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Da Sophie a Nasrin,la resilienza è donna

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

C'è un termine che viene utilizzato per descrivere la capacità che gli esseri umani hanno di reagire alle difficoltà rialzando la testa: è la parola “resilienza”. La resilienza io l’ho imparata dalle donne con cui sono cresciuto: mia madre e mia zia, sua sorella. L’ho imparata da loro perché sono soprattutto le donne a incarnare la resilienza; la incarnano quando decidono di voler costruire una famiglia senza rinunciare alle proprie aspirazioni, alla propria carriera e quando decidono di non voler mettere su famiglia per seguire un istinto diverso e che spesso, in maniera crudele e ridicola, viene stigmatizzato. Nel primo caso e nell’altro le donne sono sempre costrette o messe nella condizione di dover rendere conto delle proprie decisioni, delle proprie azioni e la differenza la fa il modo in cui elaborano questa imposizione.

Sono certo che l’esser stato cresciuto da due donne e, soprattutto, da due donne molto diverse tra loro, mi abbia dato l’opportunità, negli anni, di provare verso il modo che hanno di superare gli ostacoli, un interesse crescente, come se avessi sempre da imparare, anche da donne che sono nate e vissute in terre lontane e in epoche diverse da questa. E così le loro esperienze, le loro difficoltà e gli innumerevoli modi che trovano per superarle, diventano l’esempio non solo da seguire, ma anche da indicare. Diventano modello di coraggio e determinazione.

Anni ’40, Germania. Sophie Scholl aveva 21 anni quando, nella Germania nazista, decise di prendere posizione contro Hitler. Di lei non ci resta solo l’estremo sacrificio a difesa delle proprie idee democratiche e liberali, ispirate al rispetto per il prossimo, ma ci resta l’esperienza della Rosa Bianca, che fondò insieme a suo fratello e ad alcuni amici, ci resta il motto che animava la Rosa Bianca: “Uno spirito forte, un cuore tenero”. È una frase incredibile, che sembra la spiegazione più calzante della parola “resilienza”. Di Sophie Scholl ci resta il coraggio di temere, più della propria morte, il sonno della coscienza dei suoi connazionali che, attraverso l’azione politica, intese risvegliare.

Iran, oggi. Protagonista è sempre una donna: Nasrin Sotoudeh. Una donna che ora è in carcere, condannata a 33 anni e 148 frustate. La sua colpa? Aver difeso i diritti umani, aver salvato dalla pena di morte tra il 2005 e il 2015 settantatré bambini accusati dei crimini più svariati: dalla violenza, alla droga, all’omicidio. Ancora una volta, quello che colpisce è che questa donna abbia rinunciato alla sua vita, ai suoi figli, che vede solo attraverso un vetro in carcere, per difendere ciò in cui crede. E Nasrin non ha solo difeso donne e bambini iraniani, non ha solo criticato il regime dell’ayatollah, ma in lei si compie la parte necessaria dell’essere umano, quella della difesa del diritto, cioè il realizzarsi solo quando si aspira a vivere secondo giustizia.

Infine c’è Joan Turner, moglie del musicista cileno Victor Jara, le cui canzoni, agli inizi degli anni ’70, divennero la colonna sonora del sogno di giustizia sociale di Salvador Allende. E per questo motivo, Victor Jara, l’11 settembre 1973, il giorno del colpo di Stato militare in Cile, fu portato allo stadio, insultato, picchiato, gli furono spezzati i polsi, fu torturato a morte e il suo corpo gettato tra quelli di altri prigionieri politici davanti allo stadio. Joan Turner visse l’intera vita lottando perché giustizia fosse fatta, perché i responsabili della morte di Victor fossero individuati e processati. Ma ha dovuto aspettare a lungo Joan, fino alla fine della dittatura di Pinochet, nel 1990. E poi ha dovuto aspettare ancora, aspettare che un testimone oculare della morte di suo marito si facesse avanti per raccontare cosa fosse successo allo stadio Cile. Fu così che grazie alla tenacia, alla resilienza di Joan Turner si arrivò all’arresto e alla condanna dell’ufficiale che aveva sparato a Victor: il tenente Pedro Barrientos. Era il 13 giugno 2016 e dalla morte di Victor Jara erano passati 43 anni, anni in cui Joan Turner non aveva mai perso la speranza.

Queste donne sono donne speciali, ma ci raccontano tanto delle donne che conosciamo e che osserviamo nel loro agire quotidiano. Ci raccontano di una determinazione che non nasce dal vano battagliare per ottenere potere per sé, ma dal costante battagliare per ottenere rispetto e giustizia per sé e per gli altri.

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