Come la violenza sessuale può essere connessa alla crisi climatica
Sappiamo che la crisi climatica è già qui: la distruzione dell’ambiente ha già costretto la gente a lasciare la propria casa, ha già causato problemi di salute e difficoltà economiche. E sappiamo anche che, in generale, l’impatto del cambiamento climatico pesa di più su donne e ragazze.
L’ONU stima che più dell’ 80 per cento delle persone sfollate a causa del cambiamento climatico siano donne, in parte a causa dei ruoli definiti dal genere, come il compito di prendersi cura di bambini e anziani dopo le calamità. Dopo lo tsunami del 2004, un report di Oxfam ha dimostrato che il rapporto tra gli uomini sopravvissuti e le donne ha una proporzione shock di 3:1 in Sri Lanka, in Indonesia e in India.
Un aspetto poco discusso, tuttavia, delle conseguenze dei disastri climatici, è che possono spesso portare a unaumento degli abusi sessualicontro le donne, le ragazze e altri generi marginalizzati di tutte le età. Le cause sono molteplici e sono legate ai problemi di sfruttamento e agli spostamenti, che hanno un impatto maggiore su popolazioni indigene, nere e migranti.
“Dopo i disastri naturali, le donne evacuate possono finire in rifugi o altre strutture poco sicuri e sovraffollati in cui il rischio di aggressioni sessuali è alto”, racconta a Vogue Osub Ahmed, analista politica senior della salute e dei diritti delle donne che fa parte del thinkthank americano Center for American Progress.
Quasi un terzo delle aggressioni sessuali denunciate durante l’uragano Katrina e l’uragano Rita, entrambi nel 2005, hanno avuto luogo in rifugi per sfollati nella città di New Orleans, a popolazione prevalentemente nera, secondo un sondaggio del 2006 del National Sexual Violence Resource Center. Inoltre, è stato riscontrato un aumento della violenza sessuale in Giappone subito dopo il terremoto e lo tsunami del 2011.
Anche le difficoltà economiche, che in molti casi conseguono a queste calamità, possono privare le donne, e spesso i loro partner, della loro indipendenza finanziaria, forzandoli a spostarsi per trovare risorse, come legna o acqua nei campi profughi, o per cercare lavoro. “Lo stress psicologico ed emotivo causato indirettamente dal cambiamento climatico – la perdita di lavoro, il fatto di dover lasciare la propria casa o, più generalmente, i disordini civili – può portare ad aumentare i livelli di abusi sessuali in casa”, continua Ahmed.
Una nuova ricerca pubblicata su BMJ Global Health esplora questa connessione tra crisi climatica e violenza domestica, mettendo in evidenza i casi di omicidio, controllo coercitivo, comportamento aggressivo, matrimoni forzati in giovane età e sfruttamento economico. Lo studio ha scoperto che più di un terzo degli autori di questi crimini erano partner o ex-partner, mentre il 15 percento erano parenti.
Le industrie estrattive e la violenza di genere
In centri dove ha luogo l’attività di estrazione di combustibili fossili o la costruzione di impianti chimici, anche le comunità indigene sono a rischio di violenza per l’afflusso a predominanza maschile di lavoratori temporanei, secondo il report del 2016 di Amnesty International Out of Sight, Out of Mind, perché “è statisticamente più probabile che i giovani uomini siano autori di crimini violenti.”
In Nordamerica, nelle comunità indigene, l’epidemia di sparizioni e omicidi di donne, ragazze e Two-Spirit people (le persone a cui si riconosce una doppia spiritualità, maschile e femminile) è stata a lungo ignorata, lasciando queste comunità senza protezione. Nel 2018, un sondaggio dell’ Urban Indian Health Institute (UIHI) ha rilevato che su 5.712 donne e ragazze native americane e dell’Alaska scomparse, solo 116 sono state registrate nel database del dipartimento di giustizia americano (DoJ). Secondo il DoJ, il 56 percento delle donne native americane e dell’Alaska hanno subito abusi sessuali e il 90 percento è stata oggetto di violenza da parte di persone non appartenenti alle comunità tribali.
