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Parma, la storia di Elena: “Vi racconto cosa vuol dire essere transgender”

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Che cosa significa celebrare la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia? Dal 2004 infatti, ogni 17 maggio, si festeggia questa giornata che ha l’obiettivo di promuovere eventi per prevenire e contrastare quella che può essere definita un’enorme piaga sociale: l’omolesbobitransofobia. In questa giornata di metà maggio quindi, è utile parlare delle persone della comunità LGBTQI+ e dei loro diritti civili e sociali, spesso non ancora riconosciuti dalla legislazione. In Italia il tema è di recente balzato nelle notizie di cronaca a causa del ddl Zan, il disegno di legge proposto dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo. In attesa della discussione in Senato per l’eventuale approvazione, il ddl Zan ha acceso un colorito dibattito tra forze politiche opposte, interessando anche molte personalità pubbliche esenti dall’ambiente politico.

Portare alla luce il tema quindi, ha svelato le diverse opinioni che si possono avere nei confronti delle persone LGBTQI+, mettendo sotto la lente d’ingrandimento chi avanza posizioni – per restare nel tema della Giornata – omolesbobitransfobiche. Questo giorno quindi serve anche a capire quali siano i pregiudizi nei confronti delle persone della comunità e il 17 maggio diventa l’occasione per dare loro voce, per raccontare chi sono, la loro storia, e come vivono in un paese come l’Italia. Per questo abbiamo posto alcune domande a Elena D’Epiro, una donna transgender di 27 anni. Elena vive a Parma, studia Economia Aziendale all’Università di Parma ed è un’attivista. Su Instagram infatti ha aperto una pagina, @trans.fakenews, in cui si impegna a smascherare le bufale riportate dai media nei confronti del mondo transgender. Oltre all’attività social, fa parte di Ottavo Colore e del comitato permanente LGBTQI+ di Possibile.

Ciao Elena, puoi raccontarci la tua esperienza? Quando si è generata in te l’idea di dover cambiare genere o di essere in un corpo che non ti corrispondeva?

Ho iniziato la transizione di genere a 24 anni, nel 2017. Fino a quel momento vivevo la mia vita ma avvertivo sempre qualcosa che non andava, ma a cui non sapevo dare un nome. Ho sofferto di ansia e ho avuto momenti depressivi molto difficili, oltre a non sentirmi totalmente connessa con me stessa. A posteriori posso dire che era il mio inconscio a parlarmi, quella ragazza che sono sempre stata e che mi sono portata dentro per anni senza che venisse mai alla luce del sole. In effetti, vivevo secondo quello che mi avevano insegnato, cioè a vivere da uomo poiché il mio sesso assegnato alla nascita è maschile. Facevo le cose da maschio, occupavo il mio ruolo sociale di uomo e così via. In realtà, ho sempre fatto tutto ciò senza davvero sentirlo mio, perché in fondo non rispecchiava la mia vera identità di genere, cioè quella femminile. Vivevo immersa in una vita dove gli uomini devono fare certe cose perché gli stereotipi e i ruoli sociali dicono così.

Per questi motivi preferisco andare oltre il corpo e il cambio di sesso in sé per sé. Certo, c’è una forte componente legata al disagio con il proprio corpo sui cui si agisce, e gli ormoni hanno certamente aiutato a vivermi meglio e a stabilizzarmi da un punto di vista psico-fisico (c’è anche una componente psicologica molto importante su cui agiscono gli ormoni). Tuttavia, è da sottolineare anche il riappropriarsi e il ridefinire un ruolo sociale che cerchiamo di reinterpretare e di vivere in modo che rispecchi il più possibile la nostra identità di genere, allontanandoci il più possibile da stereotipi tossici. L’identità è anche ciò che siamo e rispecchia il come viviamo in società e come ci presentiamo ad essa. Questo è un concetto che va molto oltre il corpo e i genitali in sé per sé: questo aspetto è stato sicuramente importante e preponderante nel mio percorso.

Il “coming out” quando è avvenuto?

