La voce delle donne del Tigray vittime dello stupro sistematico, usato come arma nel genocidio in Etiopia (Giovani Tigrini Italiani con Fulvio Beltrami)
Durante questi lunghi e orribili 7 mesi di conflitto in Tigray scatenato dal dittatore eritreo Isaias Afwerki e dai dirigenti fascisti Amhara: Agegnehu Teshager e Temesgen Tiruneh, (da cui di fatto il Premier etiope Abiy Ahmed Ali prende ordini), è emerso il sistematico uso di violenze sessuali come arma da guerra nel progetto di sterminio etnico denunciato pochi giorni fa dal Ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto.
L’ambasciatore irlandese delle Nazioni Unite, Geraldine Byrne Nason, ha lanciato l’allarme sulle violenze perpetuate dai soldati eritrei ed etiopi sulla popolazione femminile del Tigray. “Nonostante tutto ciò che vi abbiamo detto sulla portata diffusa e sistematica degli stupri, continuiamo a ricevere notizie orribili di violenza sessuale diffusa”, ha detto Nason, chiaramente frustrata dalla mancanza di azione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
L’Ambasciatrice degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Linda Thomas Greenfield, ha rimproverato il Consiglio di Sicurezza ONU la scorsa settimana, chiedendo: “Le vite africane non contano?” e contestando la mancanza di un unico incontro pubblico sulla crisi. L’amministratore dell’AID degli Stati Uniti Samantha Power ha invitato i tre membri africani del Consiglio di Sicurezza a mettere la questione delle violenze sessuali all’ordine del giorno.
Oggi è intervenuto sul tema anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite: Antonio Guterres in occasione della giornata internazionale per la violenza sessuale nei conflitti. “Le violenze sessuali in Tigray stanno peggiorando. Molte donne sono state violentate. Alcune di esse hanno avuto il coraggio di denunciare. Il numero di stupri in Tigray sta aumentando”.
Le testimonianze di questi leader mondiali sono importanti affinché l’opinione pubblica internazionale prenda coscienza del piano genocidario in atto nella provincia nord dell’Etiopia e spinga i governi dei Paesi Civili e Democratici (Italia inclusa) ad agire energicamente per fermare il Primo Genocidio in Africa del Ventunesimo Secolo.
Nonostante queste importanti testimonianze, il Faro di Roma ritiene prioritario dar voce ai partenti e agli amici che vivono nel nostro Paese delle donne stuprate in Tigray solo perché appartengono ad una etnia “sbagliata”.
Sottolineammo che questo crimine è incompatibile con la cultura etiope e la religione Ortodossa che, entrambe, riconoscono l’importanza della protezione delle donne. È inoltre un palese ed ignobile tradimento delle promesse fatte dal Premier Abiy nel 2019 di porre la donna etiope al centro del suo progetto di trasformazione democratica del Paese.
Pubblichiamo di seguito l’intervento dei giovani tigrini che risiedono in Italia, ringraziandoli del costante impegno in questi drammatici 7 mesi nel farci prendere coscienza dell’enorme crimine contro l’umanità che il leader etiope sta permettendo e incoraggiando contro 7 milioni di suoi cittadini.
Un leader che noi occidentali credevano democratico, pacifico e promotore dei diritti umani e per questo gli abbiamo conferito anche il Premio Nobel della Pace. Un premio importante che alla luce dei fatti risulta una scelta completamente sbagliata.
Il nostro augurio va a Mona Lisa (nome di fantasia per proteggere l’identità della vittima) e a tutte le donne etiope che sono state costrette a subire queste atrocità. Ci auguriamo che le nostre sorelle etiopi possano riprendersi dalle violenze subite anche grazie alla consolazione della Fede. Ci auguriamo anche e soprattutto, che queste donne violentate nel corpo e nell’anima possano vedere i loro aguzzini e i mandanti sul banco degli imputati poiché solo la giustizia può (parzialmente) guarire le profonde ferite subite e la dignità persa da queste ragazze, madri e donne anziane che potrebbero essere le nostre sorelle, le nostre madri e le nostre nonne.
Lettera aperta dei giovani tigrini italiani sulle violenze sessuali usate come arma di guerra in Etiopia.
Mona Lisa è una ragazza etiope, ha 18 anni, si è appena diplomata. Si trova in un letto dell’ospedale di Mekelle, con un braccio amputato, le ferite di sette spari di pistola. Corpo e animo martoriati da brutali e ripetute violenze sessuali. Chiede che i giornalisti parlino di lei. “Voglio che sappiano che ho resistito e lottato. Questa è una pulizia etnica. I militari hanno preso di mira le donne del Tigray per impedire loro di mettere al mondo altri tigrini”, dice.
Il video di un’altra madre, ventisettenne, ha fatto il giro del mondo, visto da coloro i quali, troppo pochi, non chiudono gli occhi davanti a uno dei più grandi genocidi della storia, africana e mondiale. Uomini con divise militari eritree l’hanno sbattuta giù da un minibus sulla strada da Mekelle ad Adigrat, l’hanno trascinata nella adiacente boscaglia per violentarla per 11 giorni e poi abbandonarla incuranti delle gravi emorragie interne vaginali e anali.
Nella sua vagina i medici hanno trovato cotone, unghie strappate, chiodi, pezzi di plastica e una pietra. Ha una gamba rotta, non trattiene l’urina, non può camminare né stare seduta a lungo, ma il vero dolore è non sapere nulla dei suoi figli, di 4 e 6 anni, che lei ha lasciato a sua madre in cerca di cibo, nel nulla, con provviste sufficienti solo per qualche giorno.
