Le donne nella giudicatura internazionale
Mercoledì 27 gennaio 2021 un gruppo di prestigiose giuriste ha presentato un documento al Consiglio permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e successivamente è stato diffuso sui media. Si tratta di una richiesta fatta dagli Stati membri della Convenzione Americana di Diritti Umani con l’obiettivo di promuovere la parità di genere, in questo caso la proposta è quella di nominare donne per integrare la Corte Interamericana.
Durante la prossima 51° Assemblea Generale dell´OSA a svolgersi quest´anno in Guatemala, gli Stati Parti della Convenzione devono designare quattro persone in qualità di giudici dell´organo giurisdizionale supremo del sistema interamericano di tutela dei diritti umani, per un periodo iniziale di 6 anni.
Nell’attualità, la Corte Interamericana ha solo una donna giudice e sei giudici maschi. Inoltre, storicamente, su 39 incarichi giudiziari nellaCorte solo cinque sono stati occupati da donne. Così come dichiarato dalla costaricana Elizabeth Odio, attuale presidentessa della Corte Interamericana, è giunto il tempo di ridurre il divario. Ad appoggiare questa postura ci sono anche altre prestigiose e rinomate donne nell’ambito del Diritto, convinte che la parità di genere faccia parte degli stessi diritti umani quel tribunale appunto che deve proteggere.
Il documento infatti, ricorda che gli Stati membri della Convenzione hanno assunto l’obbligo di rispettare il principio di uguaglianza e di non discriminazione, compresa la parità di genere. Questo principio di applicazione universale è la pietra angolare dei sistemi di protezione universale e regionale dei diritti umani, e deve, quindi, essere proiettata anche nella composizione degli organi che costituiscono tali sistemi. Inoltre, l’integrazione della Corte deve riflettere gli impegni assunti dai più alti organi politici dell´OSA in questa materia.
Dal 2016, l'Assemblea Generale ha ribadito l'importanza di garantire la rappresentatività di genere negli organi del sistema interamericano. Nella sua più recente risoluzione dell'ottobre 2020, l’Assemblea generale ha espresso l'impegno degli Stati di questa regione di "raggiungere la parità nella composizione della Corte, incoraggiando più nomine di donne candidate" (AG/RES 2961).
Questo appello alla parità è coerente con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli Stati si sono fissati a livello internazionale ed in particolare garantire che le donne siano incluse in tutti gli spazi e a tutti i livelli decisionali. Il continente americano conta con donne giuriste altamente qualificate in materia di diritti umani per essere giudici. La nomina di donne non è solo una misura per correggere la disuguaglianza di genere, ma è anche un riconoscimento del capitale umano, del valore delle donne e dell'importanza del loro contributo alla tutela dei diritti umani nell'emisfero. In questo senso si presenta un'opportunità unica per trasformare questa realtà storica.
In questo contesto, deve tenersi conto delle disposizioni della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979) e particolarmente l’articolo 8 che stabilisce che gli Stati Membri prendano le misure adeguate affinché le donne, in condizione di parità con gli uomini e senza discriminazione alcuna, abbiano la possibilità di rappresentare i loro governi a livello internazionale e di partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali.
L'integrazione maggioritaria degli uomini nelle corti internazionali non è una situazione isolata, limitata al caso interamericano. Purtroppo la situazione si ripete in altri organismi. Ad esempio, la Corte Penale Internazionale ha scelto solo uomini nell’ultima composizione. Nella Corte Internazionale di Giustizia composta da 15 membri solo 3 sono donne. Nel caso de la Corte Europea di Diritti Umani solo un terzo di suoi membri sono di sesso femminile.
A livello territoriale, negli Stati, si può determinare una maggior partecipazione delle donne nella carriera giudiziaria, sarebbe questo il caso di usare la metafora del “tetto di vetro”, usata per riferirsi alle difficoltà che hanno le donne ad accedere a posti gerarchici e in questo caso ad occupare posizioni centrali nella dirigenza giudiziaria. In Europa questa situazione è stata indagata e sollevata dall’ Istituto europeo per l'uguaglianza di genere.
Tali dati dimostrano che la lotta delle donne a favore dell’uguaglianza presenta sfide costanti e diversificate in tutti gli ambiti e a tutti livelli. Sembra paradossale che sia necessario lavorare tanto su questo punto nell’ambito stesso dell’amministrazione della giustizia e negli organismi internazionali per i diritti umani. È ora di capire che non si tratta solo di assumere incarichi ma di incorporare una vera prospettiva di genere nei casi e nelle controversie in cui è in discussione la tutela dei diritti umani.
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Sitografia
Se buscan juezas para la Corte Interamericana de Derechos Humanos