po' abbandonato il tema. Ma quel che è accaduto è che la base delle persone raccolta intorno a quella causa è stata identificata e ora sappiamo che c'è un milione di nomi a cui inviare notizie su Boko Haram perché hanno mostrato interesse. E questo è un patrimonio importantissimo anche per i media: sapere che attraverso Change. org possono accedere a segmenti di pubblico interessati a specifici argomenti a cui possono indirizzare informazione specializzata".