Cartabia prima donna presidente della Consulta: è vera vittoria? - micromega-online
Che nel 2019 finalmente una donna sieda al vertice dell'Alta Corte sembrerebbe una buona notizia. Ma chi è colei che ha rotto il soffitto di cristallo? Con un forte profilo cattolico conservatore, saprà la nuova presidente farsi davvero garante dei diritti tutelati dalla nostra Costituzione, a partire da quelli delle donne?
di Maria Concetta Tringali
di Marta Cartabia avevamo già sentito parlare l’estate scorsa. Era la fine del mese di agosto quando, a crisi di governo appena iniziata, il suo nome circolava con una certa insistenza tra quelli dei candidati alla premiership del Paese.
MicroMega aveva provato a farne un ritratto. Indubbia la sua competenza, docente universitaria in diritto costituzionale, giudice dell’organo preposto a vagliare la legittimità delle leggi dal 2011, vicepresidente da circa un quinquennio. Un mandato breve quello che è appena iniziato e che comunque scadrà nel settembre del 2020.Le reazioni alla nomina di Marta Cartabia sono di compiacimento, unanime; così come unanime è stata la votazione che l’ha eletta allo scranno più alto della Consulta: 14 sì e un’unica scheda bianca, la sua. Sabino Cassese dalle pagine del Corriere della Sera ne elogia la preparazione, mentre confida nella sua guida: “pronta a comprendere su quali strade si incammini il mondo”. In quanto donna, l’attesa è quindi che tracci la strada “indicandoci così quanti passi ancora vadano fatti per giungere a un’effettiva parità”. L’aula del Senato – alla cui guida c’è Elisabetta Casellati che invece in più di un’occasione ha ricordato di tenerci a essere declinata al maschile – applaude alla notizia, una standing ovation.
Che una donna abbia conquistato un’altra posizione di vertice è un fatto che apre a mille considerazioni. Tanto più in un Paese come il nostro che, quanto a parità, è in ritardo cronico. In Italia il diritto di voto è stato esteso appena settantaquattro anni fa alle donne e lo stupro è passato da delitto contro la morale pubblica a delitto contro la persona solo nel 1996. Quella dei giorni scorsi è dunque, e per certi versi, sicuramente una conquista. Ma è anche una buona notizia? C’è di che gioire, insomma? Sono domande legittime ed è forse utile, su tutto, provare a capire se sia il caso di andare oltre la retorica.
Che la nuova presidente della Corte sia una giurista cattolica, è innegabile. La si può inquadrare all’interno della frangia più conservatrice di quell’ala, se solo si richiamano le sue stesse prese di posizione su temi di confine quali diritti umani, nuovi diritti ed eutanasia.
Di Marta Cartabia possiamo sapere molto dai suoi lavori, testi e scritti tecnici ma anche contributi di più ampio respiro. E non può non darsi conto, ad esempio, di come pochi anni fa la giudice scrivesse di “incontenibile proliferazione dei diritti”. C’era secondo la giurista – e non esiste ragione per credere che non ci sia tuttora – alle base di quella moltiplicazione niente più che uno sbaglio, quella che la presidente definisce “l’erronea convinzione che maggiore è il numero dei diritti più vicina è la meta della giustizia e che minori sono i limiti ai diritti, più vicina è la realizzazione della giustizia”. Diritti illimitati per contenuto e numero esporrebbero, pertanto, al rischio di ciò che Cartabia definisce “una degenerazione utopistica”.
La diretta interessata dal canto suo è felice di essere la prima donna a presiedere un così importante organo e parla di un traguardo per tutte. Dice di aver rotto il tetto di cristallo, per l’appunto. Nei suoi commenti a caldo, battute di ottimismo: “Ho l’onore di essere un'apripista. La neo presidente finlandese ha detto che età e sesso non contano più. In Italia ancora un po’ contano. Spero presto di poter dire che non contano più”.
Che il nostro sia un Paese difficile per le donne, e perfino ostile, non è una novità per nessuna.
In Italia però la Costituzione ci dice altro. La Carta afferma la parità: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale; e, in virtù di una precisazione fortemente voluta dalla senatrice socialista Angela Merlin, l’art. 3 aggiunge che sono eguali davanti alla legge “senza distinzione di sesso”.
Ma se questa è la cornice e la misura di tutte le leggi è chiaro che dalla Corte Costituzionale siamo abituati ad spettarci molto. Del resto, è di qualche giorno fa l’ennesimo intervento della Consulta giunto a correggere gli effetti di una stasi, dovuta a un Parlamento che su certi temi – quale quello del fine vita - resta come sonnolento e svogliato; inerzia del legislatore che crea vuoti di normativa e che troppo spesso apre squarci al cui interno quei giudici arrivano a scrivere o a riscrivere pezzi di diritto di questo Paese.
(13 dicembre 2019)