La “semplice operazione di polizia rispettosa dei civili” annunciata il 4 novembre 2020 dal Premier etiope si è trasformata in un incubo per le donne del Tigray, dagli 8 ai 80 anni: stuprate, massacrate, mutilate, ammazzate, ingravidate, contagiate dall’HIV. I media internazionali riportano decine di questi racconti dal fronte del conflitto etiope.
Il crimine commesso dal Premier etiope è ancora più grave in quanto ha permesso che la sistematica campagna di violenze sessuali sia compiuta da truppe di un paese straniero: l’Eritrea, assicurando loro non solo la totale immunità ma anche proteggendoli dalle accuse internazionali. Accuse che il Premier Abiy definisce delle bugie indotte dalla propaganda del suo avversario politico: il TPLF e inserite in un complotto internazionale contro il processo democratico dell’Etiopia promosso dal Partito della Prosperità.
Il Premier etiope, pur essendo stato costretto dalle evidenze ad ammettere la presenza di soldati appartenenti a diversi paesi stranieri e in particolare della vicina Eritrea, ancora oggi tenta di nascondere il genocidio in atto. Un genocidio a cui si dà ancora troppo poco ascolto, soprattutto in Italia, e che rischia di distruggere gli equilibri regionali dell’intero Corno d’Africa.
A livello mondiale, donne e uomini della diaspora tigrina, che dal giorno 1 del conflitto si sono attivati con iniziative di sensibilizzazione alla pace, lanciano oggi (19/6) la campagna internazionale tramite i social media ‘End Sexual Violence in Tigray’ (Fermiamo la Violenza Sessuale in Tigray) che coinvolge più di 40 organizzazioni tigrine ed africane, in collaborazione con la World Peace Foundation.
Con l’hashtag omonimo, su Twitter, Instagram e Facebook un movimento internazionale di informazione e denuncia darà voce e luce alle atrocità in corso. Un movimento nato dal basso e promosso da gente comune che si lega all’attenzione che le istituzioni internazionali hanno finalmente dato al fenomeno.
L’Ufficio di Coordinamento delle Azioni Umanitarie delle Nazioni Unite: OCHA afferma che il 30% di tutti gli attacchi ai civili nel Tigray comporta una qualche forma di violenza sessuale. Nel suo briefing al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso aprile, Mark Lowcock, coordinatore dei soccorsi umanitari di emergenza ONU ha condiviso una storia riportata da alcuni media: “Una donna sfollata che è arrivata di recente a Shire ha spiegato che quando è iniziato il conflitto è fuggita e si è nascosta nella foresta per sei giorni con la sua famiglia. Ha partorito mentre era nascosta, ma il suo bambino è morto pochi giorni dopo, nello stesso momento in cui anche suo marito è stato ucciso. Quando ha ripreso il viaggio, ha incontrato quattro soldati eritrei che l’hanno violentata davanti al resto dei suoi figli per tutta la notte e fino al giorno successivo”.
Nonostante che la regione del Tigray sia isolata dalle telecomunicazioni dal giorno uno del conflitto, rendendo difficile reperire notizie, la tragedia è ormai evidente.
Si calcola che siano oltre 6 milioni le persone ridotte alla fame e 65 mila gli sfollati in Sudan. L’UNFPA stima 22.500 donne tigrine bisognose di sostegno a causa di violenti abusi. Si parla non di incidenti isolati di soldati indisciplianti come vuol far credere il governo Abiy ma di STUPRO SISTEMATICO USATO COME ARMA DI GUERRA!
I medici sostengono che i funzionari siano restii a registrare queste atrocità, per timore di ripercussioni da parte dei militari, e alle stesse donne occorre un forte coraggio ad ammettere una tale onta alla loro intimità, rischiando la vita nel raccontarla.
Dopo mesi dallo scoppio delle ostilità, la diplomazia internazionale ha finalmente iniziato ad affrontare la questione. Anche Pramila Patten, rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, ha chiesto che le Nazioni Unite agiscano al più alto livello per applicare ai crimini in Tigray la risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza.
“Abbiamo sentito i campanelli d’allarme sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani, in particolare sulla violenza sessuale contro donne e ragazze”, ha detto Geraldine Byrne Nason, ambasciatore irlandese presso le Nazioni Unite che ha condotto i negoziati sul testo della risoluzione, entrata in vigore a ottobre 2020. “La violenza continua, i decessi e la violenza sessuale e di genere sono inaccettabili. Gli autori di questi crimini devono essere ritenuti responsabili”, ha aggiunto.
“Siamo molto preoccupati per le informazioni che arrivano dalla regione del Tigray” ha denunciato Evelyn Regner, presidente della Commissione per i diritti delle donne al Parlamento europeo. Il presidente Biden ha inviato in Etiopia un suo rappresentante, il senatore democratico Chris Coons, per colloqui con il Primo Ministro Abiy Ahmed. Dopo aver negato i fatti, il Premier etiope ha riconosciuto pubblicamente che l’aggressione sessuale è diventata parte integrante di una guerra che lui stesso ha dichiarato terminata il 28 novembre 2020. Né il governo etiope né quello eritreo hanno però voluto rispondere alle accuse di schiavitù sessuale a loro direttamente rivolte.
“Le donne che sono state stuprate dicono che i violentatori sostenevano che esse dovessero cambiare la loro identità, amarli o almeno abbandonare il loro status etnico di Tigrine… Le hanno detto che erano venuti lì per purificarle… Per purificare la linea di sangue”, riferisce alla CNN il dottor Tedros Tefera, un medico tigrino di Humera scappato in Sudan a causa del conflitto e che nel campo profughi aiuta centinaia di persone, non pagato. “Praticamente questo è un genocidio”, aggiunge.
A cura di Fulvio Beltrami