Marta Cartabia al Ministero della Giustizia
Il 12 Febbraio Marta Cartabia è stata nominata dal Presidente del Consiglio Draghi, nuovo Ministro della Giustizia.
La sua nomina era stata salutata con tanto favore anche quando divenne il primo Presidente donna della Corte Costituzionale. Da allora e ancor di più oggi Marta Cartabia è descritta dai media come l’icona italiana del progresso verso la parità di genere anche nelle posizioni apicali.
Ma è un merito dell’Italia aver nominato una donna di valore alla Giustizia o non è piuttosto l’opportunità per il Paese di migliorare il modo di guardare alla Giustizia attraverso lo sguardo femminile?
A che punto è la parità di genere nella Giustizia?
Con la nomina di Marta Cartabia alla Giustizia, sembra lontano il tempo in cui le donne dovettero lottare per l’accesso alle professioni legali, nell’avvocatura piuttosto che nella magistratura e nel notariato.
I dati statistici sulla parità di genere ovunque diffusi (CNF, COA, CSM…) confortano che il trend della presenza femminile è in crescita e in certi casi addirittura in inversione di tendenza. Nel mondo degli avvocati, Cassa Forense, rileva il sorpasso delle donne nella fascia d’età che va dai 40 ai 44 anni, anche se il trend si inverte nelle fasce d’età superiore. Al netto dei pensionati comunque, la popolazione delle avvocate è pari a quella dei colleghi maschi.
Certo, ancora restano delle criticità, visto che il numero delle professioniste avvocato è superiore al nord ma non al sud, e che a pari anzianità professionale i redditi delle donne sono il 120% in meno di quelli dei colleghi uomini. A dire il vero, il divario reddituale desta qualche preoccupazione all’ente di previdenza, soprattutto facendo due conti sulla platea di anziani avvocati che andranno in pensione con prestazioni previdenziali elevate, che dovranno essere sostenute dai contributi più esigui versati dalle colleghe meno ricche.
Anche in magistratura i dati lanciati dal Primo Presidente della Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario, lasciano ben sperare grazie all’aumento delle vincitrici di concorso, anche se la rappresentanza femminile resta ancora esigua nelle posizioni verticistiche.
In questo quadro dai numeri confortanti, la Cartabia, promessa e speranza di un cambiamento italiano, viene indicata come un merito del Paese per aver abbandonato finalmente i vecchi stereotipi sulle “carriere legali più adatte agli uomini, e per aver saputo rompere il “tetto di cristallo” delle posizioni apicali. L’Italia, incalzata dal’Europa, si muove quindi a grandi passi verso il 2025, anno in cui secondo il programma europeo dovrà essere definitivamente raggiunta la parità di genere in tutti i settori.
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Ancora criticità culturali per un’effettiva parità
Ma oltre all’esaltazione dei numeri in crescita e della ricerca delle donne simbolo, sfugge alla narrazione dei media l’importanza, l’urgenza e la necessità di una presenza altamente qualificata, ma soprattutto di una presenza femminile, per correggere le storture da cui è affetta da tempo la Giustizia italiana.
Se è vero infatti che i numeri sono in crescita, la posizione culturale del Paese resta quella di una tolleranza della presenza femminile, o al massimo di una soddisfazione per la conquista liberale di un diritto tutto a vantaggio delle donne. Di rado trapela il bisogno, l’esigenza, l’orgoglio di potersi giovare nel mondo della giustizia della presenza qualificata ma diversa delle donne. Il linguaggio legale resta appannaggio maschile, un linguaggio che le donne possono apprendere, imitare, e fare proprio, quasi fino a non sentire più alcuna disparità….Sembra però che non ci sia spazio ancora per un linguaggio legale femminile, che faciliti l’accoglienza e smorzi lo scontro, che privilegi la relazione rispetto alla forza, che segua il bisogno della persona dentro e oltre la fattispecie giuridica. Sembra appunto “roba da donne”, col pericolo di sminuire il diritto e non di valorizzarlo.
Il valore della nomina di Marta Cartabia come Ministro della Giustizia
Ed è proprio qui, e non nei numeri o nelle icone che la nomina di Marta Cartabia rappresenta davvero una speranza, perchè ha saputo invertire un trend culturale, interpretando l’alto ruolo di Presidente della Corte Costituzionale, da donna, cioè introducendo nel modo di pensare alla Giustizia un pensiero autenticamente femminile, ricco di competenza ma forte della sua diversità.
Marta Cartabia, già professore ordinario dI diritto Costituzionale, vicepresidente e poi presidente della Corte Costituzionale nel 2019/2020, è una donna sposata, madre di tre figli. Il suo impegno dottrinale è forte nella valorizzazione dei diritti fondamentali della persona, mettendo al centro non l’astrattezza delle norme, ma la dignità di ogni essere umano di cui il diritto è servitore. La sua presenza alla Corte Costituzionale è stata foriera di uno sguardo nuovo sulla giustizia, tanto che da più parti è stato definito il “volto umano” della Giustizia, ma che più propriamente è quella ricchezza di visione sulla realtà che viene dall’essere donna. Un atteggiamento diverso di apertura ed accoglienza di cui si trova espressione nella sua relazione sull’attività della Consulta nell’anno 2019. Il 2019 è stato l’anno in cui la Corte ha aperto le porte alla presenza dei giornalisti e dei privati cittadini, ha incontrato i giovani nelle scuole d’Italia e i carcerati nelle carceri. Dopo l’inizio della pandemia, nel 2020 sospesa per forza di cose la stagione dell’apertura fisica della Corte, è iniziata la stagione di apertura del processo costituzionale. Apertura che denota la ricchezza proveniente da uno sguardo femminile, predisposto ed orientato all’accoglienza e alla relazione con l’altro. Da lei stessa definita “una Corte “in relazione”, pienamente inserita nella trama istituzionale repubblicana, aperta alla società civile, protagonista anche sulla scena europea e internazionale”, la Corte Costituzionale con la delibera dell’8 gennaio 2020 (“Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”), ha introdotto l’istituto degli amici curiae e la possibilità di ascoltare esperti di altre discipline. Relazione come arricchimento. Ma anche relazione come capacità di portare più a fondo la giustizia, verso il bisogno reale della società: in questo senso la Corte ha previsto che “qualsiasi formazione sociale senza scopo di lucro e qualunque soggetto istituzionale possano presentare brevi opinioni scritte per offrire alla Corte elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso sottoposto al suo giudizio, derivanti dalla loro esperienza “sul campo”, soprattutto in relazione ad aspetti pratici dell’applicazione delle norme”.
Una giustizia dunque più aperta, che si arricchisce delle relazioni anziché alimentare lo scontro, che è più vicina ai bisogni della società civile, anziché restare distante e deferente.
Questa è la ricchezza di sguardo delle donne, di cui essere grati e grate a Marta Cartabia: un valore aggiunto e non solo tollerato, proprio in quelle posizioni apicali dove si possono mutare gli indirizzi e aprire alla Giustizia nuovi orizzonti di cambiamento.
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