Suffragio universale femminile: la battaglia nel mondo
Il 2 giugno il suffragio universale in Italia compie settant'anni: un anniversario per ripercorrere il (difficile) cammino delle donne alle urne nel mondo.
2 giugno 1946: il suffragio universale in Italia porta, per la prima volta, le italiane alle urne. Ma nel mondo in molte ancora devono attendere.
Voto alle donne: un cammino lungo tre secoli
Tanto rumore per nulla, però, perché alle intenzioni non seguono i fatti. Nel 1867 ci prova il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill: propone un emendamento a favore del voto alle donne ma ottiene 3 “sì” e 196 “no”. Oltreoceano, però, qualcosa si sta muovendo: nel 1848, a Seneca Falls, nello stato di New York, Elisabeth Cady Stanton e Lucretia Mott chiedono la prima convenzione sui diritti delle donne, iniziativa esportata poi a Rochester e l’anno dopo a Salem. Sia come sia, nel 1869 le signore del Wyoming sono le prime ad essere convocate ad esprimersi e nel 1887 il sindaco di Argonia, in Kansas si chiama Susanna Madora Salter: per quanto (poco) rimase al potere, fece (e molto) parlare di sé e spianò la strada a Elizabeth Yates, che nel 1893 fu eletta prima cittadina di Onehunga, nell’impero britannico in Nuova Zelanda e a Elizabeth Garrett Anderson, che nel 1908, ad Aldeburgh ricoprì per prima la carica di sindaco del Regno Unito.
Diritto di voto alle donne: dalla Nuova Zelanda all’Arabia Saudita
I tempi sono maturi perché la rivoluzione abbia inizio e mentre nel Regno Unito le Suffragette si danno da fare per ottenere parità di diritti, nel 1893 la Nuova Zelanda concede il suffragio universale: è il primo stato al mondo in cui tutti, uomini e donne, sono chiamati a votare. Nove anni dopo è il turno dell’Australia e nel 1906 l’ondata rivoluzionaria sbarca in Europa, precisamente nella Finlandia dell’allora impero zarista dove, un anno prima, la Lega delle donne lavoratrici aveva organizzato centinaia di incontri e mobilitato decine di migliaia di persone, minacciando l’ennesimo sciopero generale nel caso in cui le donne fossero state escluse dalla tornata elettorale.
Alla spicciolata, tra la prima metà del Novecento e dopo la Seconda Guerra Mondiale le donne di (quasi) tutto il mondo acquistano il diritto di voto. I paesi più virtuosi sono stati: Norvegia (1913) Danimarca e Islanda (1915), Canada (1917), Irlanda, Germania, Polonia, Austria, Regno Unito, Ungheria, Russia, Georgia, Estonia, Lettonia, Lituania, Kirghizistan (1918), Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia e Ucraina (1919), Usa, Slovacchia e Repubblica Ceca (1920), Azerbaigian (1921), Birmania (1922), Tagikistan e Turkmenistan (1924), Armenia (1928), Kazakistan e Mongolia (1924), Uruguay (1927), Ecuador e Romania (1929), Turchia (1930), Cile, Spagna e Sri Lanka (1931), Brasile, Maldive e Thailandia (1932), Cuba (1934), Filippina (1937), Bolivia, Bulgaria e Uzbekistan (1938)
Nel 1944 succede in Francia, nel 1946 in Italia, nella neonata Corea del Nord e in Albania, l’anno dopo in Argentina, India, nel 1948 in Corea del Sud, nel 1949 in Cina e Costa Rica e via così, fino alla tardiva e inaspettata Svizzera dove il suffragio universale femminile arriva nel 1971 e ai fanalini di coda: Kuwait (2005), Emirati Arabi Uniti (2006) e Arabia Saudita (2015). Insomma, ad oggi il mondo dà voce a quasi tutte le donne, il che, purtroppo, non significa che tutti i cittadini (uomini inclusi) siano persone con uguali diritti.
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