Di solito affrontiamo diversi coming out, c’è quello con gli amici, i parenti, i genitori e così via. Quindi anche per me ci sono stati diversi coming out. Un mio rammarico è che non ho fatto in tempo a fare coming out con i miei genitori perché alcuni parenti mi hanno anticipata e hanno compiuto il cosiddetto “outing”, cioè quando, senza il consenso dell’interessato, si rivela ad altre persone quelle che comunque, e ci tengo a sottolinearlo, sono informazioni strettamente personale e sui vi è il diritto alla privacy.

Hai avuto timori nell’affrontare il percorso di transizione?

Ogni persona trans che inizia questo percorso è consapevole delle difficoltà, di tutti i tipi, a cui andrà incontro. Iniziare questo percorso, e il conseguente coming out, è come buttarsi da un aereo senza paracadute. Sappiamo benissimo che andiamo incontro alla non accettazione da parte della società, alla discriminazione nei vari ambiti della società, che c’è il rischio di perdere concretamente il lavoro o che sarà molto più difficile trovarne uno, che con molti amici e parenti le strade si divideranno e che non capiranno, che sarà difficile farsi capire da chi vuol continuare a restare con noi. Vivere e stare a contatto con una persona trans costringe parenti, amici e colleghi a fare un percorso a loro volta, diverso dal nostro, per rielaborare la persona che hanno di fronte e anche a superare quei preconcetti granitici, che sono stato insegnati ad ognuno di noi, per cui le persone nascono con un sesso, vivono secondo il genere che rispecchia il sesso assegnato alla nascita e muoiono secondo il sesso di nascita. Questo concetto è l’ostacolo più duro per chi vuol starci di fianco.

Visto che non ci si guadagna nulla in termini sociali quindi, viene naturale chiedersi perché si intraprenda questo percorso. Praticamente non c’è scelta. Scoprire la propria reale identità di genere, che è sempre stata lì in attesa di essere scoperta, è un fatto che non si può ignorare. Si può anche cercare di fare finta di nulla ma con il tempo si vive sempre più in contraddizione con se stessi e questo si riflette in grossi malesseri psico-fisici. Non sceglie tra due alternative possibili e ugualmente accettabili, ma si sceglie tra il cercare di uscire dalle sabbie mobili, nonostante le difficoltà, o l’essere inghiottiti da esse.

Come ha accolto la tua famiglia la tua decisione di cambiare genere? Ti sono mai state precluse delle possibilità per il tuo percorso di transizione?

Per ogni famiglia non è mai facile. Mi metto nei panni anche dei genitori che hanno visto crescere i propri figli in un modo e poi si vedono quasi deufraudati. Per la mia famiglia è stato molto difficile perché, come dicevo prima, si tratta di fare un vero e proprio percorso in cui si vanno a scardinare false verità interiorizzate e anche riuscire a rielaborare il proprio vissuto in funzione di tutti i cambiamenti. Ci sono famiglie che si chiudono a riccio e c’è chi, devo ringraziare i miei genitori, si mette con tanta pazienza a fare un passo alla volta nonostante le difficoltà che ci sono. Aldilà di tutto esiste una sola regola: chi ti vuol bene per davvero ti starà di fianco e cercherà di capirti e, passo dopo passo, si riesce nell’intento.

Come ti senti oggi in questa “nuova” versione di te?

Fondamentalmente sono rimasta sempre la stessa. Il percorso di transizione, la somministrazione di ormoni dell’altro genere non ti fanno cambiare personalità, carattere e non ti fanno diventare un’altra persona. La terapia psicoterapeutica, gli interventi ormonali e chirurgici “gender affirmig” sono strumenti nelle nostre mani, ma non sono il fine. Questi strumenti servono per esprimere al meglio quello che già siamo, ma che ancora non esprimiamo al meglio. Tutto il percorso fa si che la nostra personalità cresca, si evolva, migliori, rispecchi la nostra identità di genere. Quando riusciamo in questo subentra un forte benessere psicofisico che si contrappone al senso di disagio dovuto a quella frattura chiamata incongruenza di genere che, con una metafora, è come essere legati a due cavalli che tirano in due direzioni diverse.

A livello personale penso di essere riuscita in questo passaggio e quindi sento di vivere finalmente una vita autentica, di respirare a pieni polmoni e di non avere più quell’indecifrabile “qualcosa che non va” che aveva caratterizzato la mia vita. Vivo in società e la mia quotidianità esprimendo appieno la mia identità di genere, cioè quella ragazza che sono sempre stata e che finalmente è venuta alla luce del sole.

