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Turchia: non è un paese per donne / Notizie / Home

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Guardando il video si capisce che la situazione più che comica è stata tragica. Lunedì il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha ricevuto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Tre attori politici e solamente due sedie. Così durante l’incontro ufficiale, mentre i due uomini si sono tranquillamente seduti, la presidente della Commissione è rimasta senza posto e si è accomodata su un divano laterale di fronte al Ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu. “Le donne sono le nostre madri” ama ripetere il presidente turco per sottolineare quanto le rispetti e le consideri. In realtà fuori dal ruolo di madre, le donne non sembrano esistere nella Turchia del presidente “sultano” e probabilmente anche per questa mancanza di cultura e sensibilità di genere, lo scorso 20 marzo, la Turchia si è ritirata dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, conosciuta anche come Convenzione di Istanbul

La Convenzione, nata con l’obiettivo di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità dei colpevoli di violenza sulle donne attraverso strumenti legalmente vincolanti, è stata approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 e aveva visto la Turchia ratificarla per prima il 12 marzo 2012. E poi? E poi basta, perché a detta della Ministra della Famiglia Zehra Zumrut “A tutelare le donne turche ci sono già le leggi nazionali, a partire dalla nostra Costituzione”, mentre secondo i conservatori e lo stesso partito del presidente Erdogan, l’AKP, “la convenzione mina la struttura della famiglia tradizionale e il sistema di valori condivisi della Turchia, incoraggiando il divorzio e l’omosessualità”. Una posizione contestata, a ragione, da tutte le associazioni femminili turche, che nelle scorse settimane si sono riversate nelle piazze di Istanbul e di altre città organizzando anche una protesta quotidiana tutte le sere alle 21.00 dai balconi e dalle finestre di casa. Secondo le Nazioni Unite “la struttura patriarcale della società turca espone il 38% delle donne sposate a subire violenza fisica o psicologica” e  solo l’anno scorso, ha denunciato la piattaforma turca Kadın Cinayetlerini Durduracağız, 300 donne sono state vittime di femminicidio e 171 sono morte in circostanze sospette”.  

Quello di Erdoğan è un atto gravissimo che spiega nella sua drammaticità quanto sia cambiato il clima nei paesi del Consiglio d’Europa in 10 anni a questa parte”, ha spiegato a Vita Antonella Veltri, presidente di Donne in rete contro la violenza. Nel 2011 la Convenzione di Istanbul venne salutata unanimemente come una grande conquista, il segnale che finalmente anche i governi avevano preso sul serio la necessità di intervenire per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne, riconoscendola come un fenomeno strutturale radicato nella cultura patriarcale dominante, incompatibile con i principi costituzionali di uguaglianza tra uomini e donne scritti in tutte le costituzioni. “La sua applicazione - ha spiegato la Veltri - anche nei paesi che l’hanno ratificata come l’Italia, resta però incompleta, come ha dimostrato l’ampio Rapporto ombra per il Grevio sull’Italia pubblicato a gennaio del 2020. E questo certamente non aiuta a dimostrare l’impatto enorme che è destinata ad avere se applicata pienamente, un impatto, in termini di contenimento della violenza maschile e di migliore supporto alle donne che vi si sottraggono, che ne farebbe uno strumento incontestabile. In compenso, purtroppo, la scelta della Turchia rafforza quegli schieramenti politici reazionari, di estrema destra, alleati con i movimenti pro-vita, che non tollerano la libertà di scelta delle donne e l’affermazione di una effettiva uguaglianza di diritti e di opportunità per mettere fine al dominio patriarcale”. 

L’impianto della Convenzione di Istanbul è sulla carta molto innovativo e se da un lato definisce 4 aree - le cosiddette 4 P - su cui intervenire, ovvero prevenzione, punizione dei colpevoli, protezione e supporto alle vittime e l'implementazione di politiche di genere, dall’altro impone agli stati di intervenire su stereotipi e pregiudizi sessisti per modificare i ruoli di genere tradizionali riequilibrando relazioni di potere che vedono le donne troppo spesso in posizione subordinata all’uomo. “È evidente che questo impianto contrasta con la visione sempre più tradizionalista - e dunque patriarcale - che il partito al potere in Turchia, ma anche forze politiche di destra e estrema destra sempre più aggressive in tutta Europa, portano avanti”. Per la Veltri “In Italia ne abbiamo avuto un assaggio con il Ddl Pillon, contro il quale abbiamo contribuito a creare un vastissimo movimento d’opinione e di piazza, che conteneva misure in aperto contrasto a quanto disposto dalla Convenzione di Istanbul, che per esempio vieta la mediazione familiare nei processi di separazione e affidamento dei figli quando ci sono situazioni di violenza”.  

Oggi sottrarsi alla Convenzione di Istanbul significa non voler riconoscere che la violenza maschile è un fenomeno strutturale e che le condotte violente costituiscono sempre dei reati. Potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso turco? Forse! Erdogan viene da due decenni di misure liberticide e illiberali, che anche grazie alla complicità di un’Italia che lo ha armato e di un Europa che lo ha  pagato per contenere l’esodo dei migranti in fuga dalla Siria, ha collezionato successi politici ininterrotti. Dal 2018, però, il suo partito, non ha più la maggioranza assoluta in Parlamento e nel 2019 ha patito pesanti sconfitte in tutti i grandi centri urbani, confermando la sua forza solo nelle campagne. La lotta serrata e anti democratica di Erdogan contro ogni tipo di opposizione interna deve fare i conti adesso anche con le gravi difficoltà economiche che sta attraversando il Paese, con la Lira turca che ha da poco subito un tracollo nei mercati valutari, nonostante un intervento governativo per frenarne la caduta. Una crisi economica che ha dato forza alle opposizioni e alla società civile, che criticano pesantemente l’attuale presidente accusandolo di sprecare denaro pubblico in spese militari per i numerosi interventi armati dell’esercito turco in Siria, in Libia e in Azerbaijan e di cancellare quotidianamente diritti civili e umani fondamentali, come quelli di genere.

Per questo non appaiono rosei gli scenari che si profilano per una leadership che, oltre alle difficoltà economiche, si trova ad affrontare una serie di proteste interne, non da ultimo quelle di migliaia di donne turche contrarie al ritiro del paese dalla Convenzione di IstanbulIl 29 maggio all’Atatürk Olimpiyat Stadı di Istambul si giocherà la finale di Champions League. Se non è stata prevista una sedia per la presidente Ursula von der Leyen dobbiamo aspettarci, in caso di un arbitraggio al femminile, lo stesso trattamento di “genere” riservato dal Qatar durante la premiazione della finale del Mondiale per Club? In febbraio lo sceicco Joaan bin Hamad Al Thani  si era rifiutato di stringere la mano all'arbitro della sfida, la brasiliana Edina Alves Batista e alla sua assistente Neuza Back. Ci sono problemi più urgenti, è vero, ma se lo sport è un “gioco che va preso seriamente” attraverso il quale spesso si educano anche le nuove generazioni, forse un'arbitra potrebbe rappresentare l’occasione buona per costringere Erdogan a riconoscere alle donne turche non solo il ruolo di madri.

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Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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