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America-Cina del Martedì 29 giugno 2021

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Martedì 29 giugno 2021

Multilateralismo al G20? Ma niente faccia a faccia America-Cina
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image di Viviana Mazza, redazione esteri

«Benvenuti nella terra del dialogo» dice il governatore della Puglia Michele Emiliano ai ministri degli Esteri del G20. Al centro del summit di Matera c’è il rilancio della cooperazione multilaterale nella lotta alla pandemia e al cambiamento climatico, pensando anche ai Paesi più vulnerabili. Pesa l’assenza del ministro cinese Wang Yi — ufficialmente per impegni legati alle celebrazioni del centenario del Partito comunista — anche se il faccia a faccia ipotizzato una settimana fa dal «Financial Times» era già stato escluso; mentre il russo Lavrov ha mandato il suo vice (nella foto Lapresse, il segretario di Stato Usa Antony Blinken allo specchio).

La newsletter di oggi parla delle superpotenze, ma anche molto dei «dintorni»: Etiopia, Nicaragua, Mar Nero, Iraq e Siria, Arabia Saudita e Iran, Mongolia e un po’ di Europa... giro del mondo in 15 post.

La newsletter AmericaCina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

1. Il primo G20 in presenza da due anni, ma Cina e Russia mantengono le distanze
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Le tensioni dell’Occidente con Russia e Cina arrivano fino a Matera dove è in corso il vertice dei ministri degli Esteri delle 20 maggiori economie mondiali, quelle che insieme totalizzano oltre 80% del Pil, il 75% del commercio e il 60% della popolazione del pianeta. È il primo G20 in presenza da due anni, ma Mosca e Pechino malgrado l’allentamento delle restrizioni hanno deciso di mantenere le distanze: il cinese Wang Yi parteciperà in videoconferenza, il russo Sergej Lavrov ha inviato il suo vice (ufficialmente per impegni legati alle celebrazioni del centenario del Partito Comunista).

Il summit rappresenta comunque un’occasione importante per ribadire l’impegno multilaterale e sondare quali margini ci sono per una maggiore collaborazione tra i Paesi membri nell’affrontare le crisi globali, dalla pandemia al clima. «La pandemia ha messo in luce il bisogno di una risposta internazionale per le emergenze che travalicano i confini regionali» ha ricordato Luigi Di Maio, aprendo i lavori stamattina.

Per l’Italia, presidente di turno del G20, è un’ opportunità per focalizzare il dibattito anche sull’Africa, continente che Roma considera prioritario per la propria politica estera. L’obiettivo è tentare di arrivare a un’estensione della sospensione del debito africano entro la fine dell’anno. «L’Italia sta lavorando intensamente per favorire una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio» ha dichiarato il titolare della Farnesina. «Un commercio equo, libero e inclusivo e basato su regole è essenziale per promuovere una ripresa sostenibile, che renda nostre economie più verdi e digitali».

Sul commercio non ci sono grandi aspettative di convergenza visto lo scontro in atto tra Pechino e Washington. Su altri temi invece i margini sono più ampi: sui vaccini per esempio, il vertice potrebbe continuare sul solco aperto dal G7 che si è impegnato a donare un miliardo di vaccini. «Il primo obiettivo è fermare la pandemia di Covid-19, favorendo una distribuzione equa dei vaccini. Il secondo obiettivo è una ripresa economica sostenibile e inclusiva» ha detto il segretario di Stato Usa, Antony Blinken nel suo intervento . Sull’ambiente il summit prepara la strada alla COP26, con l’Italia ancora in prima linea nel fissare l’agenda di priorità, in quanto co-presidente insieme al Regno Unito della Conferenza.

Leggi gli aggiornamenti dal G20 sul sito del Corriere.

2. Blinken e il «timore» che i fondi europei finiscano nelle tasche di Pechino

(Marco Galluzzo) Ovviamente è la Cina che fa capolino continuamente negli incontri istituzionali di Antony Blinken con le autorità italiane. I punti sono svariati, e le minacce di cui si discute sono soprattutto commerciali. Certo la questione del rispetto dei diritti umani è fondamentale, in testa ad ogni approfondimento sulla relazione con Pechino, e il sottosegretario di Stato la affronta sia a Palazzo Chigi che al Quirinale, ma il grande spettro è quello delle relazioni economiche sbilanciate, di uno strapotere cinese, anche nella manifattura, che ormai mette sempre più a rischio le economie occidentali.

Non è un caso che persino il Recovery plan ideato da Bruxelles, finanziato con emissioni di debito comune della Ue, piano centrale di rilancio dell’economia del Vecchio continente, ovviamente compresa e addirittura privilegiata l’Italia, abbia fatto capolino nelle conversazioni istituzionali del sottosegretario di Stato. Il rischio, ben chiaro agli americani come agli europei, è che parte delle centinaia di miliardi di euro del Recovery vadano a finire in Cina, piuttosto che alle aziende europee. Anche su questo Washington mette in guardia Roma, come ha già fatto con Parigi, e si dice pronta a collaborare perché ciò non accada.