A che punto sei oggi con la transizione da uomo a donna? A livello burocratico come funziona?

Io ho avuto la prima udienza qualche giorno fa e quindi dovrei essere quasi in fondo al mio percorso. La legge che disciplina l’aspetto burocratico è fondamentalmente la legge 164/82 che, nel tempo, ha subito varie modifiche, in quanto la corte Costituzionale ne ha ridefinito alcuni aspetti importanti, tra cui la non obbligatorietà delle operazioni chirurgiche genitali come precondizione per ottenere la rettifica dei documenti. In concreto si va in Tribunale e bisogna fare una causa in cui si chiede alla corte la rettifica anagrafica del genere sull’atto di nascita, il cambio di nome e l’autorizzazione a subire interventi sugli organi sessuali. Per operarsi infatti è necessaria l’autorizzazione di un Tribunale che deroghi alle norme sulla disposizione del corpo. Lo scopo del procedimento giudiziario è quello di dimostrare la bontà e la serietà dell’intenzione a cambiare genere e subire operazioni. In particolare, vi è anche una perizia, redatta dallo psicoterapeuta che segue la persona, denominata “Real Life Test” che consiste nel relazionare circa un anno di vita della persona in società “nei panni” del genere opposto.

Ormai, tutti gli addetti ai lavori (persone trans, avvocati, medici specialisti e così via) sono d’accordo sulla pesantezza della procedura, oltre che dei costi (una singola perizia può arrivare fino a 500 euro) e del fatto che sia poco rispettosa delle persone trans stesse che si ritrovano a dover “dimostrare di essere sé stesse”. Ciò comporta pratiche molto contestate, anzitutto il Real Life Test. Spesso le persone trans si trovano ad attraversare infatti un calvario che talvolta dura anni, data anche la lentezza della giustizia italiana. Per ottenere tutta la documentazione necessaria da portare in Tribunale è necessario più di un anno, oltre ai tempi dello svolgimento del procedimento giudiziario. Nel frattempo, la persona modifica il suo aspetto, oltre che vivere in società nel genere opposto, ma si ritrova in tasca un documento con dati anagrafici che non la rispecchiano più creando molte situazioni di disagio in ogni situazione che richiede l’uso della carta d’identità.

Tengo anche a specificare che tutto ciò esclude le persone non-binary, ovvero quelle persone che non vorrebbero rettificare il proprio documento soltanto passando da M a F o da F a M, ma vorrebbero la possibilità di alternative che rispecchino appieno la loro identità di genere che, appunto, può andare oltre il cosiddetto binarismo di genere (M o F).

Come hai scelto il tuo nome, Elena?

Questo nome l’ho scelto molto istintivamente e ne ero sicura fin dal principio. A posteriori, posso dire che quando incontrai questa ragazza, di nome Elena, mi rispecchiai inconsciamente così tanto da provare uno strano sentimento che magari all’epoca poteva passare come una cotta, ai tempi avevo 15/16 anni, ma che si è rivelato, nel tempo, essere molto di più.

Dal tuo punto di vista cosa c’è da fare ancora in Italia sul tema della transessualità e dell’omo-transfobia?

Secondo me, il nodo decisivo è portare anche in Italia la cultura secondo cui i diritti civili sono di tutti e non di parte. All’estero, leggi simili al ddl Zan sono state approvate da governi di centrodestra e anche in paesi in cui il centrodestra governa da anni, ad esempio in Germania, sono stati fatti importanti passi avanti a livello legislativo sulle tematiche LGBTQI+. In Italia, questo non sembra essere possibile e la parti si polarizzano in due schieramenti opposti. Il risultato di ciò è che molti diritti civili, se passano, lo sono “a metà” (es. unioni civili senza stepchild adoption) o non vengono nemmeno discussi. Questo perché la parte politica che li promuove è più concentrata sulla sopravvivenza del decreto di turno, piuttosto che puntare ancora più in alto. Questa non è una colpa, ma è il risultato di un clima politico che non permette una sana discussione basata però un su comune denominatore: i diritti civili ci devono essere per tutti, senza preconcetti.

