ecco i perché – La Voce di New York
Il giorno dopo l'inaugurazione di Donald Trump, donne da tutta l'America arriveranno a Washington per marciare contro i pregiudizi rappresentati dalla nuova presidenza. Abbiamo intervistato una tra le più giovani organizzatrici della Women's March, che ci ha detto: "Marciamo per tutte quelle voci che sono state messe a tacere fino a questo momento"
L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti è stata a dir poco controversa. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il paese per protestare contro un uomo che ritenevano completamente inadatto a rivestire tale ruolo, per poi essere derise come “quelli che non sanno perdere” da altre centinaia di migliaia di persone. Tale definizione potrebbe essere giusta nel caso in cui quei manifestanti fossero rimasti semplicemente sconvolti per la sconfitta della squadra di baseball della loro città natale, perdendo così la world series… Ma non si tratta di niente di tutto ciò.
Il culmine di questa serie di marce sarà probabilmente il 21 gennaio 2017, quando si stima che 200.000 donne e altri sostenitori scenderanno per le strade di Washington DC in occasione del primo giorno in carica dell’amministrazione Trump. Questo evento storico è cominciato quando Teresa Shook, una nonna delle Hawaii, ha deciso di creare un gruppo su Facebook invitando quaranta dei suoi contatti a dire la propria a seguito delle elezioni. Gli amici lo hanno quindi condiviso con i loro amici e così via, fino a raggiungere le attuali dimensioni. Nonostante le polemiche contro l’organizzazione, accusata ad un certo punto di non aver facilitato la diversità e inclusività, la marcia si è sviluppata per affrontare questi problemi e per fare del suo meglio per rappresentare tutte le donne.
Appena pochi giorni prima dell’inaugurazione, ho avuto il privilegio di parlare con Madison Thomas, una studentessa di Seattle iscritta al secondo anno alla Georgetown University di Washington DC, nonché coordinatrice nazionale dell’impegno universitario per la marcia. Al momento dell’elezione di Trump, Madison lavorava come stagista per il senatore dello stato di Washington Patti Murray. È stato dopo aver parlato con gli elettori spaventati, che ha capito di dover fare qualcosa:
Cosa ti ha spinto a partecipare al coordinamento di questa marcia?
“Dopo l’elezione, sono rimasta decisamente sconvolta e delusa dal risultato. A quel tempo, lavoravo a Washington come stagista per il senatore Patty Murray, e ho passato un sacco di tempo rispondendo alle telefonate degli elettori. Le persone chiamavano con tanta paura e preoccupazione per il futuro degli Stati Uniti, e onestamente non sapevo come rispondere. Tutti volevano sapere cosa potevamo fare, quale sarebbe stato il passo successivo? Quando ho visto su Facebook l’evento della marcia delle donne, sapevo che si trattava di un qualcosa di concreto per potermi mettere in gioco, per far sentire la mia voce e avere un impatto. Ho allungato la mano agli organizzatori della manifestazione, suggerendo di puntare su campagne di sensibilizzazione da parte delle università, proponendomi come leader. “
Com’è stata finora la tua esperienza di coordinamento della marcia?
“Coordinare la marcia è stato come un sogno che si avvera. Le donne con cui lavoro sono assolutamente le persone più stimolanti e incredibilmente forti che io abbia mai incontrato. Ogni giorno partecipo alla nostra conference call mattutina e mi sento fortunata di avere la possibilità di conoscere e lavorare con questi grandi modelli di comportamento. Ma, come puoi ben immaginare, è anche follemente impegnativo. Passo dopo passo è richiesta una notevole capacità di coordinamento e di comunicazione, ogni secondo di ogni giorno. In poche parole, è un’esprienza intensa, ma gratificante”.
Qual è il messaggio che desideri trasmetta la marcia, e chi vorresti che lo ricevesse?