Ma qual è il vero rischio legato ai Piano di ripresa e resilienza dei 27 Stati della Ue e che c’entra la Cina? C’entra nella misura in cui buona fetta dei Piani è dedicata alla riconversione ecologica delle economie europee. E visto che sul mercato praticamente non esistono in Europa capacità tecnologiche e dimensioni aziendali sufficienti per fornire, tanto per fare solo pochi esempi, tutti gli autobus elettrici, i pannelli solari, le batterie non inquinanti, che dovranno essere acquistati in modo massiccio, anche dall’Italia, esiste il rischio molto concreto che buona parte degli assegni che Bruxelles dovrà girare alle Capitali della Ue finiscano per essere incassati a Pechino.

Non è un mistero che la Cina abbia oggi quasi il monopolio mondiale delle tecnologie e dell’offerta di manifattura legate alla riconversione energetica. Lo stesso ministro Cingolani da mesi va dicendo che occorre una filiera europea, se non italiana. E visto che ieri si è preso atto con soddisfazione dell’accordo fra il consorzio europeo Airbus e l’americana Boeing, non è da escludere che sulla trasformazione energetica americani ed europei possano siglare intese strategiche per i prossimi anni.

Dietro le quinte prendono corpo altri argomenti: le reali possibilità dell’Italia di avere la prossima guida della Nato, punto su cui gli americani non si oppongono, ma che non dipende solo da Washington. La Libia, sulla quale finalmente, dopo anni di pressione da parte della diplomazia italiana, gli americani hanno voglia almeno di gettare un’occhiata, quantomeno per esercitare una pressione su Ankara e favorire il ritiro dei mercenari di Erdogan dal suolo libico. E infine la missione internazionale in Iraq: potrebbe anche accadere, l’anno prossimo, che si passi da una guida a stelle e strisce ad una tricolore; l’attività di formazione militare del resto è una delle eccellenze delle nostre forze armate. Anche di questo Blinken parla con i suoi interlocutori italiani.

Dal giornale in edicola oggi: leggi anche l’intervista al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, di Maurizio Caprara.

3. Gli eroi ordinari premiati da Xi per il centenario (e i miliardari nervosi)
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di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino

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Il Partito comunista cinese ha bisogno di nuovi eroi, dice Xi Jinping Nella Grande Sala del Popolo il segretario generale del Pcc, nonché presidente della Repubblica popolare, questa mattina ha consegnato 29 medaglie del Primo luglio (data ufficiale di fondazione del partito, nel 1921 a compagni e compagne che hanno «mantenuto radici popolari».

Sono tutti anziani comunisti, meglio se centenari o quasi per celebrare i 100 anni del Primo congresso. «Eroi ordinari», li ha definiti Xi appendendo loro al collo la medaglia fatta a stella con cinque punte e la falce e martello al centro. Nel gruppo degli eroi: un veterano della guerra civile; un diplomatico che ha lavorato quarant’anni in Africa; una ex corrispondente da Mosca dell’agenzia di stampa Xinhua, una professoressa che ha istituito un liceo femminile tra i monti. Squilli di tromba, applausi e moderata commozione.

Premiati i vecchi eroi ordinari, la grande celebrazione del Partito-Stato sarà giovedì. E allora i binocoli saranno puntati su Piazza Tienanmen. Soprattutto quelli della business community e degli investitori, segnala l’agenzia finanziaria Bloomberg. Bisognerà vedere quali tra i grandi capitani dell’industria cinese, saranno invitati, per capire chi sono i capitalisti rossi su cui puntare. Estremamente improbabile che alla grande festa sia invitato Jack Ma, finito nel mirino del Partito per essere stato troppo intraprendente. La Bloomberg titola il suo servizio sull’evento: «Guida alla festa di compleanno comunista per miliardari nervosi».

4. Inchiesta giudiziaria su Trump. Ma chi rischia di più è Mr. Weisselberg
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di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

imageAllen Weisselberg al centro tra Trump padre e figlio

Negli ambienti più vicini a Donald Trump si aspettano entro pochi giorni una mossa di Cyrus Vance, capo della Procura distrettuale di Manhattan, che sta indagando da quasi tre anni sugli affari e le finanze della holding cui fanno capo i business dell’ex presidente, dagli hotel ai campi da golf. Un’indagine parallela è condotta dall’Attorney General, la Procuratrice generale dello Stato di New York, Letitia James.

