«Preoccupa l’attacco all’obiezione di coscienza»
Il Rapporto Matić sulla cosiddetta “salute riproduttiva” è fortemente in contrasto con la normativa italiana e con più di un trattato internazionale. In particolare, mette a repentaglio l’obiezione di coscienza. La “buona notizia” è che questa risoluzione non è vincolante per gli ordinamenti nazionali ma ciò non esime i pro-life dal contrastarla. Pro Vita & Famiglia ne ha parlato con Simona Baldassarre, uno degli europarlamentari, che oggi, all’emiciclo di Strasburgo, daranno un voto contrario sul Rapporto Matić.
Il Rapporto Matić riprende in larga parte i contenuti dei rapporti Estrela e Lunacek, il primo dei quali, a suo tempo, fu respinto. Stavolta la risoluzione è passata in commissione e, da quanto si dice, ha buone probabilità di passare definitivamente in aula. Cosa è cambiato nel frattempo?
«I rapporti Estrela (2013) e Lunacek (2014) hanno storie diverse tra di loro. Il primo è stato respinto due volte dal Parlamento; il secondo, nonostante la forte mobilitazione delle associazioni pro-famiglia nelle principali città europee e il fiume di petizioni contrarie, è stato approvato dalla maggioranza. Cosa è cambiato da allora? In realtà, dal punto di vista del diritto internazionale, nulla. La Dichiarazione dei diritti del bambino dell’ONU continua a sostenere che ogni fanciullo ha diritto ad “una adeguata protezione giuridica, sia prima che dopo la nascita”; la Dichiarazione del Cairo del 1994 continua ad affermare che “in nessun caso l’aborto deve essere incoraggiato come metodo di pianificazione familiare. Tutti i governi, le organizzazioni intergovernative e non governative del settore”, tra cui l’UE, “sono sollecitati a rafforzare il loro impegno nei confronti della salute delle donne, a occuparsi dell’impatto sulla salute dell’aborto a rischio, inteso come un importante problema di salute pubblica, e a far diminuire il ricorso all’aborto tramite servizi di pianificazione familiare potenziati e migliorati. Bisogna accordare la massima priorità alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e tentare di eliminare la necessità di ricorrere all’aborto”. Infine, gli articoli 6 e 168 del Trattato sul Funzionamento dell’UE continuano a relegare la salute e i diritti sessuali e riproduttivi alla competenza dei singoli Stati. Ciò che è realmente cambiato è la radicalizzazione ideologica di questo Parlamento, la cui attuale legislatura si è aperta con un’anomala alleanza tra Partito Popolare Europeo, Renew e Socialisti per la presidenza della von der Leyen e ha oggettivamente spostato il baricentro dei valori del popolarismo verso una visione più laicista. Da questo ibrido, a cascata, possiamo capire perché il Parlamento sarebbe pronto ad approvare un Report che interferisce con la competenza esclusiva degli Stati membri in materia di aborto, e definisce quest’ultimo come un diritto umano. Inoltre, si attacca un diritto sacrosanto come l’obiezione di coscienza; si esortano gli Stati membri a garantire che tutti i bambini nelle scuole primarie e secondarie abbiano accesso a un’educazione sessuale e a informazioni complete sui diritti sessuali e riproduttivi, non curanti del ruolo primario della famiglia nell’educazione; ed infine si invitano gli Stati a fornire servizi per la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti (tra cui l’aborto e la contraccezione) ai giovani, indipendentemente dalla loro età. Mi chiedo, ma invece di pensare tanto all’interruzione di gravidanza, non potremmo sederci ad un tavolo per capire le ragioni che portano tante donne ad abortire? Cosa fa l’Unione Europea per aiutare una ragazza madre o una famiglia in difficoltà ad evitare l’aborto? Le probabilità che passi in aula saranno sicuramente buone, ma noi faremo la nostra parte fino all’ultimo perché sia rigettato».
