Al via domenica la Dakar della discordia in Arabia Saudita
Una volta si chiamava Parigi-Dakar, proprio perché partita dalla capitale francese, aveva come tappa conclusiva quella senegalese. Oggi, da ormai molto tempo, ha perso quel "Parigi" prima del trattino. E non solo quello. La Dakar 2020 cambia infatti (ancora) di continente. Dopo 29 edizioni in Africa e 11 in America del Sud, il rally raid più duro e affascinante al mondo approda in Asia. Domenica, in Arabia Saudita 351 equipaggi accenderanno i motori a Gedda, per la 42esima edizione. 12 tappe, per un totale di 7900 km, attraverso le montagne, i canyons, le dune del deserto.
Un asso nella manica del regime saudita
Il regime saudita spera di approfittare di questa competizione internazionale per dare una spinta al settore turistico e - perché no? - per smorzare anche le polemiche. Il regno, alla cui guida c'è il principe ereditario Mohammad bin Salman, ha avviato negli ultimi anni una politica di apertura e di diversificazione economica, per compensare le perdite dell'industria petrolifera.
Le ong non ci stanno!
Il fatto che la Dakar si svolga nel suo Paese, però, è fortemente contestato dalle associazioni che lottano per i diritti dell'uomo.
Oltre alla repressione di chi si oppone al regime, le ong denunciano la condizione delle donne, nonostante i piccoli progressi compiuti negli ultimi due anni. Certo, oggi le donne saudite sono autorizzate a guidare, ad andare allo stadio o a viaggiare all'estero , ma restano comunque sotto la tutela di un uomo.
Le associazioni ricordano quindi agli organizzatori e alle emittenti tv il loro dovere di responsabilità. E ai piloti è stato chiesto di indossare una fascia rosa sul braccio, con l'hashtag #FreeSaudiHeroes, in omaggio agli oppositori politici detenuti.