Ieri i magistrati che lavorano con Vance hanno incontrato gli avvocati della Trump Organization: era l’ultima possibilità concessa alla difesa per smontare i sospetti. Ron Fischetti, uno dei legali di Trump, ha detto al sito Politico che la Procura starebbe verificando se furono pagate le imposte sui benefit concessi ai dirigenti della Trump Organization, per esempio sugli appartamenti o le macchine aziendali. Finora ci sono solo indiscrezioni, ma l’inchiesta sulla holding trumpiana sarebbe molto ampia: evasione o truffa fiscale; pagamenti illeciti come i 130 mila dollari versati alla pornostar Stormy Daniels; falsificazione dei valori patrimoniali in bilancio per raggirare le banche e altro ancora. Il 25 maggio scorso Vance ha convocato un «Grand Jury», per esaminare possibili accuse penali a carico dei vertici della Trump Organization. Pochi giorni dopo, domenica 30 maggio Roger Stone, consulente e sodale di Trump, dichiarava al sito di estrema destra Infowars: «È possibile che entro un paio di settimane Donald possa essere incriminato per frode fiscale o per truffa finanziaria con accuse false e fabbricate».

Ma in questa fase la figura più a rischio di incriminazione sarebbe Allen Weisselberg, 71 anni, dal 2000 direttore finanziario del gruppo, di cui è diventato il trustee, il gestore, insieme con Donald jr ed Eric Trump, mentre il capo clan era alla Casa Bianca. Jennifer Weisselberg, la ex nuora di Allen, ha già consegnato molti documenti contabili a Vance e ieri ha dichiarato di essere pronta a testimoniare davanti al «Grand Jury». Trump ha fatto sapere di «essere perseguitato» dai magistrati per motivi politici.

5. Torna il crimine a Times Square? Lo «spot» peggiore per la ripresa di New York
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Seconda sparatoria in pieno giorno a Times Square nel giro di poche settimane. Stavolta la vittima — ferite serie ma non mortali — è Samuel Paulin, un giovane marine, appena sposato, che era arrivato a New York per un battesimo e stava passeggiando nella piazza con la moglie e altri parenti. In tutti e due i casi — quello precedente risale all’8 maggio — i passanti non sono stati presi di mira, ma sono le vittime casuali di scontri tra gang o anche solo tra gente che cerca di prendere il controllo degli angoli migliori dell’«ombelico del mondo» in cui svolgere attività non autorizzate. In tutti e due i casi, a quanto si sa, non si è trattato necessariamente di attività criminali come lo spaccio di droga: a maggio l’uomo che sparò, colpendo a caso due donne e una bimba di 4 anni in fila davanti a un negozio di giocattoli, riuscì a fuggire, probabilmente su un mezzo di trasporto pubblico.

Secondo la polizia la disputa trasformatasi in scontro a fuoco potrebbe essere nata da problemi di droga o anche solo da controversie sul luogo occupato per vendere compact disc di cantanti rap. Anche domenica scorsa il ragazzo nero che ha sparato e poi è riuscito a fuggire (ma è stato identificato attraverso le immagini delle telecamere) sarebbe stato coinvolto in una rissa per la conquista del posto migliore nel quale fare esibizioni di break dance e raccogliere soldi dai passanti. Consapevole che, come gridano a gran voce ristoratori e albergatori, sparatorie a Times Square sono la cosa peggiore che possa accadere per l’industria turistica di New York che cerca di risollevarsi dopo un anno e mezzo di stop, il sindaco Bill de Blasio promette di «inondare la zona di poliziotti»: altri 50 agenti sono stati dislocati nella piazza dove, da sempre, c’è anche un presidio mobile della polizia, la NYPD.

Il caso, ovviamente, ha rilevanti conseguenze politiche: l’impennata della criminalità registrata nel 2020 e nella prima metà di quest’anno (quasi un raddoppio delle persone colpite con armi da fuoco) spaventa i cittadini che tornano a votare per i candidati «law and order» (come abbiamo riferito a proposito delle primarie per la scelta del nuovo sindaco) e fa esplodere il risentimento dei poliziotti che si sentono criminalizzati da Black Lives Matter per gli abusi commessi (secondo loro) da pochi agenti fuori di testa. Ora i poliziotti, ma anche politici conservatori e moderati, chiedono la revisione di norme e regolamenti introdotti sull’onda dell’emozione per l’uccisone di George Floyd e di altri afroamericani: atti che, dicono, hanno legato le mani della polizia.

Non c’è dubbio che il crimine è avanzato in tutte le città d’America non solo per effetto della pandemia ma anche perché gli agenti hanno ridotto i loro interventi. Resta da vedere se tutto questo è avvenuto solo per effetto delle nuove norme e per le critiche rivolte da molti cittadini alle forze dell’ordine che frenano gli agenti e rendono i criminali più audaci. I messaggi diffusi via social media dai sindacati dei poliziotti dopo la sparatoria di maggio fanno riflettere: in uno i turisti venivano invitati a non cercare Disneyland a New York ma ad andare in quella vera, il Florida; un altro, intitolato Business Lives Matter, dava conto delle 60 cancellazioni arrivate al ristorante Tito Murphy subito dopo la sparatoria e si concludeva con un «benvenuti nella New York di de Blasio».

