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Rispetto! Ricordiamoci che le parole hanno un peso

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Le parole hanno un peso. Non possiamo restare indifferenti dinanzi all’uso spasmodico della violenza linguistica nella nostra società. La politica, oggi, deve cambiare radicalmente il linguaggio con il quale si pone all’elettorato, o più semplicemente all’Italia stessa. Sono tanti i fenomeni di odio, misoginia, sessismo, omotransfobia, classismo, razzismo e xenofobia, i quali danno genesi a un’onda di odio e disumanità, che abbiamo il dovere di fermare in quanto cittadini del pianeta Terra.

Sono tanti gli eventi che dimostrano la realtà sessista della politica italiana. Pensiamo, ad esempio, all’oggettivazione sessuale della donna. Un paio di anni fa l’esponente politico che, oggi, ha all’incirca il 24% delle preferenze ha paragonato la ex Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, a una bambola gonfiabile, lanciando dopodichè l’hashtag “Sgonfiamo la Boldrini“. E non ci vuole chissà quale analisi sociologica e delle relazioni sociali per identificare la causa nel sistema patriarcale capitalista nel quale viviamo, i due “grandi mali” dei rapporti internazionali del mondo moderno industrializzato e di quelle zone del pianeta sempre più occidentalizzate. Ma quali sono le cause che tengono in piedi il muro dell’odio?

Un/a marxista potrebbe dirci che il problema di fondo sia, oggi, la lotta di classe.

Un/a femminista potrebbe pensare, invece, che il problema risieda nella lotta di genere.

Credo, tuttavia, che le lotte sociali, quelle di classe, di genere e le lotte etniche siano la faccia della stessa medaglia, siano il fondo del sistema patriarcale capitalista. Sistema che regola, oggi, la politica, l’amministrazione e, più semplicemente, la nostra società, un sistema complesso che ha posto l’uomo bianco ricco al centro dell’Universo, e tutti gli altri dopo, un gradino più in basso.

Proprio per questo dovremmo parlare di intersezionalità, perchè se li prendessimo singolarmente sarebbe impossibile ridurre, se non annullare, quei fenomeni che rendono la nostra società iniqua, ma se queste battaglie giuste, volte a combattere la povertà, il classismo, il razzismo, l’omolesbobitransfobia, e la misoginia, diventassero “LA battaglia“, oggi avremmo davvero la possibilità di ribaltare il patriarcato, e di rendere finalmente sostanziale l’uguaglianza formale di cui tanto parliamo, ponendo tutt* sullo stesso piano senza distinzioni di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. L’intersezionalità dovrebbe essere la risposta alla supremazia dell’uomo bianco, ai biechi nazionalismi, alla privazione dei diritti umani e sociali. Dovrebbe rappresentare il faro pronto a guidare la lotta contro il sistema politico, economico e sociale insito nella nostra concezione di mondo e l’asterisco non è stato messo lì per chissà quale ragione, ma come dimostrazione dell’importanza delle parole, e del genere di queste.

Non stiamo parlando di politicamente corretto, ma di rispetto. Se ti appropri del diritto di definire qualcuno, non fai altro che discriminare quella persona in quanto soggetto apparentemente “inferiore”. Se non declini al femminile qualsivoglia professione, non fai altro che generalizzare e normalizzare una situazione che non dovrebbe essere né generale né normale, con la totale noncuranza della veridicità della vita reale, che non deve essere a trazione maschile, a differenza di ciò che il sistema capitalista vorrebbe farvi credere. I modelli culturali con i quali siamo costretti a vivere designano il quadro generale della nostra società, intrinsecamente legata agli stereotipi sui ruoli di genere e all’immagine sociale della donna e dell’uomo.

La lotta per la parità di genere è la prima proposta della task force “Donne per un Nuovo Rinascimento”, istituita dalla ministra Elena Bonetti, che nel documento di analisi e di proposta ha analizzato quali potrebbero essere le azioni volte a incentivare la leadership femminile e la parità di genere, attraverso, per esempio, l’istituzione di un osservatorio presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il monitoraggio del livello di gender equality dei soggetti pubblici e privati, insieme a tante altre proposte, quali: l’innovazione del welfare aziendale, il sostegno alle imprese femminili, il potenziamento del lavoro femminile e l’armonizzazione dei tempi di vita attraverso forme innovative di organizzazione. Ma tale documento considera anche la scienza come motore di un Nuovo Rinascimento, mediante l’educazione e la formazione nelle materie STEM e di nuove skills digitali, favorendo la carriera femminile sia nel mondo universitario che della ricerca scientifica. Ha un’importanza sostanziale la solidarietà per l’emancipazione di tutte, grazie alla promozione dell’indipendenza finanziaria e il sostegno alle fragilità. E, infine, l’importanza della comunicazione, con l’obiettivo specifico di sradicare gli stereotipi di genere per un vero cambiamento della società. Ed è, a mio avviso, di fondamentale importanza soffermarsi su quelli che sono i problemi di comunicazione del mondo della politica e non.

