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"Associatevi, fate rete, fate rumore"
Parità, consenso e superamento di paradigmi e stereotipi: c'è ancora tanta, tantissima strada da fare. Ne abbiamo parlato con Carlotta Vagnoli
Parlare di parità oggi equivale a scontrarsi con un costante paragone tra quanto vale in teoria e la realtà dei fatti.
Sulla carta, diritti e rispetto spettano a tutti in equal modo, ma quando si entra nel quotidiano, che si tratti dell'accessibilità a determinati ruoli sociali, del gap che ancora si registra tra i salari di uomini e donne a parità di mansione, o delle responsabilità familiari che vengono attribuite a uomini e donne, soprattutto (ma non solo) quando ci sono dei figli in casa, la parità è ben lontana dall'essere raggiunta.
Come fare allora? Cosa può fare ognuna di noi, nel suo piccolo, per cambiare le cose? E cosa chiedere al governo o alla società?
Ne abbiamo parlato con Carlotta Vagnoli, attivista, autrice e scrittrice con un libro in uscita per Rizzoli, che da utilizza le piattaforme social come veicolo per fare divulgazione sui temi della parità e inclusività.
L'occasione, la sua partecipazione al WeWorld Festival, l’evento sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo organizzato da WeWorld: tre giorni (dal 21 al 23 Maggio) di talk, dibattiti, performance e mostre per parlare di empowerment, di diritti e della condizione femminile (ve ne parliamo nel dettaglio più in basso).
Prima, lasciamo la parola a Carlotta Vagnoli.
(Continua sotto la foto)
Cosa si intende per parità oggi? Non dovrebbe esserci già, perlomeno sulla carta? Dov'è che la parità "presunta" si scontra con la realtà e di chi è "colpa"?
Oggi per parità si intende uguali diritti ed accessibilità, uguale tutela e rispetto: mi pare intuitivo che si sia ancora in alto mare anche se sulla carta si tende a dire sempre che “ora che ci sono i diritti c’è anche la parità”: questa è infatti la frase preferita da chi non vuole rimboccarsi mai le maniche.
Nella pratica, le teorie si scontrano con un mondo impreparato ad essere accogliente per tutte le persone in eguale misura.
Avremo quindi un mondo del lavoro reso meno accessibile alle donne per una totale assenza di politiche di welfare (e quindi le donne rimangono incastrate nel lavoro di cura non retribuito), cultura dello stupro che normalizza la violenza di genere, razzismo radicato ed imperante perfino in ogni istituzione e media, problemi nel far soltanto calendarizzare un ddl contro omolesbobitransfobia, abilismo e misoginia, (che qualsiasi nazione dovrebbe esser felice di condannare ma qui evidentemente siamo ancora in alto mare).
La colpa è del sistema di privilegio: chi lo detiene non vuole dividerlo con le altre persone e comunità marginalizzate e allora la torta rimane sempre nelle stesse mani.
Quale potrebbe essere un modo per arrivare davvero alla parità?
Ci vuole un radicale cambiamento della politica: nuove voci, più rappresentative del paese reale, nuove leggi, nuove tutele.
Ma come abbiamo sempre visto, la politica e le leggi da sole non bastano se non cambiamo contemporaneamente la cultura in cui viviamo: per questo c’è un enorme bisogno di divulgare, accedere alle scuole, avere un Ministero della pubblica istruzione davvero presente e che, insieme alle numerosissime associazioni sul territorio che fortunatamente abbiamo, possa sviluppare corsi di educazione sessuale, educazione al consenso, alla parità.
Ma anche rivedere i libri di testo, vetusti, incompleti e polarizzanti.
È estremamente importante poi, per combattere la violenza di genere, ribaltare i paradigmi che ci arrivano dagli stereotipi di genere e questo prezioso lavoro inizia nelle scuole della primissima infanzia.
Ci vuole preparazione, coordinamento, presenza e contemporaneità: direi che al momento manca un po’ tutto.
Cosa può fare ognuna di noi in concreto per raggiungerla?
Fare rumore.
Fare quello che ci hanno sempre insegnato a non essere, ovvero “rompiballe”.
Ci hanno da sempre detto che le donne che parlano troppo sono noiose. Bene, allora siate noiose, soprattutto quando si parla di consenso, diritti, sicurezza, salute, corpo.
Fare rumore con ogni mezzo a nostra disposizione è il primo passo: denunciate le ingiustizie, gli abusi, il mobbing sul lavoro, raccontate le vostre storie.
Associatevi, poi. Fate rete. Perché insieme il rumore diventa più inclusivo e molto, molto più forte e riconoscibile.
È giusto iniziare dalla lotta per le parole "al femminile", parlare del fatto che si passi solo il cognome maschile ai figli e tutte le altre battaglie che sui social vengono spesso additate (nei commenti) come "superflue"? Perché non lo sono?
Il benaltrismo serve proprio a questo, a screditare delle battaglie legittime dicendo che ci sono cose più importanti (anche il ddl Zan non era reputato “abbastanza importante”, ndr), in modo poi da non cambiare, di fatto, niente.
Sono tutte battaglie legittime: il cambiamento passa sempre dalla lingua, da come evolve, da come la usiamo; è la prima arma di marginalizzazione che spesso viviamo.
La teoria che non si possano portare avanti più argomentazioni contemporaneamente è stupida quando limitante.
Possiamo parlare di tutto, senza togliere spazio alle altre lotte.
Anche perché di solito, chi recrimina la stupidità di certe istanze non è mai in prima linea in nessun’altra battaglia… coincidenze?
