[Equità Di Genere] Femminile e sostenibile: il futuro che dipende da noi
Il Rapporto Istat 2020 [1] segnala che, su 101mila nuovi disoccupati in Italia, 99mila sono donne, perché svolgono i lavori meno tutelati o meno riconosciuti: lavori di cura, ristorazione, turismo. Le donne vivono ancora in una situazione di segregazione occupazionale in cui gli uomini svolgono alcuni lavori “tipicamente maschili” e le donne svolgono quelli “tipicamente femminili”. Diventa quindi difficile guardare all’ingresso delle donne nelle posizioni di potere e nei CdA delle aziende, se sono sistematicamente escluse da alcune attività professionali. Il 70% delle persone più povere del Pianeta sono donne, nel Sud del mondo la forza-lavoro rurale è fatta di donne [2] che non possiedono la terra ma che, ogni giorno, hanno a che fare con le conseguenze peggiori del clima che cambia: difendere la propria esistenza, famiglia, casa, raccolto dalla siccità o dalle inondazioni. L’80% dei profughi climatici è composto da donne [3]. Il Rapporto 2018 di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata a studiare la condizione femminile, afferma: “Raggiungere l’uguaglianza di genere non è solo un obiettivo importante in sé e per sé, ma anche un catalizzatore per raggiungere l'Agenda 2030 e un futuro sostenibile per tutti” [4].
Dall’equità di genere e dalla sostenibilità passano le più importanti partite culturali e di azione per conquistarci il futuro che non è un diritto acquisito. Per questo, la sfida lanciata da Letture Lente di AgCult è davvero cruciale. Raccolgo quindi il guanto partendo dall’interessante riflessione di Eleonora Pinzuti, che affronta il tema dell’empowerment femminile necessario per rispondere alle domande che l’oggi e il domani ci pongono.
DAI GIOVANI UNA LEZIONE DI REALISMO NELL’ERA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Siamo in un tempo di disvelamento in cui le belle idee non bastano, sono prese in considerazione se accompagnate da un piano di azione. E oggi non ci sono dubbi su cosa deve essere fatto. La distruzione della natura, le guerre, le diseguaglianze, le ingiustizie sociali, aggravate dalla pandemia stanno minacciando in modo irreversibile la famiglia umana, le specie animali e vegetali. Abbiamo un’unica Terra da salvare e occorre spezzare il ciclo di accaparramento delle risorse e di impoverimento causato da chi persevera negli errori dei padri (compiendo errori ancora più gravi). Non esiste un presente senza un domani: qualsiasi cosa facciamo oggi avrà un impatto su quello che succederà in futuro. Per affrontare questi problemi occorre trovare soluzioni concrete e darsi strutture organizzative che indirizzino verso scelte individuali cooperative, che tengano conto degli effetti delle proprie azioni e decisioni sull’utilizzo di alcune risorse preziose, scarse e deperibili da parte di altri esseri umani che ne avranno bisogno in futuro.
Come sostiene uno dei padri del pensiero dello sviluppo sostenibile, Jeffrey Sachs, in “L’era dello Sviluppo Sostenibile” [5], abbiamo bisogno di raggiungere contemporaneamente obiettivi di inclusione, coesione, prosperità economica e tutela ambientale. Questi obiettivi si raggiungono attraverso una buona governance dei processi. Quando si parla di governance si intendono regole di comportamento, soprattutto nelle organizzazioni. Non si tratta solo di politica governativa, ma di regole semplici che possono essere assunte da tutti, dai semplici cittadini alle grandi istituzioni. Attraverso questi processi si fa strada l’idea di un nuovo tipo di comunità aperta, generosa, centrata sulla pluralità e sulla comunanza, attenta alla generazione e rigenerazione delle risorse comuni. Queste comunità producono risultati inediti quando si sviluppa quello che Elinor Ostrom chiama “senso di ownership” [6], che si manifesta quando tutti i soggetti coinvolti in un determinato processo trasformativo si sentono comproprietari del progetto di trasformazione e soprattutto quando diventano proprietarie quelle persone che, prima, erano considerate beneficiari o utenti passivi. Su questo tipo di cambiamenti, soprattutto in campo sociale e ambientale, sono i giovani a darci grandi lezioni. Realistici, pragmatici, ci chiedono l’impossibile e dettano i tempi del cambiamento. Esercitano potere e rompono lo status quo in un nuovo modo: concepiscono il mondo come contesto plurale fatto di identità e differenze, vedono l’azione come atto politico e trovano modalità per agire di concerto con altri. Da loro dobbiamo imparare a guidare le nuove forme di sviluppo di cui abbiamo bisogno per progredire. L’accoglimento della pluralità è la base della vita e della politica secondo Hannah Arendt [7]: siamo tutti uguali, cioè tutti umani, ma in un modo tale che nessuno di noi sia mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà.
