I sindacati chiedono a Theresa May di non indossare più i tacchi
Alcuni delegati sindacali hanno suggerito al primo ministro britannico di indossare scarpe più comode sul luogo di lavoro per mostrare ai media che si può essere donne potenti anche senza accontentare le 'attese' maschili.
Durante la conferenza dei sindacati britannici alcuni delegati hanno incoraggiato il primo ministro del Regno Unito Theresa May a evitare i tacchi (a favore di ballerine e calzature più confortevoli) sul luogo di lavoro (il portavoce della May non ha commentato). Il motivo? «Mostrare ai media che si può essere la donna più potente del Paese senza l’obbligo di indossare scarpe che ‘soddisfino’ le attese degli uomini».
Una questione legata al sempreverde tema del sessismo, ormai diventato la carta jolly del consenso: tutti vogliono ‘accontentare’ le donne, e sottolinearlo. Un po’ come una mancia davanti a una (non esplicita) richiesta di ‘elemosina‘ continua. Sono sicura che molti uomini la intendono così.
Ci sono, e non è certo mia intenzione negarlo, dei momenti e dei contesti all’interno dei quali è necessario ‘combattere’. Però, dai, cerchiamo di rimettere i piedi sul pianeta Terra perché pare che la situazione ci stia leggermente sfuggendo di mano: entusiasmarsi davanti alla possibilità che la May smetta di usare i tacchi in nome dei diritti delle donne è da ospedale psichiatrico. Parlo sul serio: davvero c’è qualcuno che pensa che avere la possibilità di andare a lavoro con le ballerine amplifichi la libertà, l’indipendenza, il ruolo delle donne? Ma di che stiamo parlando? Non sono i nostri tacchi più o meno alti ad avere la priorità, facciamocene una ragione. Non siamo noi, donne occidentali, studentesse, professioniste, mamme di figli che ci adorano e mogli di mariti che ci rispettano (no, non sto parlando di psicopatici, ma di uomini), ad avere la priorità.
Cosa ci manca? La possibilità di andare con le scarpe da tennis a lavoro? Neanche i maschi possono in determinati ruoli. La possibilità di mostrare i capezzoli su Instagram? Anche il pene al vento è vietato. Quella di fare figli se e quando ne abbiamo voglia senza essere per questo giudicate? Pure gli spermatozoi a una certa vanno in vacanza, come ricordava la campagna della Lorenzin. Il diritto di mettere una minigonna senza essere prese per prostitute? Anche io se un maschio con costume a mutanda bianca mi ammicca in spiaggia ho voglia di dirgliene di tutti i colori, dall’alba al tramonto). Sì, c’è da guadagnare più ‘diritti’ nei luoghi di lavoro ma questo non riguarda solo noi donne né, in ogni caso, si risolve combattendo contro i tacchi. Perché delle pene maschili non parla nessuno? Sono sicura che anche loro, i maschi, hanno tanto da chiedere. Ma sono machi, e non lo fanno.
Forse la ‘cura’ deve partire più dall’interno. Forse è il caso che le mamme di tutto il mondo facciano capire ai loro figli pen dotati che la violenza verso le donne come verso gli uomini è un male. Forse dovrebbe agire meglio in questo senso anche l’istruzione, magari iniziando a mettere nelle scuole gente competente e non incompetetenti miracolati o, peggio, raccomandati. Non so quale sia la medicina ma di una cosa sono convinta: non è certo urlando allo scandalo ogni tre per due e sbattendo i piedi un giorno sì e l’altro pure, che i fuori di testa smetteranno di violentarci, giudicarci, o farci soffrire in altro modo.
A volte ci resto male, sì, perché credo che gli uomini considerino quello femminile un universo idiota. Ma in certi casi, come dargli torto? C’è gente che si infiamma davanti agli slogan della Boldrini o, peggio, davanti a quelli della Clinton. Adesso anche Trump s’è messo a parlare a favore delle «mamme che lavorano». Possibile che non ci accorgiamo che continuare a lamentarci, a mostrare le nostre (inevitabili) debolezze, a reclamare diritti, non fa altro che assecondare un sistema che ha bisogno, per sopravvivere, di (fingere di) accontentarci?
Credo che l’unico modo per essere uguali agli uomini sia darlo per scontato. Quindi proviamoci, dai, femmine e femministe di tutto il mondo: facciamo silenzio.