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La Turchia esce dalla Convenzione di Istanbul per la violenza sulle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Con l’economia del paese in crisi sempre più profonda, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha preso nelle ultime ore due decisioni che apparentemente sono scollegate, ma che invece fanno parte del suo disegno per reagire alle difficoltà che incontra. La prima notizia è che la Turchia abbandona la “Convenzione contro la violenza sulle donne”, approvata proprio a Istanbul nel 2011 e di cui la Turchia era stata il primo paese firmatario.

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La seconda notizia è che Erdogan ha silurato il quarto capo della Banca centrale in 5 anni, e lo ha sostituito con un ex deputato del suo partito Akp, un uomo che per anni era stato dirigente in una banca di Stato. Un altro segnale della sua intenzione di mantenere stretto il controllo politico sulla banca centrale, in un periodo ancora disastroso per le finanze e l’economia della Turchia.

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Iniziamo dalla decisione di abbandonare la Convenzione sulle donne: approvata dai paesi del Consiglio d’Europa, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenze. La Convenzione venne approvata dai governi del Consiglio d’Europa l’11 maggio del 2011 a Istanbul ed è stata costruita sul concetto di prevenzione della violenza domestica, per proteggere le vittime e perseguire i trasgressori.

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Il testo classifica la violenza contro le donne come una “violazione dei diritti umani” e una forma di “discriminazione”. La Convenzione è il primo trattato internazionale a contenere una definizione di genere: all’articolo 3 il genere è definito come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”.

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Inoltre, il trattato stabilisce una serie di delitti caratterizzati da violenza contro le donne. Gli Stati dovrebbero includere questi nei loro codici penali o in altre forme di legislazione o dovrebbero essere inseriti qualora non già esistenti nei loro ordinamenti giuridici. I reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica, gli atti persecutori (stalking), la violenza fisica, la violenza sessuale, compreso lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, le molestie sessuali. La Convenzione prevede anche un articolo che prende di mira i crimini commessi in nome del cosiddetto "onore".

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Il ritiro è stato sancito da un decreto di Erdogan pubblicato oggi sulla Gazzetta ufficiale di Ankara: la ministra della Famiglia Zehra Zumrut Selcuk, ha scritto che i diritti delle donne sono “già garantiti” dalla legislazione interna, specialmente dalla Costituzione. Secondo Selcuk il sistema turco è “abbastanza dinamico e forte” per attuare nuovi regolamenti, a seconda dei bisogni.

Secondo il quotidiano filogovernativo “Daily Sabah” in Turchia chi si oppone alla convenzione ritiene che il trattato mini l'unità della famiglia, incoraggi il divorzio e che “venga utilizzato dalla comunità Lgbt per ottenere una maggiore ampia accettazione nella società”.

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La decisione di Erdogan ha suscitato la rabbia degli attivisti per i diritti civili e appelli a proteste in molte città. L'opposizione afferma che il ritiro avrebbe dovuto essere dibattuto in Parlamento, prima del decreto presidenziale. Secondo Gokce Gokcen, vicepresidente del principale partito di opposizione, il Partito popolare repubblicano (Chp), abbandonare il trattato significa “mantenere le donne come cittadini di seconda classe, e lasciare che vengano uccise”.

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Parallelamente, Erdogan ha preso un’altra decisione forte, quella di rimuovere il capo della banca centrale Naci Agbal che due giorni fa aveva deciso un forte aumento dei tassi di interesse per scongiurare l'inflazione, sostituendolo con un ex deputato dell’Akp (il suo partito). È la terza volta dal 2019 che Erdogan silura un banchiere centrale a cui chiede con insistenza tassi bassi, contrari a una politica monetaria rigorosa che sarebbe l’unica in grado di fermare il crollo dell’economia turca.

Il governatore uscente Naci Agbal, nominato meno di cinque mesi fa, si era guadagnato l'elogio del mercato aumentando in modo aggressivo il tasso di politica di 875 punti base al 19%, il più alto di qualsiasi economia del G20.

Il sostituto Sahap Kavcioglu, ex deputato dell’Akp di Erdogan aveva criticato ripetutamente la politica aggressiva di Agbal. La mancanza di indipendenza monetaria ha minato la credibilità monetaria turca e ha contribuito a mantenere l'inflazione a due cifre per la maggior parte degli ultimi quattro anni. Dal 2018 la lira ha perso metà del suo valore.

 

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