RIABILITARE IL PENSIERO DELLA NASCITA PER SCRIVERE UNA NUOVA STORIA
Non sono sempre stata femminista, lo sono diventata. Sono cresciuta in una famiglia con un saldo principio di parità tra uomo e donna e un grande rispetto per le diversità. Per questo quando sento dire che una donna è meglio di un uomo provo fastidio. Mi ribello a tutti ciò che non è inclusivo: ad ogni forma di fascismo, omofobia, razzismo, classismo, abilismo (è un efficace neologismo ma spiega bene perché, nel nuovo Governo appena insediato, credo avessimo bisogno di un Ministero delle Diversità e non delle Disabilità).
Ho scoperto il femminismo tardivamente, quando ho fatto capolino nel mondo e, dopo diversi pugni nello stomaco, ho deciso che i diritti di riconoscimento come donna li avrei riconquistati pezzo per pezzo. Una volta raggiunto questo obiettivo mi sono sentita in pace. Per farlo ho abbracciato un femminismo inclusivo, intersezionale, che mi è servito per comprendere in che modo l’ingiustizia e la diseguaglianza sociale avvengono per intersezione di molteplici forme di discriminazione. Questa prospettiva permette di pensare ad un femminismo non divisivo. Mai come in questo momento credo che empowerment femminile voglia dire più qualità della vita per tutti.
Abbiamo bisogno di non smettere di parlare di parità di genere, perché la negazione del femminile è alla base della cultura dell’esclusione. L'universo femminile è qualcosa di più di una delle diverse possibilità dell'esistenza, ne costituisce il presupposto. Allora, perché il femminile ha avuto un destino completamente diverso - e senza dubbio più sofferto - rispetto a quello dell'uomo nella società? Una spiegazione la offre Hannah Arendt [8], che propone una visione nuova dell’essere umano partendo dalle sue due uniche condizioni certe: la vita e la morte, l’inizio e la fine. La Arendt evidenzia come, in particolare nella cultura occidentale, si consideri una sola delle due condizioni: la morte. Nella lingua greca, infatti, fin da Omero gli uomini sono chiamati i mortali. Questo significa definire gli esseri umani per la loro condizione di morte, di finitezza, di contingenza. Hannah Arendt propone come alternativa un pensiero sulla nascita da cui misurare la finitezza e la contingenza dell’umano. Il potere massimo, quello di uccidere, è dato agli uomini (da qui le guerre, che hanno solo combattenti maschi). L’identità maschile, non solo occidentale, è fortemente costruita sulla scena del duello, in cui si uccide e si viene uccisi. Il dare morte in quanto massima potenza del maschile rappresenta la fondazione dell’ordine politico ed è la risposta al dare vita come massima potenza del femminile, che rappresenta la fondazione dell’ordine umano. La nascita, secondo Arendt, non viene tematizzata perché vede come protagonista la soggettività femminile che ha quest’altra esclusiva potenza. In questo modo, negando la nascita si nega il femminile.
