ZEHRA DOGAN/ “In carcere dipingevo con gli alimenti e col sangue” (Che tempo che fa)
Nel suo monologo a Che tempo che fa, Roberto Saviano racconta la storia della pittrice Zehra Dogan. L’artista curda ha trascorso parte della sua vita in carcere, dove ha realizzato le sue opere più famose. “Tutte hanno un denominatore comune”, spiega Fabio Fazio, “sono fatte con la drammatica verità. Nonostante la sofferenza, nonostante il dolore, sono delle opere d’arte. C’è anche della bellezza, per quando possa sembrare stonato”. Dopo il commento di chi la introduce, Zehra inizia a parlare: “A volte mi chiedono se valesse la pena vivere quello che è stato raccontato, e credo che valesse la pena, perché oggi posso parlare in Italia ed essere accolta da una persona così importante”. Il riferimento è proprio a Saviano. Le sue opere, tra gli altri musei, sono attualmente esposte al Tate Modern di Londra. È un vero onore, per lei: “Il fatto che siano valutate in questo modo significa che vanno al di là dell’arte. Sono sorpresa nel vedere come riesco a parlare alle persone senza parlare la loro lingua”. Saviano le fa una domanda: “Dev’essere stato difficile anche solo realizzarle. Come facevi, materialmente?”. La Dogan si perde nei dettagli: “Tutti i materiali venivano continuamente sequestrati. Per questo sviluppai il metodo di dipingere sotto al letto. Nascondevo tutto lì. Utilizzavo di tutto, anche gli alimenti e il sangue mestruale”. (agg. di Rossella Pastore)
CHI È ZEHRA DOGAN?
Zehra Dogan sarà ospite questa sera di Fabio Fazio a Che tempo che fa. L’artista e giornalista curda interverrà su Rai Due per raccontare la sua storia, quella di una giovane donna direttrice di Jinha, agenzia di stampa curda femminista con personale tutto femminile, reduce da 3 anni nelle carceri turche. La colpa di Zehra Dogan? Quella di aver pubblicato un quadro da lei dipinto raffigurante la città curda Nusaybin, situata lungo il confine con la Siria, dopo il bombardamento dell’esercito turco. Questo gesto le è valso il capo d’accusa di propaganda terroristica. Intervistata poco tempo fa da “Il Manifesto”, Zehra ha così esposto il suo punto di vista: “Quando lavoravo sulla notizia non potevo non disegnarla. Disegnare significava esprimere parte di me, e parte di me era ed è la battaglia curda. Nei miei dipinti la luce, le figure, gli stessi colori simboleggiano quello che ha vissuto la popolazione curda“.
ZEHRA DOGAN OSPITE A CHE TEMPO CHE FA
Zehra Dogan, come detto, è anche una giornalista conosciuta a livello internazionale grazie alla sua Jinha, agenzia di stampa di sole donne fondata nel marzo 2012: “Fare giornalismo in Turchia significa confrontarsi ogni giorno con una narrazione predominante che non lascia spazio all’opposizione. E anche quando la stampa alternativa riesce ad emergere, il linguaggio che essa utilizza è un linguaggio interamente maschile. Quando le donne subiscono violenza, la notizia non è la violenza maschile, ma la descrizione minuziosa di quello che la donna ha fisicamente subito. Non c’è dignità in tutto questo. E Jinha era nata per rivoluzionare quel linguaggio, battendosi per i diritti delle donne curde“. Una missione evidentemente che non può conciliarsi con i voleri di Ankara, tant’è che le autorità turche hanno chiuso Jinha nell’ottobre 2016. Zehra venne trasferita nella prigione di Diyarbakir: “Lì non mi era consentito fare arte. Mi hanno requisito la carta, la penna e le matite. Ma c’era qualcosa che non potevano requisire, e con quel qualcosa ho provato a dipingere“. Zehra decise insieme alle compagne di cella di dipingere col sangue mestruale: quelle immagini hanno fatto il giro del mondo.
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