Quali sono i principali pregiudizi nei confronti delle persone transgender?

Noi persone trans ci ritroviamo ad affrontare i pregiudizi che vengono veicolati dai media, dove infatti la narrazione sui trans viene portata avanti da altri, che quasi mai sono disposti ad ascoltare le reali esigenze della comunità. Cose del tipo che siamo tutte prostitute e che siamo aperte ad avere rapporti occasionali con chiunque, o che siamo delle predatrici sessuali di uomini. O ancora, il concetto per cui le donne trans sono soltanto uomini con caratteristiche femminili e che quindi, il percorso di transizione sia più legato ad un fatto esteriore, quasi al pari degli obiettivi di chirurgia estetica. Oppure, il concetto per cui una persona trans è giocoforza mascolina ed immediatamente riconoscibile tra la folla, cosa assolutamente non vera. Poi ci sono i soliti miti per cui noi rappresenteremmo una via di mezzo tra donne e uomini per cui saremmo come una sorta di compagno di spogliatoio, con tutto lo spirito cameratesco che ne consegue, ma con la sensibilità della mamma.

A livello sociale prevale l’idea che siamo persone “fuori dalla società” che non vivono una vita ordinaria e che quindi temi come il lavoro, la salute, il progresso sociale, l’ambiente, la politica, temi su cui tutti ci interroghiamo, non ci riguardino in prima persona perché preferiamo una vita promiscua, fatta di pagliette, di costume e di spettacolo. La stessa comunità trans, con le sue esigenze, sono confinate alle sezioni “costume & società” dei quotidiani e non vengono mai fuori le reali esigenze sociali. In tutto ciò gli uomini trans per le persone non esistono e le persone non-binary vengono banalizzate come coloro che “si svegliano di un genere e vanno a dormire di un altro” banalizzando e rendendo semplicistica una realtà molto complessa e ormai accettata, oltre che studiata, accademicamente oltre che presente nelle prassi mediche sulle persone trans.

Esistono nella comunità LGBTQI+ o in movimenti femministi (o che si proclamano tali) persone che manifestano invece un trans-esclusivismo?

Nei primi anni in cui si lottava per diritti LGBT+, a partire dagli anni ’70, già all’epoca le persone trans venivano escluse e non invitate ai pride dell’epoca perché erano presenza inopportuna. Nel corso degli anni la situazione è molto migliorata e le persone trans stanno sempre più trovando spazi nell’associazionismo, e non solo in associazioni spiccatamente trans. All’interno del femminismo invece, vi è la corrente trans-escludente che non accetta il concetto di identità di genere che per una persona trans è tutto perché la base per cui si definisce donna, uomo o non binaria ed è il centro attorno a cui una persona trans vive la società e la sua vita di tutti i giorni.

Non a caso le trans-escludenti vorrebbero le persone trans in una categoria apposita, “transessuali” appunto, anche all’interno del ddl Zan. Questo è problematico perché annulla il concetto per cui una donna trans è donna, frase semplice e rivoluzionaria proprio per questo. Una donna trans è certamente una persona trans, ma è prima di tutto una donna assieme allo stesso modo delle donne cisgender. Infine, il nostro ordinamento, a partire dalle varie sentenze di Cassazione e corte Costituzionale, riconosce l’identità di genere come diritto fondamentale di ogni persona, oltre che delle persone trans.

Secondo te, attraverso il corpo si può fare politica? Se sì, in che modo? Con la tua esperienza in questo senso hai fatto un atto politico?

Ancora oggi le persone trans non sono accettate in società, non solo per il loro corpo, cioè per la diversa fisicità, ma proprio per la loro identità complessiva. Le persone trans sono state per lungo tempo, e lo sono in parte tuttora, ghettizzate socialmente perché rappresentano, con i loro corpi e la loro identità, una diversità. Pertanto, vivendo la propria vita quotidiana, anche solo facendosi un giro in centro, le persone trans compiono un vero e proprio atto politico perché ci sono persone che lì non le vorrebbero. Le vorrebbero solo di notte lontane dagli occhi della società. La visibilità trans è un atto politico perché vuol dire gridare al mondo che noi ci vogliamo essere e vogliamo essere parte della società, per migliorarla.

