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Se non ci sono donne, non se ne parla.
La frase tradotta dall’inglese “No Women No Panel” è lo slogan di una campagna di comunicazione lanciata dall’Unione Europea tre anni fa per invitare istituzioni e privati ad affermare il diritto di esserci delle donne e il dovere di rappresentare la realtà in tutti i luoghi dove si riflette su temi di interesse comune e più che mai dove ci si confronta in vista di future proposte e decisioni, che dovrebbero valere per l’intera società o intere comunità, come quartieri, città, associazioni di impresa e di volontariato, sindacati, interi settori lavorativi.
Sono, quindi, proposte e decisioni che, per centrare il più possibile l’obiettivo, hanno bisogno di un confronto il più rappresentativo possibile di chi poi dovrà subirne gli effetti.
Il confronto anche aspro fra persone in cerca della migliore soluzione ai problemi di una comunità è la base della democrazia e si contrappone all’abitudine di attribuire ad una parte sola una supremazia o comunque un privilegio di pensiero e di parola. Senza contare che le donne rappresentano nel nostro Paese, come nella nostra città, la maggioranza dei cittadini, che hanno ruoli sociali importanti e livelli di istruzione invidiabili, quindi rappresentano una componente di cui non si può fare a meno.
Se siamo convinti che per rappresentare punti di vista diversi si debbano confrontare voci e pensieri diversi, non possiamo non aderire ad una campagna che parla di uguaglianza dei diritti e presuppone che il criterio di scelta dei partecipanti ad un dibattito politico, socioeconomico, culturale, etc…debbano essere esclusivamente il rigore etico, l’ impegno per la polis, la preparazione e la competenza, ingredienti fondamentali del metodo democratico
La campagna di comunicazione e di promozione del metodo democratico del confronto ”No women, no panel”, ideata dalla Commissaria UE per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, nel 2018, è stata rilanciata il 25 novembre 2020, in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione Europea, da Rai Radio 1, che si è impegnata contestualmente “ad una equa rappresentanza di genere in tutte le trasmissioni, a valorizzare il talento e le competenze delle donne e degli uomini impegnati egualmente a dare il proprio contributo allo sviluppo civile, economico e culturale del Paese. E’ una campagna che chiede a tutte le sedi istituzionali, pubbliche, private, al mondo scientifico e mediatico di aderire all’impegno di inserire in maniera quanto più possibile paritaria nei convegni, nelle conferenze, nelle commissioni, nei dibattiti radiotelevisivi, sui giornali, presenze femminili e maschili.”
No women no panel dice in modo inequivocabile che non vale neppure la pena mettersi attorno ad un tavolo per creare un’occasione di confronto, che, senza donne,sarebbe monco e squilibrato. Una considerazione semplice che non è ancora passata nel nostro Paese.
Per questo c’è bisogno di ricordarlo, “perché – come dice il manifesto – convegni, commissioni, comitati, conferenze, dibattiti, dove solo uomini sono invitati a parlare, dove solo un genere è rappresentato, non solo è un assurdo, ma è una privazione per la società. Una cattiva e fuorviante rappresentazione del reale.”
Nel giorno in cui il mondo dello spettacolo piange la scomparsa di Milva, una grande artista della musica e del canto, una donna della nostra terra, che ha saputo esprimere con l’arte valori alti di libertà e di convivenza democratica, sottolineare che le donne ci sono, in qualsiasi settore, su qualsiasi tema, ad alcuni sembra un’ovvietà. Ma non è così. Ce lo dicono tanti webinar, iniziative, incontri.
Nell’ anniversario del genocidio degli Armeni, ieri è stata una donna, Antonia Arslan , scrittrice italiana di origini armene, che ha portato la sua voce in teatro a Ferrara, per ricordare il genocidio su cui lei ha contribuito in maniera determinante 17 anni fa a rompere il silenzio della comunità internazionale con il suo romanzo “La masseria delle allodole”.
Per aderire alla campagna, potete andare su Raiplayradio.it, sul sito dell’Unione europea o su diversi siti di Associazione femminili, come UDI e ANDE. Qui scorrendo i nomi delle adesioni ho avuto la delusione di trovarne solo una di provenienza ferrarese, ma scoprire che si tratta di Moni Ovadia, direttore della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado, un uomo e un intellettuale che da poco ha legato il suo nome e la sua attività a Ferrara mi è sembrato un ottimo presagio per il futuro del dibattito culturale della nostra città, dove, come in tante altre parti del Paese, sono ancora tanti i panel organizzati con uno squilibrio di genere, che sa di rimozione.
Se gli uomini invitati a partecipare a questo genere di dibattiti, cominciassero a dire di no, a declinare l’invito, sarebbe già un buon inizio. Certamente un esempio da seguire.