Tutto l’impianto del Rapporto Matić è incompatibile con l’ordinamento giuridico italiano, in particolare con l’obiezione di coscienza. Se dovesse passare, quali norme prevarrebbero: le nazionali o le europee?
«L’attacco che la relazione sferra all’obiezione di coscienza è tra le cose che più mi preoccupano. La si vuole concepire come un ostacolo per l’aborto e pertanto, un intralcio da eliminare. Addirittura, nelle motivazioni del dossier si sostiene che il rifiuto dell’aborto da parte di un medico per le proprie convinzioni religiose, morali, filosofiche o etiche sarebbe da affrontare come “una negazione di assistenza medica, anziché essere considerata una cosiddetta obiezione di coscienza”. É gravissimo. Come medico, ancor prima che come politico, durante i negoziati con gli altri relatori ombra, l’ho ribadito più volte: il diritto all’obiezione di coscienza non può e non deve essere toccato. E da Bruxelles non possono permettersi di attaccare un principio protetto dalla nostra Costituzione. Per quanto riguarda il conflitto tra le norme nazionali ed Europee, continueranno a prevalere quelle italiane: il Rapporto Matić non sarà vincolante per gli Stati Membri. Tuttavia, andrà a far parte, però, di quella che è definita “soft law”, ovvero quel complesso di norme non vincolanti che, a lungo andare, rischiano di diventare coercitive. Dopo due anni di esperienza al Parlamento Europeo posso assicurarvi che, se non si cambia direzione, arriveremo al punto in cui non parleremo più di un Rapporto, ma di una Direttiva o di un Regolamento, che imporranno i diritti sessuali e riproduttivi ai singoli Stati».
Questa risoluzione è collegata più o meno direttamente all’audizione dello scorso marzo, in cui i socialisti e le lobby abortiste gettavano fango sui movimenti pro-life. Vogliono mettere il bavaglio a chi vuole criticare l’aborto?
«Il bavaglio alla libertà di pensiero o di opinione è già un dato di fatto. L’audizione congiunta tra la Commissione per i Diritti delle donne e la Commissione speciale sulle ingerenze straniere dello scorso marzo sul finanziamento di quelli che loro chiamano i movimenti “anti-choice”, ne è una palese dimostrazione. Guarda caso, non c’è stata possibilità di far intervenire neanche un movimento pro-life, ma solamente organizzazioni come International Planned Parenthood o OpenDemocracy, di cui conosciamo la fama e la missione. Quella del bavaglio è una strategia sempre più diffusa. In Italia con il “liberticida” Ddl Zan, in Europa, con la Relazione Matić, ma non solo. Penso anche all’iniziativa della Commissione Europea per il riconoscimento della genitorialità transfrontaliera, un cavallo di Troia per l’utero in affitto; o al “DDL Zan Europeo”, ovvero il progetto di relazione per identificare la violenza di genere come nuovo crimine dell’UE, di cui sono relatore ombra per il Gruppo ID. Si sta inventando e diffondendo un nuovo lessico, in cui le organizzazioni “pro-life” e “pro-family”, diventano “anti-choice”, “anti-women” o “anti-gender” e loro i paladini dei diritti e della felicità. È un totalitarismo mediatico e ideologico che rovescia la realtà: la difesa della vita e della dignità della madre e del diritto a vivere del neonato, diventano automaticamente una inaccettabile lesione dei diritti delle donne a praticare l’aborto».
L’ago della bilancia all’Europarlamento sarà il Partito Popolare Europeo: che tornaconto può avere un gruppo parlamentare da sempre schierato con i moderati e conservatori ad aderire posizioni così estreme? Che interessi ci sono dietro?
«Conosco molti colleghi del Partito Popolare Europeo che sapranno come votare. Il PPE è un partito dalle tante anime e sulle questioni riguardanti la Vita e la famiglia ci sono sempre stati voti ed opinioni contrapposte. Confido e spero naturalmente nell’azione di questi colleghi. Il mio appello al gruppo del PPE è che si voti secondo coscienza, confermando la posizione che il partito assunse nel 2013, in occasione del Report Estrela».