Mentre il dare morte non è geneticamente legato al maschile, il dare vita è legato geneticamente al femminile. Questa potenza, che suscita l’invidia maschile, viene espulsa dall’ordine politico, l’unico che viene riconosciuto come capace di dare forma al processo di civilizzazione. Nasce dalla cultura greca, per esempio, l’idea che l’economia femminile della maternità sia considerata apolitica, quindi esclusa dai processi di civilizzazione. Il cittadino ha una identità umana ben precisa: maschio (non donna), adulto (sopra i 21 anni), libero (non schiavo). In questo modo, si struttura un potere ordinante che è quello politico (su questo Foucault [9] ha scritto in modo intenso), con lo scopo di difenderlo dal femminile. Da questa esclusione la matrice di tutte le esclusioni: tutto ciò che è estraneo, straniero, tutto ciò che appare all’orizzonte e può minare l’ordine politico (fallico-logocentrico secondo Arendt, basato sul soggetto maschile), viene espulso. Secondo Arendt nasce da qui la preminenza di un solo sesso della razza umana, necessaria per fondare il percorso della civilizzazione che fa partire dalla centralità del maschio la definizione di tutte le differenze, partendo proprio dalla differenza sessuale. Questa storia e questa visione non sono più sostenibili.
IL POTERE FEMMINILE AL SERVIZIO DI UNA NUOVA CULTURA DELLO SVILUPPO
Per centinaia di anni il mondo ha diviso gli esseri umani in due categorie, per poi escludere e opprimere una delle due categorie. Sono nate per questo molte organizzazioni femministe che hanno il merito di aver reso possibili miglioramenti nella vita delle donne: quando la vita di una donna migliora, migliora la vita di tutti, compresa quella di minoranze ed esclusi (e non è vero il contrario). Secondo un Rapporto del 2015 dell’Istituto McKinsey, se nel 2025 la partecipazione femminile all'economia raggiungesse la parità con quella maschile, l’economia globale crescerebbe di 28.000 miliardi di dollari. Per questa ragione la lotta per la parità di genere non è una lotta di parte, ma è lotta per garantire l’equità sociale tout-court: i progressi nell’alfabetizzazione e nell’istruzione, i diritti di voto raggiunti in quasi tutti i Paesi, la firma di trattati internazionali per difendere i diritti, la punizione per le aggressioni e le violenze nei confronti delle donne (e di minoranze) ad opera di uomini. Sono felice di aver visto, nei miei primi 50 anni di vita, cambiare il modo di esercitare la leadership per il cambiamento. Il modo di gestire le trasformazioni e la letteratura sulla leadership ha fatto molti passi avanti: Max Weber descriveva i leader come predestinati capaci di sfidare per grazia le forme tradizionali di autorità [10]. Solo più tardi l’idea di leadership ha preso in considerazione capacità meno divine e più terrene come quella di identificare problemi e soluzioni, far lavorare insieme intelligenze diverse, elaborare proposte in grado di aggregare consenso. Per arrivare lì, ci vuole un ingrediente: la capacità di creare una visione condivisa, di portare alla luce e mettere in discussione modelli mentali consolidati e incoraggiare nuovi modelli di pensiero e di organizzazione. Una leadership che si basa su una tensione creativa che alterna visione e concretezza: leadership generative, autorevoli e generose, che immaginano il potere come possibilità di agire non per sé ma per altri, capaci di guidare trasformazioni, di far evolvere il conflitto in confronto, di ricucire strappi e disconnessioni [11].