Pensiamo, anche, al giornalismo e agli eclatanti titoli spesso sessisti e misogini. Un esempio lo si trova negli articoli con i quali è stata annunciata la vittoria di Biden e Harris alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America: “Biden e Kamala (…)”. Chiamare l’uomo per cognome e la donna per nome va ad amplificare ancor di più quel messaggio sessista che i giornali dovrebbero sdoganare. E non è una semplice svista, ma la dimostrazione di quella struttura di potere che vede l’uomo sovrastare il mondo intero, perchè dopotutto il cognome è ciò che ci identifica nella società, ed è inaccettabile nel 2020 dover ancora leggere cose del genere, senza capo né coda. Ma loro non sono l’unica coppia di potere ad aver subito un trattamento del genere, pensiamo a “Trump e Melania” , “Clinton e Hillary” e “Obama e Michelle”. Ed è questo il cambiamento nel linguaggio che dovremmo chiedere tutti, ma le donne in politica sono poche.

Solo circa il 36% dei seggi in Parlamento sono occupati da donne, nonostante l’articolo 51 della Costituzione italiana reciti: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. (…)”.

E qui potremmo parlare per giorni di quote rosa, che nonostante siano necessarie e abbiano permesso l’ingresso in politica delle donne, sono a mio avviso il fallimento di una società che si vede costretta a introdurre mezzi del genere per combattere ed eradicare il patriarcato che, oggi, vige nel nostro sistema politico. Il fallimento di una società che non è riuscita a migliorarsi, che non ha avuto la capacità di distruggere il sistema che tanto ci perseguita, che se ne è fregata di qualsivoglia rivendicazione di diritti e libertà. Il fallimento di un patriarcato che ha incoronato l’uomo padrone di chissà cosa, facendo retrocedere il mondo di anni. Costruendo una società eteronormata basata sulla tanto millantata famiglia tradizionale, sprezzanti della libertà che dovremmo avere in una società equa, giusta, nel rispetto dell’essere umano, e dei diritti naturali preesistenti alla formazione stessa dello Stato.

Pensate che in 70 anni di Repubblica, solo 30 commissioni permanenti su 450 sono state presiedute da donne, solo 8 su 28 nell’attuale legislatura. E anche qui c’è un enorme problema di linguaggio, o più propriamente, di comunicazione: perché non decliniamo al femminile le professioni? Ministra, assessora, sindaca, consigliera, architetta, ingegnera, medica. Va rivisto l’uso della lingua italiana per sdoganare ed eliminare gli stereotipi di genere insiti nella società eteronormata nella quale viviamo. Perché queste non sono piccole accortezze, perché le parole hanno un peso, e vanno usate nel modo corretto e nel rispetto delle persone. Se ti arroghi il diritto di definire qualcuno, diventi tu la persona che discrimina. Se ti arroghi il diritto di definire qualcuno, crei una struttura di potere e ti poni al di sopra delle parti, distruggendo col linguaggio qualsivoglia tentativo di equità e di giustizia sociale.

Perchè le parole hanno un peso. Hanno un potere. Hanno la forza sia di offendere che di consolare. E hanno la capacità di combattere le disuguaglianze, ma anche di crearle. Definendo una donna “bambola gonfiabile”, la poni nella condizione di poter essere discriminata anche da chi ti ascolta e ti segue a ruota libera senza il benché minimo pensiero critico, creando di conseguenza un’onda d’urto carica di odio gratuito.

E i puristi della lingua italiana, adesso, avrebbero tutto il diritto di “linciarmi”, ma mi sorge spontanea una domanda: perchè non introdurre nel vocabolario italiano neologismi del calibro di “presidentessa” per far sì che il linguaggio e la lingua possano adattarsi all’epoca che stiamo vivendo nel rispetto, quindi, di tutt*? Spero in giorni migliori. Giorni nei quali le parole possano assumere un peso nella concezione popolare del linguaggio. Giorni nei quali la scuola, e l’istruzione tutta, possano educare al senso critico nei confronti della società. E ricordatevi che chi non lotta, ha già perso. Dunque sfoderate le vostre più taglianti argomentazioni, e lottate contro qualsivoglia discriminazione per il futuro della nostra società, del nostro pianeta, del genere umano.

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