Stampa

«Su Zaki serve rumore. La pressione globale ha difeso noi cronisti»- Corriere.it

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nell’Egitto governato da Abdel Fattah Al Sisi, dove si può finire in carcere per un post su Facebook, Lina Attalah, 38 anni, co-fondatrice e direttrice del quotidiano online Mada Masr, continua a tenere viva l’informazione indipendente. Per la rivista Time è tra i leader internazionali della «nuova generazione». Questo ha un prezzo. «Diversi settori del governo ci hanno preso di mira: nel 2017 il nostro sito è stato bloccato; nel 2019 le forze di sicurezza hanno razziato i nostri uffici e ci hanno arrestati dopo aver detenuto un membro del nostro team in piena notte, una cosa comune; nel 2020 sono stata arrestata una seconda volta per aver cercato di scrivere un pezzo su una famiglia a cui è impedito il contatto con il figlio detenuto (l’attivista Alaa Abdel Fattah ndr). La pressione locale e internazionale finora ci ha permesso di evitare la prigione, e anche se il sito è bloccato all’interno dell’Egitto viviamo in un’era in cui ci sono modi per bypassare la censura. La pressione che ci ha aiutato non è stata organizzata da noi: è la gente che dà valore all’informazione che produciamo e vuole continuare a leggerla».

In Italia molte forze politiche si dicono d’accordo sull’obiettivo di far liberare dal carcere Patrick Zaki, ma sui metodi ci sono state divisioni: meglio il silenzio e trattare dietro le quinte oppure meglio far rumore? «Non so, c’è un alto livello di arbitrarietà nei casi come quello di Patrick: purtroppo non è affatto una novità per l’Egitto vedere qualcuno arrestato per il suo attivismo e tenuto in detenzione preventiva per mesi. Comunque la nostra abitudine è di alzare la voce e di non fidarci di colloqui confidenziali tra politici senza fare anche pressione».

Lei è impegnata in battaglie parallele per la libertà di informazione e per i diritti delle donne. Ci sono a volte divisioni interne su questi temi? Ad esempio, la storica femminista egiziana Nawal Al Saadawi, da poco scomparsa, è stata criticata da alcuni per il suo appoggio ad Al Sisi.«È normale, nello spazio dell’attivismo di genere ci sono spesso linee di frattura. Saadawi aveva lottato contro figure islamiste, specialmente radicali, e l’opposizione archetipica ai diritti delle donne. La questione è se il modo per resistere sia di affidarsi ad un’altra forza patriarcale, cioè le istituzioni militari. Ma Saadawi ha anche avuto un’influenza enorme, ha diffuso tra donne e uomini una consapevolezza sui diritti femminili prima inesistente, portando ad un cambiamento di paradigma: questo è ciò per cui merita d’essere ricordata».

La crescente consapevolezza sui diritti delle donne è accompagnata da riforme?«Questo è un momento in cui in tutto il mondo c’è grande consapevolezza sulla violenza sessuale sulle donne, che è diventata una questione intorno alla quale galvanizzare la resistenza contro il patriarcato, ma non ci sono state riforme sistemiche adeguate. Da noi c’è stato il famoso caso Fairmont — una ragazza stuprata in gruppo da uomini ricchi e potenti — in cui il peso dei social media ha portato ad aprire un’inchiesta — cosa inedita — però alla fine è stata chiusa per presunta carenza di prove. Il modo in cui le autorità pensano ai diritti delle donne non è cambiato, come dimostrano anche gli emendamenti alla legge sullo statuto personale che rischiano di ridurre ulteriormente il controllo delle donne sul loro corpo e i figli».

Dopo la rivoluzione del 2011 l’Egitto è tornato sotto il pugno di un uomo forte. Ma quanto è popolare? «C’è una tradizionale fiducia nell’esercito, vista come istituzione che non interferisce nella politica, che protegge i confini, e ciò resta centrale in un Paese che ha un’eredità coloniale. Ma se vivi qui ti accorgi che dal 2011 il rapporto con lo Stato è cambiato e con esso l’idea che regime sia sinonimo di stabilità».

We Women - Talks about Women who Fight

I diritti non si acquisiscono una volta per tutte. il rischio di vederli messi in dubbio è in continuo agguato. Partendo da questo presupposto Fondazione Feltrinelli, in collaborazione con Amnesty, organizza We Women, ciclo di tre incontri con protagoniste donne che hanno scelto di giocarsi tutto per coltivare un futuro migliore, per sé e per le comunità, e per difendere la propria dignità e la propria diversità, in questo tempo interconnesso la lotta del singolo si fa lotta di tutti e di tutte. In streaming su fondazionefeltrinelli.it/live e sulla pagina Facebok della Fondazione. Modera gli incontri Benedetta Tobagi giornalista e scrittriceEcco il programma:17 maggio – h 18.30 Il dissenso della voce. La libertà dei mediaCon Lina Atallah giornalista e attivista egiziana, co-fondatrice del quotidiano online Mada Masr Discussant Marta Santamato Cosentino giornalista televisiva, regista del documentario What remains of me. Interviene Debora Del Pistoia research and campaign senior officer di Amnesty International

25 maggio – h 18.30 Il dissenso del corpo. La libertà di decidere del corpo Con Antonina Lewandowska attivista polacca dei diritti e della salute sessuale e riproduttiva ed educatrice Discussant Sara Martelli coordinatrice della campagna “Aborto al Sicuro”. Interviene Tina Marinari responsabile ufficio campagne di Amnesty International Italia, coordinatrice di #IoLoChiedo

8 giugno – h 18.30 Il dissenso dela pelle. La libertà di costruire la propria identitàCon Victoria Oluboyo attivista afro-italiana del movimento Black Lives Matter Interviene Ilaria Masinara campaign manager su migrazioni e discriminazioni di Amnesty International Italia

16 maggio 2021 (modifica il 16 maggio 2021 | 22:52)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Fonte (click per aprire)

Aggiungi commento

I commenti sono soggetti a moderazione prima di essere pubblicati; è altrimenti possibile avere la pubblicazione immediata dei propri commenti registrandosi ed effettuando il login.


Codice di sicurezza
Aggiorna