«DDL Zan sull’omotransfobia: Davvero il Pd non vede nessun problema?»
Martedì in Senato si decide sul disegno di legge Zan (Pd) sull’omotransfobia. L’ufficio di presidenza della commissione Giustizia del Senato è chiamato a decidere l’iter e quando inserirlo nel calendario dei lavori. Nel frattempo, neanche il Pd, apre una discussione vera, che tenga conto delle serie criticità del ddl.Chiunque, anche se dell’area progressista, abbia chiesto un dibattito, è stato ignorato. È accaduto anche a Cristina Comencini, regista, scrittrice, sceneggiatrice ed esponente del movimento femminista “se non ora quando” che insieme ad altre centinaia di intellettuali ed esponenti della società civile, di area progressista, nei giorni scorsi ha scritto un documento per sottolineare le criticità del testo Zan: «Non siamo d’accordo – dichiara – nell’accostare la tutela delle donne a quella degli omosessuali e transessuali, così come previsto nella legge Zan». La stessa osservazione riguarda i disabili. La seconda obiezione riguarda la parola “genere” (la legge Zan elenca le discriminazioni e le violenze per motivi legati «al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità»). Il ddl Zan introdurrebbe una sovrapposizione del concetto di “sesso” con quello di “genere”, con conseguenze contrarie all’articolo 3 della Costituzione per il quale i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere. La definizione di “genere” contenuta nel testo crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto. Inoltre “identità di genere” è l’espressione divenuta il programma politico di chi intende cancellare la differenza sessuale. È un articolato che mischia questioni assai diverse fra loro e introduce una confusione antropologica (Avvenire,18 aprile).A giudizio di chi lancia un appello al confronto, prima di decidere sul ddl Zan, c’è il rischio che prevalgano visioni che anche in altre parti del mondo hanno aperto un conflitto rispetto all’autonomia delle donne. La libertà e il rispetto della differenza riguarda tutti, ma nel ddl Zan ci sono aspetti di tale contraddizione che i diritti reclamati si elevano contro la democrazia delineando quella che Jacques Julliard, storico e saggista francese tra i più importanti, (Il Foglio, 14 aprile) descrive così: «Non siamo più in una repubblica di cittadini ma una repubblica di individui che rivendicano diritti. Così si perde l’idea stessa di interesse generale, che tiene insieme le nostre società». Non è una questione di destra o sinistra. Riflettiamo un attimo: nel testo Zan le donne sono intese come una minoranza. Ai genitori degli alunni non è consentito di decidere, in base a un sacrosanto principio di libertà, se mandarli o meno al corso di formazione Lgbt. Religione facoltativa, transcult obbligatorio? I tentativi di riportare la discussione nell’alveo della civiltà di un confronto e della giusta mediazione per tutelare le persone Lgbt, evitando storture, non ha trovato ascolto. Il rischio concreto è che prevalgano visioni che anche in altre parti del mondo hanno aperto un conflitto rispetto all’autonomia delle donne e l’integrità morale delle persone, registrando la triste storia dei perseguitati che diventano persecutori. In Gran Bretagna, per esempio, hanno deciso che quei corsi nelle scuole non entrano più, visti i guai che ne sono nati. Sul tema della libera espressione del pensiero non tranquillizzano affatto le dichiarazioni, tra le altre, di Alessandra Maiorino, un’altra firmataria del ddl zan, che ha dichiarato che parlare contro i “due padri” sarà crimine d’odio. Sulla necessità di trovare il modo di arrivare a un testo condiviso, invece di andare avanti con un articolato inadeguato ai valori fondanti di una società democratica, aperta e consapevole, valgono le lezioni che vengono dalla realtà dove leggi di questo tipo hanno già prodotto cattivissime piante. In Canada c’è un padre in galera, Robert Hoogland, per aver opposto “troppa” resistenza all’ormonizzazione della sua bambina di 13 anni. In Norvegia – legge in vigore da appena 3 mesi – non puoi più dire che sono le donne a partorire: lo ha fatto la parlamentare Jenny Klinge ed è stata denunciata. In Australia, in Gran Bretagna e altrove, case-rifugio per le donne hanno perso i finanziamenti perché non accoglievano maschi disforici.Davvero il Pd non vede nessun problema?Cosa capiterebbe in ogni Procura, in Italia, dove i giudici sarebbero chiamati a decidere su un oggetto indeterminato come l’«identità di genere», architrave del ddl, su cui non vi è univocità scientifica né certezza del diritto. Un vulnus alla Costituzione. Di più, una vera e propria decivilizzazione. Scrive Jacques Julliard «la giudiziarizzazione esponenziale dei diritti sociali, che arriva dall’America, porta a una vera e propria decivilizzazione, e ciò spiega perché la nobiltà della sociabilità privata e la creatività propria della società politica siano in via di estinzione». È ciò che Solgenitsin con la sua altezza di vedute e la sua esigenza etica aveva già constatato quasi cinquant’anni fa: «Una società dove non esiste una giustizia imparziale è qualcosa di orribile. Ma anche una società che possiede in tutto e per tutto una sola giustizia non è degna dell’uomo (…). Quando tutta la vita è penetrata dai rapporti giuridici, si crea un’atmosfera di mediocrità morale che soffoca i migliori slanci dell’uomo» (Le Déclin du courage,1975). Quali sono le conseguenze politiche di questa ideologia dei diritti dell’uomo? Prima di tutto, c’è un dislocamento del dibattito politico dal Parlamento verso i tribunali. La maggior parte delle lobby di cui ho parlato è minoritaria nell’opinione pubblica; lo sa ed evita di affrontare il suffragio universale. La democrazia poliminoritaria non funziona come la democrazia maggioritaria. (Il Foglio,14 aprile)Non sarebbe, dunque, il caso di parlarne a fondo, a destra e a sinistra, prima di calendarizzare al Senato il ddl Zan? Che cosa c’entra questa roba con il diritto delle persone a vivere al riparo da ogni forma di sopruso?