COP25: I popoli indigeni esigono più partecipazione
9 Dic 2019
Tema cruciale del dibattito ambientale in corso alla conferenza sul clima COP25 è il coinvolgimento delle popolazioni native nei processi decisionali. Oggi infatti le decisioni dei popoli indigeni non sono vincolanti e valgono molto meno di quelle dei Governi e delle grandi compagnie.
Un tema di cui si è già sentito parlare durante il primo giorno della COP25 (Conferenza dell’ONU sul Cambiamento Climatico, che si svolge a Madrid dal 2 al 13 dicembre) è la partecipazione dei popoli indigeni agli iter decisionali dei governi in materia di protezione delle risorse del Pianeta.
Durante il side event “Azione climatica globale: diritti indigeni, territorio e risorse”, i rappresentanti delle organizzazioni indigene di diversi Paesi dell’America del Sud hanno segnalato che “i popoli indigeni dell’Amazzonia affrontano da molti anni la deforestazione, la persecuzione e l’assassinio di lider indigeni che cercano di proteggere i loro territori”. Le violazioni dei diritti umani e la distruzione degli ecosistemi che costituiscono il polmone del Pianeta non devono più essere visti come un problema dell’Amazzonia, ma come ciò che sono: un problema di livello mondiale.
Organismi come la Coordinazione delle Organizzazioni Indigene della Conca Amazzonica (COICA) lavorano difendendo i territori, i diritti e creando protocolli di consulta che diano valore alle conoscenze fondamentali dei popoli indigeni con lo scopo di mitigare il cambiamento climatico. Tuttavia, quando cercano di attuare cambiamenti difronte alle politiche reazionarie di Governi come quelli di Colombia, Ecuador e Perù, si scontrano con una risposta negativa proprio da parte dei loro Paesi.
Gli interessi economici, insieme con elementi esterni come i megaprogetti, le concessioni energetiche e le invasioni violente dei territori indigeni, trovano il supporto del governo, il quale permette la distruzione delle terre e la contaminazione dei fiumi. Tra le altre cose, ciò provoca nuove malattie in donne e bambini, nei cui organismi si sono trovate tracce di mercurio – per esempio.
Grazie alla cosmovisione indigena, che è capace di interpretare e intervenire sui campi inquinati in modo integrale (unendo il clima, il consumo e le relazioni umane), le comunità indigene stanno proteggendo la terra da migliaia di anni. Ora, sviluppano agende ambientali per stabilire politiche e programmi che difendano i diritti della terra e della gente che la abita.
Nonostante si esigano protocolli come la consulta previa, istituita in sei dei nove Paesi membri della COICA, questo meccanismo è un mero formalismo poiché in realtà i progetti delle multinazionali anticipano a questa consulta, che permetterebbe di conoscere e rendere vincolanti le decisioni dei popoli indigeni amazzonici con le loro visioni di sviluppo.
Oggi non esiste la volontà politica di proteggere l’Amazzonia. Per questo, organizzazioni come Climate Change si impegnano insieme ai popoli indigeni per esigere nuovi protocolli di consulta che raccolgano davvero le iniziative dei popoli originari. Ci deve essere una via per consegnare le decisioni dei popoli originari ai governi. Tutti gli sforzi delle comunità amazzoniche non saranno inutili, se non si intraprendono azioni legali congiunti e si cede loro, in modo legale, la proprietà di quei territori.
È necessario sviluppare un metodo di consulta effettiva, che ascolti i popoli indigeni. Così come è necessario istituire un tavolo dove gli indigeni possano portare avanti politiche di cambiamento, alle quali hanno lavorato a livello globale. Non è possibile attuare piani su territori senza considerare chi in quei territori vive.
Ana Nieves, Fundación Por Causa in collaborazione con l’Agenzia di Stampa GiovanileTraduzione: Carlotta Zaccarelli