Con queste modalità, molte donne stanno cambiando il mondo pezzo per pezzo: donne che cambiano attraverso la politica come Sanna Marin, alla guida del governo di coalizione tutto al femminile della Finlandia, Sviatlana Tsikhanouskaya, candidata alla presidenza in Bielorussia e oggi a capo del movimento democratico in esilio che si batte contro l’autoritarismo di Lukashenko. Scienziate, come l’italiana Adriana Albini, alla guida del laboratorio di biologia vascolare e angiogenesi dell’IRCCS MultiMedica e professoressa di Patologia generale all’Università di Milano-Bicocca, Sarah Gilbert, a capo del gruppo di Oxford per la ricerca del vaccino per il COVID-19. Leo Yee-Sin, responsabile della gestione delle crisi al Centro malattie infettive di Singapore, non solo è stata in prima fila nella gestione della pandemia attuale, ma si ricordano i suoi studi per migliorare le cure dell’Aids e la sua esperienza nella gestione dell’epidemia di Sars. Non solo, bilancia il suo lavoro con gli impegni di madre di tre bambini. E ancora, in Afghanistan, Somaya Faruqi, team leader nel campo della robotica, ha realizzato un respiratore low-cost per trattare i pazienti di affetti da coronavirus. Eccellenze femminili si trovano anche in Africa, come Ethel Nakimuli-Mpungu dell’Università di Makerere in Uganda, che lavora per realizzare una terapia più efficace ed appropriata culturalmente per le persone colpite da HIV e depressione. Iman Ghaleb Al-Hamli è la leader di un gruppo di donne che realizza piccoli impianti solari in grado di fornire energia pulita e a basso costo vicino la linea del fronte della devastante guerra civile in Yemen; inizialmente veniva schernita perché faceva un “lavoro da uomini” ma oggi, come tutte le altre donne sopracitate, si è guadagnata il rispetto della comunità. Nella lista, anche Fang Fang, scrittrice cinese che durante la pandemia ha coraggiosamente documentato gli eventi a Wuhan, che oggi molti in Cina additano come una “traditrice”. Emerge anche la storia di Nemonte Nenquimo, indigena Waorani impegnata a difendere il suo territorio, la sua cultura e i modi di vivere dei popoli amazzonici. Come Shani Dhanda, giovane donna colpita da una grave disabilità, diventata con la sua incredibile energia un’influencer a livello internazionale per l’inclusione delle persone diversamente abili: queste donne si battono per costruire una società più sostenibile, rispettosa, inclusiva.
QUATTRO PISTE PER IL DECALOGO
A partire da questo punto di osservazione, sull’equità di genere vedo 4 “piste” di lavoro, che altre donne che stanno partecipando alla sfida di Letture Lente di AgCult hanno già sottolineato prima di me. Sono tutte piste da percorrere in modo congiunto e rapido, a partire da qui, da noi.
1. Cura e vulnerabilità, sono temi rimessi al centro del discorso politico dalla pandemia: è chiaro che le diseguaglianze profonde partono dalla salute e dall’educazione. Diventa più che mai necessario lo sviluppo di un welfare che trovi nella cultura una risorsa, per un cambiamento culturale, capace di trovare nuove soluzioni concrete alle nuove problematiche, creando benessere psicologico, salute, coesione sociale, partendo dall’empowerment delle persone e delle comunità, dalle relazioni di prossimità. Innestare processi di produzione e disseminazione culturale in processi di welfare di comunità contribuisce a connettere la spinta trasformativa delle attivazioni dal basso con il coinvolgimento efficace necessario delle realtà istituzionali. Con politiche nazionali, europee e globali. La cultura è una grande risorsa salute.
Le misure di contenimento della crisi non hanno coinvolto allo stesso modo uomini e donne. Le donne hanno fatto da sandwich tra bambini, anziani da accudire e lavoro da mantenere, molte hanno dovuto prendere un part-time non desiderato, a partire da uno stipendio che è strutturalmente quasi il 20% più basso di quelli di un uomo. Il tutto in un contesto in cui il 63,3% degli Italiani pensa che sia giusto che una donna debba sacrificarsi per la famiglia (dati Censis novembre 2019). Nel parlare del riconoscimento del lavoro delle donne non possiamo dimenticare il tema della remotizzazione (che non è necessariamente smart-working), che ha creato per molte donne condizioni di lavoro ancora più difficili. Insomma, è il sapere femminile che deve innovare il sistema dei servizi e i modelli di organizzazione e gestione dei tempi di lavoro.
