chi è l'influencer Ascia Al-Faraj
Dominique BERBAINGetty Images
L’onda lunga del #metoo investe anche il Kuwait. È bastato un video della fashion blogger da 2,6 milioni di follower Ascia Al-Faraj ad abbattere il muro del silenzio intorno alla questione femminile e alle molestie di genere. Una netta presa di posizione che in un Paese come il Kuwait ha il sapore della sfida.
E a lanciarla dal proprio profilo social è stata la stessa influencer, che in un video pubblicato in rete pochi giorni fa ha denunciato: “Ogni volta che esco, c’è qualcuno che mi molesta o molesta un’altra donna per strada. Abbiamo un problema di molestie in questo paese e io ne ho abbastanza”. Parole concitate, registrate poco dopo aver subito uno di questi episodi mentre attraversava la strada verso la sua auto e che hanno avuto un’enorme risonanza, anche grazie alla dottoressa 27enne Shayma Shamo che, appena tornata in patria dopo aver studiato all’estero, ha lanciato l’hashtag #lanasket, “non starò zitta!”.
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Aperta poco più di due settimane fa, la pagina Instagram @lan.asket conta già 10mila follower e tanti messaggi di donne di tutte le età che riportano in forma anonima la propria esperienza di violenze, molestie, intimidazioni. Un racconto corale che impressiona per la cruda semplicità con cui ogni testimonianza viene raccolta e custodita nel breve spazio di un post.
Quanto basta per risvegliare l’opinione pubblica e animare il dibattito all’interno di alcuni programmi radiofonici e televisivi locali, che hanno ospitato attivisti, avvocati e accademici per discutere la questione. Mentre anche l’ambasciata americana in Kuwait ha già preso posizione, sostenendo le donne con una campagna in rete, gli attivisti sottolineano come proprio le donne straniere, che in Kuwait costituiscono gran parte della popolazione, siano i soggetti più vulnerabili, anche perché impiegate nelle professioni più umili. «La comunità di espatriati qui è incredibilmente vulnerabile e talvolta viene molestata a un livello che le donne kuwaitiane non capiranno mai», ha sottolineato la stessa Ascia Al-Faraj, dopo aver ricevuto testimonianze da donne indiane, pakistane e filippine che lavorano in Kuwait.
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Sebbene ci sia stato un enorme sostegno online, il movimento ha anche dovuto affrontare la reazione di numerose voci conservatrici che affermano come le donne dovrebbero semplicemente vestirsi in modo tradizionale per evitare molestie. D'altronde non è facile fare breccia nell'"ayb" o vergogna che ricade sulla famiglia appena una donna inizia a parlare di violenze: la paura di disonorare i genitori fa tacere molte e spesso è la stessapolizia a non prendere sul serio tali abusi.
Nel rapporto annuale 2017-2018 di Amnesty International, alla voce diritti delle donne, il Kuwait non è nemmeno citato fra i Paesi del Medio Oriente che hanno operato progressi a favore delle donne negli ultimi anni. E, nonostante la recente nomina di otto donne alla Corte Suprema in qualità di giudici – le prime a ricoprire questo ruolo nella storia della piccola e ricca monarchia del Golfo –, è significativo il clamoroso passo indietro registrato dal Paese che, alle ultime elezioni legislative, tenutesi lo scorso dicembre per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, si è ritrovato senza donne in Parlamento, a dispetto del record di candidate. Una notizia arrivata nell’anno in cui si è celebrato il 15° anniversario della legge che dal 2005 consente loro di votare e di essere elette.
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