Nella mia esperienza personale mi sono ritrovata a vestirmi e pormi in società come donna e sinceramente non ne potevo più di autocensurarmi soltanto perché non avevo un fisico adeguato e perché non avevo ancora rimosso tutti i peli dal mio viso. Molti direbbero che una “donna con la barba” sarebbe ridicola ed inaccettabile, ma questo viene detto da tutti coloro che vorrebbero imporre standard estetici a tutte le donne. Non mi vergogno e non nascondo il fatto di essere una donna trans anche se diverse persone mi consiglierebbero di nasconderlo. In questo senso penso di aver fatto anche un’esperienza politica che, in fondo, non è altro che piena autodeterminazione di se stessi.

Che opinione ti sei fatta del DDL Zan?

Il ddl Zan certo non è perfetto, ma in questo clima politico di meglio non si poteva ottenere. Penso che sia un primo passo fondamentale perché riconosce il problema specifico dei crimini d’odio nei confronti delle persone LGBTQI+. Questo è fondamentale perché vuol dire riconoscere un problema strutturale e specifico, molto oltre la violenza comune, ovvero mette nero su bianco che una cosa è essere aggrediti da una persona in preda alla collera e una cosa è essere aggrediti, perché gay o trans, da una persona che coltiva uno specifico odio nei confronti delle persone LGBTQI+. Un pestaggio violento avvenuto durante una lite non è paragonabile a un pestaggio violento motivato dal fatto che la vittima è nera, o omosessuale, o disabile. Il ddl Zan non si limita a dare solo una maggior pena all’aggressore, ma vuole agire su più fronti per la prevenzione. Parte che, però, è debole e da verificare sul campo, alla prova dei fatti.

Siamo un po’ tutti consapevoli che però il decreto è un importante primo passo nella giusta direzione, anche se non vengono affrontate molte tematiche legate all’omolesbotransfobia sui luoghi di lavoro, nel mercato del lavoro, nelle varie realtà sociali, come le famiglie, e lascia aperto il discorso sulle famiglie, ad esempio adozione da parte di coppie omosessuali, riforma del procedimento di rettifica anagrafica e tutti gli altri buchi legislativi che comportano discriminazione nei confronti delle persone LGBTQI+ e, pertanto, focolai di omolesbotransfobia. Il ddl Zan è un primo riconoscimento giuridico fondamentale, che ci deve essere, ma non è un testo di legge organico che tuteli le persone LGBTQI+ in ogni luogo sociale frequentato da essi.

Sul tuo profilo Instagram fai informazione e smonti le fakenews sul mondo transgender. Dal tuo punto di vista come vengono rappresentate le persone transgender dalla televisione e dai media?

Nei media si riflettono tutti i pregiudizi sulle persone trans. In concreto, guardando molte sit-com con la giusta sensibilità, si scopre che vengono fatte molte battute transfobiche generando la risata. Queste ricalcano lo schema della donna molto bella che si è rivelata essere una donna trans a cui il protagonista è scampato accorgendosene in tempo dato che, a suo dire, la donna trans avrebbe fatto con lui pratiche sessuali che lui non avrebbe voluto fare. Ciò non fa altro che alimentare lo stereotipo della ragazza trans predatrice e violentatrice. Inoltre, nei giornali vi è il fenomeno del deadnaming e del misgendering, ovvero indicare il nome anagrafico della persona oltre che riferirsi ad essa al maschile.

Molte persone trans tengono molto alla riservatezza del loro nome anagrafico. Inoltre, c’è una sprezzante insensibilità nei confronti della persona trans per cui sono sempre persone coinvolte in episodi bizzarri, sono descritte e rappresentante fisicamente con corpi bizzarri e mascolini. Inoltre, nel dibattito pubblico non si fa mai riferimento alle reali esigenze delle persone trans: lavoro, salute, lotta alle discriminazioni, riforma del procedimento di riattribuzione di genere e così via. Invece, vengono esaltate battaglie e fenomeni che, seppur presenti nella comunità trans, non sono però preponderanti. Questo viene fatto principalmente per strumentalizzare le persone trans e per delegittimare la comunità stessa.

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