2. La rivoluzione digitale e biotecnologica che ci pone davanti alle più grandi sfide che la nostra specie abbia mai affrontato. Il digitale può essere un nuovo potere, soprattutto per le donne e per l’agire femminile, ma questo potere va costruito. La convergenza delle tecnologie informatiche e di quelle biologiche potrebbero espellere dal mercato del lavoro milioni di persone, mettendo a rischio l’uguaglianza e la libertà (e abbiamo appena visto solo l’inizio di questo processo). Gli algoritmi che elaborano i big data potrebbero instaurare dittature digitali in cui tutto è concentrato in una piccola élite mentre la maggior parte delle persone cade nella totale irrilevanza: sulla scena rimangono solo specialisti che dicono cose incomprensibili ai più. Stiamo facendo esperienza di webinar e di comunicazioni di ogni tipo in cui esperti (prevalentemente maschi) di nuove tecnologie, globalizzazione, blockchain, ingegneria genetica, intelligenza artificiale, apprendimento automatico, dicono cose che le persone normali non capiscono e pensano che non li riguardino [12]. Attraverso quei canali passeranno le rivoluzioni che contano. Attraverso quali mezzi potremmo proteggere i diritti di tutte le persone, continuando a garantire a tutti di poter scegliere, votare, curarsi e apprendere?
Tutti i mestieri del futuro sono contaminati dalle tecnologie (o anche sostituiti da esse) e non avere la dotazione necessaria in termini di competenze vuol dire rimanere fuori dal mercato del lavoro. Occorre fare tutto il possibile perché le ragazze si avvicinino ai percorsi STEM (e tutti i percorsi dovrebbero essere STEM + human). Le istituzioni nazionali devono mettere in campo da subito politiche di sostegno al superamento del divario di genere, non solo con le quote di riserva (che hanno dato risultati positivi in termini di presenza femminile nei ruoli apicali della Pubblica Amministrazione e dei Consigli di amministrazione di aziende pubbliche e private), ma anche con misure strutturali ed esigibili che possano garantire progressione di carriera, soprattutto attraverso la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Realizzare un ambiente di lavoro che consenta a tutte le persone di essere libere, creative, di formarsi e con la possibilità̀ di lavorare in modo flessibile, aumenta le chances di avanzamento di carriera per le donne, supera gli elementi di discriminazione per tutti. La proposta del Ministro alla Pari opportunità, Elena Bonetti, di istituire un Osservatorio sulla parità di genere per monitorare il livello di gender equality dei soggetti pubblici e privati, mi pare un necessario punto di partenza, così come prevedere una valutazione di impatto di genere nella fase progettuale di ogni iniziativa candidata a diventare policy.
3. Mai senza Europa: la promozione delle opportunità di genere finanziate dall’Unione Europea ha molto da insegnare. Esse si basano sull’approccio duale, ovvero mettono insieme l’empowerment femminile e i mainstreaming di genere. É un approccio diverso dalle normative che regolano “per quote” la presenza delle donne, ad esempio nella composizione delle liste elettorali o nei CdA. La crisi Covid-19 ha avuto il merito di avvicinare queste due posizioni. Credo che la parità di genere in Italia la si debba imporre per legge e che non si debba indietreggiare neppure di un passo dalle posizioni conquistate. Per esempio, le imprese che hanno applicato la Legge Golfo-Mosca (sull’equilibrio di genere nelle società quotate), hanno portato a dei notevoli miglioramenti concreti, sia sul riconoscimento delle donne, sia verso un maggiore orientamento alla sostenibilità dell’impresa, pur non negando che non si è ancora riusciti a scalfire il pregiudizio culturale di un riconoscimento di merito ancora orientato a premiare gli uomini.
