Ravenna, l'ex dirigente Sutter: "A fine anni '90 l'assessorato Pari Opportunità fece i primi passi con Linea Rosa"
Federica Ferruzzi - Raffaella Sutter era l’allora dirigente comunale nell’ambito di quelle che nel ‘97 venivano definite Pari Opportunità e che oggi si chiamano Politiche di genere, «ma già in precedenza - spiega - avevo incontrato Linea Rosa in veste di dirigente dei Servizi Sociali dell’Unità sanitaria e ricordo il primo convegno organizzato da loro nel ‘96. Ma è stato due anni dopo, nel ‘98, che iniziammo, insieme a Lisa Dradi, a fare i primi incontri con l’associazione che già era diventata visibile, organizzava eventi, aveva uno sportello di ascolto. Si può dire che l’assessorato abbia compiuto i primi passi insieme a loro». E’ partito da lì il primo approccio istituzionale per arrivare a quello che viene definito come anno di svolta, il Duemila, in cui successero diversi avvenimenti che si ricordano ancora oggi. «All’inizio di quell’anno la Regione, per la prima volta, stipulò un protocollo di intesa tra Anci, Upi e associazioni che si occupavano di violenza di genere, con l’obiettivo di valorizzare queste associazioni, un atto con cui si riconobbe l’importanza che fossero le donne stesse ad occuparsi di violenza sulle donne. Da quell’anno, anche a Ravenna, partirono le politiche di genere e ricordo che organizzammo un grande convegno sui diritti delle donne e sulla cooperazione internazionale. Fu un punto di svolta culturale, da cui cominciarono diverse iniziative che sono rimaste, come i progetti di cooperazione decentrata rivolti alle donne che toccarono, ad esempio, Balcani e Mediterraneo». Ma la data che Sutter ricorda con precisione è quella del 5 dicembre, «quando si stipulò la prima convenzione tra Linea Rosa e Comune.  Fu la prima in Italia anche per via della durata e fece uscire le politiche contro la violenza alle donne dallo stato assitenziale. Quel documento fu anche un atto di riconoscimento dell’associazione e in consiglio fu approvato alla quasi unanimità , anticipando quello che nel 2011 verrà previsto dalla convenzione di Istanbul, ovvero la valorizzazione delle associazioni di donne che si occupano di questi temi». Un elemento non da poco fu la garanzia dell’anonimato delle donne accolte. «Ci sono Comuni che, ancora oggi, per autorizzare trasferimenti finanziari, chiedono addirittura il codice fiscale delle donne ospitate, mentre da noi il diritto all’anonimato venne riconosciuto immediatamente». Un altro aspetto è che in quegli anni venne creata una rete che ha permesso la sottoscrizione di protocolli insieme a diversi soggetti che operano inell’ambito del contrasto e che vanno dall’Ausl, alla Questura, alla Prefettura, alla Commissione Pari Opportunità del Comune. «Sono poi seguiti momenti formativi per le forze dell’ordine e di formazione per i dipendenti sanitari. Fino al 2006 si strutturarono iniziative che sono alla base di quanto fatto anche oggi dall’associazione, come i progetti di prevenzione nelle scuole o i servizi studiati per favorire l’autonomia delle donne. Da metà  duemila iniziarono anche i servizi svolti nelle case rifugio che durano tutt’ora». Ed è a quelle sedi che corre la memoria di Sutter. «Ho conosciuto tante donne e tanti bambini ospitati e ricordo la serenità che si respirava all’interno delle case anche grazie alle modalità di gioco introdotte dalle operatrici. Uno dei ricordi più importanti è legato però agli incontri che vamo con le volontarie: lavoravano in modo innovativo per la metodologia di confronto, avevano un coinvolgimento che non vedevo all’interno degli enti pubblici. Erano riunioni intense, creative e professionali allo stesso tempo».