Imam saudita in prova, ma è già polemica - Cronaca
E’ appena stato presentato alla comunità islamica come imam “in prova” ed è già al centro delle polemiche per le sue origini, per aver studiato in Arabia saudita. E a sollevare preoccupazione sul nuovo imam di Pordenone, Rachid, non è la Lega Nord, ma il coordinatore provinciale di Sel (sinistra ecologia e libertà) che ha scritto anche all’assessore comunale Flavia Rubino. «La notizia dell’arrivo di un nuovo imam dall’Arabia Saudita chiamato dalla comunità islamica di Pordenone deve chiamarci a riflettere su quali saranno le conseguenze per le tante donne di religione musulmana presenti in città. Non è infatti un mistero – scrive Tissino – che l'Arabia Saudita rappresenti uno degli stati più arretrati per quanto attiene i diritti delle donne a cui sono vietate molte delle cose che per la nostra cultura appaiono del tutto naturali come ad esempio guidare o andare in giro da sole. Non solo. Non va dimenticato che in Arabia Saudita le condanne a morte sono frequenti e riguardano comportamenti che da noi rappresentano libertà fondamentali come il diritto di pensiero e di cambiare religione».Secondo Tissino «Il nuovo imam deve essere subito chiamato dai rappresentanti civili e politici del territorio a fugare pubblicamente ogni dubbio in merito alla sua sincera ispirazione democratica attraverso non le dichiarazioni di prammatica sull’islam religione di pace, ma con la ferma e inequivocabile condanna di azioni molto in voga in Arabia Saudita quali la lapidazione, la fustigazione e la decapitazione, nonché con azioni concrete come incontri pubblici con le associazioni di difesa dei diritti delle donne e dei diritti umani nei quali ribadire che uomini e donne hanno gli stessi diritti e che la sharia non può essere la legge applicata in uno stato civile. Solo così potremo dare a lui il nostro benvenuto (e toglierci il dubbio che il suo arrivo sia legato ad opache operazione di finanziamento “estero” e foriero di una radicalizzazione religiosa)».Non manca di sollevare dubbi, senza entrare nel merito della persona, anche Taher Djafarizad, rappresentante degli esuli iraniani. Proprio Djafarizad ha sempre denunciato il fatto che il centro islamico di Pordenone avesse legami con la comunità Saudita «perché arrivano da là i finanziamenti al centro. Non dimentichiamoci che quando parliamo di Arabia Saudita parliamo di wahabiti, parliamo di terre in cui i diritti delle donne non esistono, in cui il dialogo viene rifiutato». Djafarizad ricorda di aver proposto a più livelli che gli imam «facciano un corso organizzato dal ministero dell’Interno perché devono rispettare le regole del Paese che li ospita. Circa 25 anni fa – racconta – portai i due primi imam della comunità di Pordenone dal vescovo per chiedere che la diocesi mettesse uno spazio di preghiera a disposizione della comunità islamica. Questo perché così avremmo potuto evitare l’ingerenza, attraverso finanziamenti, di Paesi dove c’è l’Islam radicale. Oggi facciamo i conti con quella mancanza di lungimiranza».E un messaggio Djafarizad lo lancia anche a Serracchiani dopo la questione del velo a Teheran: «Nel 2009 parlava di politici che hanno smesso di ascoltare. Oggi sia lei a saper ascoltare».©RIPRODUZIONE RISERVATA