“Il nostro obiettivo è quello di far convergere tutte le comunità che si sono sentite minacciate dalla recente svolta nella politica degli Stati Uniti in una forza unita, che si batte per tutti, in particolare per gli emarginati, in nome della giustizia e dell’uguaglianza. Il messaggio che ci auguriamo possa ricevere la nuova leadership di questo paese è che gli Stati Uniti sono grandi proprio per la nostra diversità, non a dispetto di essa. Noi, donne e alleati, ci rifiutiamo di ritirarci a causa dell’odio, della paura e del bigottismo che minacciano i nostri diritti e le nostre comunità. Questo non è solo un messaggio per il presidente eletto Trump, ma per il nuovo Congresso, le sue nuove scelte di gabinetto, e ai leader di tutto il mondo. Il 21 gennaio ci saranno più di 350 marce consorelle in tutti i 50 stati e in più di 40 paesi. Questo messaggio va a ogni Congresso di Stato, ogni governatore, ogni funzionario locale, ogni leader globale, ogni essere umano”.
Come ti aspetti che Trump reagisca a questa marcia nel suo primo giorno alla Casa Bianca?
“Sinceramente, con un tweet infantile.”
Secondo te, cosa deve accadere affinché questa marcia diventi leggendaria come la marcia di MLK su Washington mezzo secolo fa?
“La marcia ha bisogno di andare al di là di un semplice evento della durata di un giorno. I diritti delle donne non sono semplicemente qualcosa da poter aggiustare in un solo giorno, attraverso un unico atto del Congresso. La lotta deve continuare una volta trascorso il 21 gennaio. Con il notevole interesse e la passione che stiamo percependo da donne in tutti gli Stati Uniti, è evidente che questo non terminerà nel giro di una settimana. Tuttavia, abbiamo bisogno di sentirci continuamente coinvolti, di stare in piedi, di organizzare, se vogliamo che qualcosa cambi”.
Tra 50 anni, cosa vorresti che i tuoi nipoti chiedessero riguardo a questa marcia? E come risponderesti?
“Bella domanda. Vorrei che loro mi chiedessero come mai fosse così importante marciare. Se le donne hanno il diritto di voto, riescono praticamente a mantenere lo stesso lavoro degli uomini, hanno il diritto di controllo delle nascite, l’aborto, ecc., allora perché abbiamo ancora bisogno di lottare per i diritti delle donne? E mi auguro che questa sia la loro domanda, perché magari saranno cresciuti in un mondo dove gli uomini e le donne sono veramente uguali, senza conoscere niente di diverso. È molto più importante dell’uguaglianza su carta, questa sarebbe la mia risposta. Marciamo perché migliaia di donne che sono registrate o immigrate senza documenti non hanno lo stesso diritto di voto. Marciamo perché una donna latina viene pagata 58 centesimi contro il dollaro di un uomo, di una donna afro-americana che viene pagata 65 centesimi, una donna bianca che viene pagata 82 centesimi, mentre una donna asiatica ne guadagna 87. Marciamo perché le donne sono scoraggiate dal perseguire una carriera in matematica e scienze in giovane età. Marciamo perché i diritti riproduttivi dovrebbero essere a disposizione di tutte le donne, non importa la loro situazione finanziaria. Marciamo perché nessuna donna dovrebbe temere violenza sessuale o stupro. Marciamo perché la comunità LGBTQIA dovrebbe avere tutto il diritto di conoscere e controllare il proprio corpo. Marciamo in modo che ogni donna possa continuare a lavorare e crescere una famiglia con un’assistenza all’infanzia accessibile, congedo familiare retribuito, e giorni di malattia. Marciamo per le tante voci che sono state messe a tacere fino a questo momento”.
Pensi che le altre marce nelle altre città contribuiranno al successo della marcia su Washington? O pensi che rischino di affievolirne l’impatto?
“Il nostro programma delle marce consorelle è assolutamente stupefacente e io credo senza dubbio che contribuirà positivamente alla ricezione complessiva del messaggio. Ci rendiamo conto dell’incapacità economica di molte donne di essere a DC per la marcia, quindi siamo grati di avere opportunità aperte a tutti in centinaia di città in tutto il paese. Quante più persone parteciperanno, tanto più forte sarà il messaggio che invieremo. E come ho detto prima, questo messaggio non è solo per il presidente eletto Trump o il Congresso degli Stati Uniti, ma è per i governi locali di tutto il mondo”.
(Traduzione a cura di Giada Gramanzini)