Native American protestors at the 2019 Women's March walk with signs and bullhorns in Santa Fe, New Mexico.
© Robert Alexander
Molti degli autori di questi crimini vengono dai “man camps”, comunità temporanee create per ospitare centinaia di migliaia di operai costruttori di oleodotti, che spesso costruiscono strutture in aree rurali vicino a comunità indigene. Questo può creare un ambiente molto pericoloso per donne, ragazze e Two-Spirit people”, afferma Ruth Hopkins, scrittrice, avvocato e attivista Dakota/Lakota Sioux.
“Gli operai degli oleodotti sono per la grande maggioranza maschi. Hanno soldi e un sacco di tempo da spendere, ma vivono in luoghi isolati dove non c’è molto da fare. Questo porta a un’esplosione del traffico sessuale,” spiega. Dato che questi operai sono per la maggior parte non nativi, dice Hopkins, “le tribù non hanno la giurisdizione necessaria per perseguirli nel caso in cui commettano dei crimini, nemmeno in territori tribali e per difendere i membri delle loro comunità”, e aggiunge che gli avvocati americani rifiutano di “procedere” nel 30 e fino al 50 per cento dei casi.
Aditi Surie von Czechowski, ricercatrice associata all’Università di Cambridge, afferma che in situazioni come queste “anche gli attivisti per l’ambiente subiscono spesso violenze che puntano a silenziarli. Può essere una violenza strutturale e non solo di natura sessuale”. Negli scorsi anni, un numero sempre maggiore di attiviste indigene donne e trans sono state aggredite e assassinate mentre lottavano per i loro diritti e contro il disastro climatico.
Aiutare chi sopravvive alla violenza sessuale
Per coloro che hanno subito violenza sessuale, aggravata dal trauma di disastri ambientali e dello sfruttamento nelle loro comunità, la guarigione deve avvenire a livello individuale e di comunità – con gruppi come Mujeres Amazonicas, nell’Amazzonia ecuadoriana, ad esempio, che forniscono una rete di supporto alle donne che hanno subito abusi sessuali.
Spesso, tuttavia, gli spostamenti fanno sì che i sistemi di supporto per chi sopravvive diminuiscano o manchino del tutto. “Se disponibile, la psicoterapia occidentale può essere utile. Ma sono terapie normalmente costose e al di fuori della portata per la maggioranza dei sopravvissuti alla violenza sessuale”, afferma Alison Phipps, capo del programma UNESCO di integrazione dei rifugiati attraverso il linguaggio e le arti. Tuttavia, ci sono molte organizzazioni non profit che aiutano le donne migranti ad avere accesso ai servizi per la salute, come The Brave House a New York e il servizio di assistenza di London Therapeutic Women.
Phipps aggiunge che può essere molto d'aiuto per queste persone in difficoltà trovare chi ti ascolta e capisce come anche usare l'arte e le attività artigianali per elaborare il trauma.
Se è chiaro che l’aumento delle violenze sessuali deve essere fermato, bisogna fare attenzione a come lo si fa. Il tipo di narrativa che lo relega a problema del “terzo mondo” o che ne attribuisce tutta la colpa a “tradizione o religione” è comune, soprattutto nelle regioni dell’Africa e del Medioriente. Secondo Surie von Czechowski, quando discutiamo il problema “rischiamo di replicare le narrative coloniali sulle donne e la loro oppressione, piuttosto che focalizzarci sui fattori strutturali che portano a quella che poremmo definire "ingiustizia climatica”.
Risolvere l’emergenza climatica significa anche lottare per mettere fine all’oppressione basata sul genere e a tutte le forme di ingiustizia che si intersecano a questo problema. Non farlo può solo portare a maggiori disastri. Secondo Delphine Pinault, Coordinatrice della difesa umanitaria di CARE e rappresentante ONU “la preparazione e la risposta alla crisi climatica devono avere al centro donne e ragazze”.
Conclude: “Donne e ragazze sono nella posizione migliore per contrastare i rischi causati dalla crisi climatica e aiutare le loro comunità ad adattarsi. Devono avere un posto ai tavoli decisionali, far sentire le loro voci ed essere supportate nel guidare la risposta”.