4. L’equità di genere con gli uomini, non contro gli uomini. Desidero concludere con un pensiero rivolto alle nuove generazioni, per le ragazze in particolare. Oggi non basta combattere la diseguaglianza di genere: si tratta di lavorare per l’uguaglianza di genere. È un traguardo a cui uomini e donne devono concorrere. Intorno a noi ci sono tante donne che lottano per cambiare le cose, soddisfatte ma stanchissime, fiere e orgogliose per i traguardi ottenuti ma consapevoli che da sole non ce la possono fare. Occorre lavorare con gli uomini da un punto di vista educativo e culturale per cambiare il loro comportamento e per cambiare il contesto culturale in cui far fiorire il pensiero femminile come contributo specifico per lo sviluppo locale. É un lavoro che va fatto soprattutto nelle scuole e nelle università, con un orizzonte medio-lungo. Come dice la convenzione di Istanbul [13], è necessario un approccio integrato su più livelli di intervento, e gli uomini devono far parte di questo progetto di cambiamento radicale. Laddove vi imbattete in uomini che non abbracciano la sfida dell’uguaglianza di genere, non perdete tempo: cambiate strada.
NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] ISTAT. (2021). Occupati e disoccupati - Dicembre 2020 (dati provvisori). Istat. Consultabile a https://www.istat.it/it/files//2021/02/Occupati-e-disoccupati_dicembre_2020.pdf (consultato il 15 Marzo 2021).
[2] Oxfam. (2021). Il virus della disuguaglianza. Un'economia equa, giusta e sostenibile per ricucire un mondo lacerato dal Coronavirus (Sintesi). Oxford: Oxfam International. Consultabile a https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2021/01/FINAL_Sintesi_report_-Il-Virus-della-Disuguaglianza.pdf
[3] Greco P., (2019) Scienza&Società. Vol. 35-36: Frenesia del viaggio. Storie di migrazioni e le migrazioni nella storia, EGEA, EAN.
[4] Strategia del DFAE Uguaglianza di genere e Diritti delle donne, Dipartimento federale degli affari esteri DFAE, 2017.
[5] Sachs, J. (2015). L’era dello Sviluppo Sostenibile. Milano: Università Bocconi Editore.
[6] Ostrom, E. (1990). Governing the commons. The evolution of institutions for collective action. Cambridge University Press.
[7] Arendt H., (2006) Cos’è la politica? Biblioteca Einaudi, Torino.
[8] Arendt, H. (1964). Vita activa. La condizione Umana. Milano: Bompiani.
[9] Foucault M. (2013), La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano.
[10] Max Weber (1968) Religione e società, Il Mulino, Bologna.
[11] Senge, P. (1990), The Fifth Discipline: The art and practice of the learning organization, Doubleday, New York.
[12] Harari H. Y, (2019) Lezioni per il 21 secolo, Bompiani, Milano.
[13] Council of Europe. Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence (2011).
Tiziana Ciampolini è psicologa sociale e ha conseguito il dottorato di ricerca presso il dipartimento di Economics and Management dell’Istituto Universitario Sophia. È esperta di analisi e sviluppo di contesti fragili, si occupa di implementazione di innovazione sociale in Italia e all’estero. Dirige S-nodi, agenzia di sviluppo torinese per l’innovazione contro la povertà nell’ambito del programma Azioni di Sistema di Caritas Italiana. È la rappresentante italiana nella Task Force Social Innovation and Social Economy di Caritas Europa. Ha lavorato per la Pubblica Amministrazione e il terzo settore occupandosi di intervento, ricerca e formazione. Ha rappresentato l’Anci nella Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Torino.
ABSTRACT
The most important challenges for a better future are related to gender equality and sustainable development. There is no present without a tomorrow: whatever we do today will have an impact on what will happen in the future. The destruction of nature, wars, inequalities, social injustices, intensified by the pandemic, are irreversibly threatening the human beings, animal and plant species. To tackle these issues, it is necessary to find concrete solutions and to take into account the effects of individual choices on our common planet. To change the status quo we need a new idea of leadership, a female leadership. A generative and generous leadership, able to imagine power as the possibility of acting not for oneself but for others, to guide transformations, and to transform conflict into confrontation.