Parliamo di consenso: cosa si intende? Hai un commento alla chiacchieratissima vicenda Biancaneve e il bacio non consensuale?
Dare il consenso equivale a comunicare in modo esplicito il permesso e l’assenso a fare - o proseguire - una determinata azione.
Quando si è davanti a una violenza sessuale siamo davanti a un’assenza del consenso della parte lesa (che ricordiamo può essere ritirato anche durante l’atto) nel compiere un atto sessuale.
Che il consenso fosse assente nella fiaba tradizionale di Biancaneve è cosa nota e indubbia: mi stupisce che si difenda in modo così iracondo qualcosa di tanto assurdo ed irreale che trascende pure nel non consensuale (rido).
Che ci sia ancora bisogno delle favole ottocentesche per tramandare messaggi e stereotipi ormai desueti è però a mio avviso ancora più preoccupante.
Ho provato a parlare della necessità di inquadrarle con occhi contemporanei, vedendole per ciò che sono: ho imparato che alle persone possiamo toccare tutto MA NON LE FAVOLE.
Di rado ho visto tanta aggressività nei commenti. È la famosa edulcorazione del passato, di cui siamo terribilmente vittime passive.
Come lo si può spiegare alle nuove generazioni?
Il consenso è una pratica che va imparata fin da piccolissim* e tramite esercizi di propedeutica appositi.
Ci sono molti video utili (anche su YouTube: tra cui quello di un medico che per vaccinare un bimbo molto piccolo gli chiede il permesso prima di toccarlo) e libri di testo per genitori e maestr*: rendere consapevoli le persone del proprio corpo e dello spazio di azione è fondamentale.
Quando poi si parla di educazione sessuale, è necessario introdurre altri elementi alla narrazione del consenso, ad esempio che questo non può essere rinnovato se la persona è incosciente e che può essere revocato in ogni momento, che la soggezione ed intimidazione non sono modi per estorcerlo e che, in ognuno di questi casi, stiamo commettendo una violenza.
Dovrebbero essere tutte lezioni obbligatorie introdotte dallo Stato nelle scuole. Ma come dicevo, campa cavallo…
C'è speranza che le "vecchie" generazioni riescano a cambiare modo di pensare e a uscire dagli schemi in cui sono cresciuti o i risultati si vedranno solo col tempo?
Io sono amante del futuro, trovo che il rinnovo generazionale sia essenziale: mi rivolgo ai giovani e al contempo ai media e alle istituzioni, affinché cambino le voci e inizino a rappresentare altri aspetti e spaccati della nostra società.
Con media ed istituzioni è una battaglia faticosa, ma il dialogo con la GenZ è una delle cose che trovo più stimolanti al mondo.
Quando faccio lezioni di formazione nelle scuole vedo una generazione pronta, attiva, sicuramente molto più di noi millennials.
Cosa speri di passare al pubblico che ti ascolterà durante il WeWorld Festival?
Che il corpo nella sua nudità non ha valore morale sulla persona, che non è un implicito assenso ad essere toccat*, che la malizia è una parte attiva della personalità di molte persone e non va screditata.
La sensualità va svincolata dalla sessualizzazione, dal victim blaming e dallo slut shaming: la prima è un’espressione soggettiva, gli altri sono metodi di controllo sul corpo femminile e vanno sradicati dalla nostra società, proprio per eliminare la violenza di genere stessa.
Dal 21 al 23 maggio, torna l'11esima edizione del WeWorld Festival: tre giorni di talk e performance sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo, al BASE Milano.
Tema speciale di quest’anno saranno gli stereotipi, di genere ma non solo.
Dagli stereotipi di genere a quelli legati all’aspetto fisico e al bodyshaming, dagli stereotipi su donne e maternità fino alla violenza di genere.
L’evento sulla condizione delle donne in Italia e nel mondo organizzato da WeWorld, ONG italiana che da 50 anni difende i diritti di donne, bambini e bambine in 27 Paesi, quest’anno si svolgerà in una doppia veste, sia in presenza, presso lo spazio BASE di Milano, sia online sulla pagina Facebook di WeWorld.
Talk, dibattiti, performance e mostre, tutti ad accesso libero e gratuito, per continuare a parlare di empowerment, di diritti e della condizione femminile: un argomento tanto più importante nell’Italia di oggi, che ha visto le donne prime vittime economiche e sociali della pandemia.
Tantissime le protagoniste di questa edizione del Festival, tra cui figura anche Carlotta.
Per dirne alcune: la star del fumetto Fumettibrutti (Josephine Yole Signorelli), la disability right advocate Sofia Righetti, le giornaliste Jennifer Guerra, Floriana Bulfon, Cristina Sivieri Tagliabue e Emanuela Zuccalà, le photo editor Manila Camarini e Renata Ferri, le fotografe Francesca Volpi e Arianna Arcara, le scrittrici Antonella Lattanzi, Elvira Serra, Viola Di Grado, lo scrittore Gianluca Nativo,l’autrice Marina Di Guardo, l’imprenditrice digitale e attivista Veronica @spora Benini, l’attrice Vittoria Schisano e l’attore Alberto Malanchino, la campionessa olimpica Elisa di Francisca, la sportiva Sara Ventura, l’attivista Carlotta Vagnoli, le scrittrici e curatrici del progetto “Musa e Getta” Arianna Ninchi e Silvia Siravo, le giornaliste e autrici Daniela Simonetti e Tiziana Ferrario, le blogger di “Mammadimerda” Sara Malnerich e Francesca Fiore, l’antropologa Benedetta Barzini, la psicologa Elena Giulia Montorsi, la modella e attivista Lea T e la filosofa Maura Gancitano di Tlon.