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Il ruolo delle donne nell’era della trasformazione digitale

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Il “ruolo delle donne nell’era della trasformazione digitale”, è il titolo dell’evento con cui il CDTI ha inteso concentrare l’attenzione di socie, soci, simpatizzanti e ospiti per riflettere insieme su questo tema molto importante e per capire cosa si debba fare per riuscire ad abbattere una volta per tutte le resistenze normative e culturali che impediscono alle donne di ricoprire in pieno tutti i ruoli che spettano loro.

    Per fotografare la situazione attuale, invece di ricorrere a lunghe elencazioni, ho ritenuto che bastasse citare pochi fatti che, nella loro implacabile evidenza, hanno la forza di scolpire nella pietra il ritardo oggettivo del nostro Paese:

  1. una donna su due in Italia non lavora[1], non ostante il numero delle laureate superi il numero dei laureati;
  2. le donne guadagnano il 7,8% meno degli uomini;
  3. le donne dirigenti sono il 17,1% del totale[2].

In aggiunta credo sia doveroso prendere atto delle delicate implicazioni indotte sulla vita di ciascuno di noi da globalizzazione, migrazioni e trasformazioni tecnologiche. L’Europa, nonostante sia stata garante per settant’anni di una coesistenza pacifica e sia il più grande mercato del pianeta, è soggetta a spinte centrifughe di non trascurabile momento, che diverse forze stanno esercitando su di essa, a cominciare dalla Brexit.

Da addetti ai lavori, non può sfuggirci che, in particolare, la trasformazione tecnologica, per le sue implicazioni occupazionali, potrebbe, se non opportunamente governata, produrre smottamenti molto pericolosi negli equilibri economici e sociali dei vari Paesi. Non possiamo altresì sottovalutare una sorta di schizofrenia che si sta diffondendo nel rapporto tra persone e “tecnologia” che, in alcune circostanze, viene evocata per le sue capacità miracolose e, in altre, viene tacciata di essere responsabile di sciagure apocalittiche.

In Italia, per la prima volta, viviamo in due società, una analogica e una digitale; la nostra popolazione si è allungata[3], con generazioni che vivono una coesistenza lavorativa molto difficile, viste le loro profonde diversità. La fine degli anni ’10 del nuovo secolo si caratterizza per una diffusa crisi della politica, per le difficoltà della rappresentanza sindacale, per lo sviluppo altalenante e contraddittorio di nuovi movimenti, e per l’impetuosa affermazione di piattaforme tecnologiche, che stanno stravolgendo non solo la sfera economica, ma anche quella sociale, politica, e financo culturale.

Come dice il Censis nel suo ultimo rapporto[4], il Paese è attanagliato da una profonda incertezza e, mi permetto di aggiungere che, se non ci affrettiamo a colmare due lacune strutturali, quella originata dal “deficit” pubblico e quella rappresentata dallo “spread” civico[5], ridurremo l’orizzonte del nostro futuro.

Se tutto ciò è vero, come è vero, con assoluto pragmatismo, credo che abbiamo il dovere di impegnarci a ricomporre il quadro con una più efficace disposizione delle forze in campo; se non riusciremo a farlo, non avremo la possibilità di uscire da questa crisi, che, come è noto, comincia dal 1992. Nei tre anni fino al ‘95 la lira si svaluta rispetto al marco del 29,8%, accentuandosi successivamente, non ostante i grandiosi benefici indotti dall’euro; a partire dal 2007, a causa di uno smottamento mondiale il declino cresce ancora, fino a portare il Paese, alla data attuale, in un arco di ventisette anni, sotto di trenta punti di crescita rispetto all’UE.

Di fronte a questi dati, sono certo che nessuno vorrà rimanere inerte, anzi, sono convinto che ognuno sarà disponibile ad impegnarsi in prima persona. Ma la domanda che mi faccio e Vi faccio è: come possiamo pensare di cambiare direzione, se sbarriamo la strada alle donne e ai giovani?

Come CDTI siamo convinti che, proprio nell’era dei social, vada recuperata la partecipazione diretta, e proprio nell’età della disintermediazione, occorra che i corpi intermedi si rafforzino, si consolidino e si espongano maggiormente.

Il nostro Club è uno di essi, visto che raggruppa una numerosa rappresentanza di donne e di uomini che ricoprono ruoli professionali, manageriali e imprenditoriali, per giunta, in uno dei settori che più di tutti ha in mano le chiavi del cambiamento. Ciò ci chiama a svolgere un ruolo di interlocutore attivo con tutti i portatori di interesse, incalzando ciascuno di essi, dialogando, proponendo contributi e riflessioni utili per contribuire a cambiare le diverse situazioni nelle quali ci troviamo e in cui recitiamo dei ruoli specifici.

Abbiamo puntato l’attenzione sulle donne nella consapevolezza che la loro rivoluzione, l’unica avvenuta pacificamente nel ‘900, per compiersi interamente, ha bisogno di una saldatura con tutti gli uomini che dispongono di una cultura scevra da qualsiasi contrapposizione,

Insieme dobbiamo lottare contro il tempo, nel rispetto della sfida più importante che abbiamo come genitori, come cittadine/i, come amministratrici/ori, imprenditrici/ori, insegnanti, manager, politiche/ci, professioniste/i, ricercatrici/ori, studiose/i. Spetta a noi saperlo utilizzare efficacemente. Non dobbiamo mai dimenticare che ciascuna/o di noi è agente di cambiamento e deve rispettare questo dovere civico con impegno assoluto.

Nel passato furono in tanti ad avere questa determinazione. Cito per tutti Adriano Olivetti, il quale si assunse la responsabilità di costruire asili nido nelle fabbriche, di offrire alle lavoratrici nove mesi e mezzo di indennità per il periodo di maternità, di mettere a disposizione di lavoratrici/ori biblioteche, colonie per i/le loro figli/e, sussidi per il loro percorso di studi, di calmierare il divario retributivo tra i massimi dirigenti e la base operaia, dimostrando come ognuno nel suo specifico ambito di responsabilità possa dare il miglior contributo concreto. Il risultato fu un’impresa di assoluta eccellenza capace di competere ai massimi livelli nazionali e internazionali.

Se, come parte della classe dirigente, non siamo disposte/i ad impegnarci direttamente per difendere diritti che sono alla base di una società, che solo grazie ad essi è degna di chiamarsi civile e democratica, la nostra partecipazione associativa sarà poco efficace. Se siamo convinti che i cambiamenti si possono fare, allora mi permetto di ricordare a tutti, parafrasando per il secondo anno consecutivo lo splendido slogan utilizzato dall’Istat, che recita:

“ SE NE FAI PARTE, FAI LA TUA PARTE”.


[1] OD&M Consulting (dati 2° trimestre 2019)

[2] MANAGER ITALIA, (7 marzo 2019)

[3] ISTAT luglio 2018

[4] CENSIS, 53° Rapporto sulla situazione sociale del Paese

[5] Enzo Manes, Corriere della Sera del 7 gennaio 2019

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