6. Tigray: i ribelli riprendono Macallè, l’Etiopia costretta al cessate il fuoco
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I fuochi di artificio al posto dei colpi di cannone: nelle strade di Macallè in queste ore scene di timido giubilo dopo mesi di buio. Il vento della guerra in Tigray è cambiato in pochi giorni. Il governo di Addis Abeba ha proclamato un furtivo cessate il fuoco unilaterale e si è dileguato. Fino a ieri il premier etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace 2019, aveva sempre rifiutato ogni richiesta di tregua lanciata dalle Nazioni Unite, con Stati Uniti ed Europa in testa, per dare aiuto ai 6 milioni di abitanti di una terra in ginocchio. Fino a a quando, dopo una settimana di avanzata, le forze del TPLF (Tigray People’s Liberation Front) si sono riprese la città (da cui erano stati cacciati nel novembre scorso) annunciando porte aperte agli aiuti umanitari internazionali.

Continua a leggere questo articolo sul sito del Corriere.

7. Nicaragua, gulag centroamericano
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«Il sandinismo si è convertito in un gulag per i nicaraguensi che si scontrano con la coppia presidenziale», scrive El País. Impossibile dare torto al giornale spagnolo alla luce di ciò che sta avvenendo in questi giorni, ultima conferma di una deriva autoritaria che la comunità internazionale deve denunciare con forza. In vista delle elezioni presidenziali di novembre l’ex leader della rivoluzione anti-Somoza ha fatto arrestare nelle scorse settimane 21 persone, tra cui cinque aspiranti candidati, otto esponenti di rilievo dell’opposizione e due imprenditori.

Daniel Ortega è ormai diventato uno spietato dittatore. Sotto gli occhi del mondo. Una degli arrestati è Cristiana Chamorro, 65 anni, figlia di Violeta Chamorro, presidente dal 1990 al 1996. Fu la prima sconfitta di Ortega, che poi riuscì a farsi rieleggere nel 2006. Per non andarsene più. Dopo il suo ritorno al potere ha cambiato la Costituzione per poter essere rieletto, ha nominato vicepresidente la moglie Rosario Murillo, è riuscito a manipolare la Corte suprema per ottenere sentenze che mettessero fuori gioco l’opposizione. Il suo controllo sull’apparato statale è stato totale. Le manifestazioni antigovernative del 2018 furono represse in modo brutale: il pugno di ferro voluto dal governo provocò decine di morti, in gran parte studenti. Intanto, dopo la paz sandinista imposta tre anni fa dal regime, 150.000 nicaraguensi sono fuggiti in Costa Rica e in altri Paesi, mentre si contano migliaia le richieste di asilo in Messico e negli Stati Uniti. Un’intera generazione è stata punita.

Espulsioni dalle università, impossibilità di trovare lavoro per coloro che hanno partecipato alle proteste. Che cosa si può fare? È chiaro che bisogna aumentare la pressione (e la vigilanza), anche se il caso venezuelano insegna che agire è difficile quando le protezioni e gli interessi sembrano più forti dei valori da difendere. Nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati americani un tentativo di mediazione di Messico e Argentina è rimasto inascoltato a Managua. Ci sarà molto lavoro da fare anche dietro le quinte, perché Ortega sa che la sua popolarità è scesa a livelli molto bassi (20 per cento) e intende in ogni caso garantire il proprio futuro e quello della moglie se fosse finalmente costretto a lasciare il potere dopo il voto. Ma tutti gli scenari sono ancora possibili. Se le cose stanno in questo modo, conviene lasciare la parola al generale Hugo Torres, uno degli eroi della rivolta contro la dittatura di Somoza. Anche lui è stato arrestato nei giorni scorsi. Come racconta il quotidiano di Madrid, il comandante uno ha però registrato un video: «Rischiai di morire per tirare fuori dal carcere Ortega, ma la vita gira così: chi ha sostenuto quei principi oggi li ha traditi». La vita gira così.

8. Cinquemila uomini, 32 navi, 40 aerei: binocoli puntati sul Mar Nero
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imageMarinai britannici a bordo del cacciatorpediniere Defender

Binocoli puntati sul Mar Nero. Sono iniziate le esercitazioni Sea Breeze dirette da Usa e Ucraina. Impegneranno, fino al 10 luglio, cinquemila uomini, 32 navi, 40 aerei e team di forze speciali. Un dispositivo messo in campo con partecipazione diretta o supporto di 32 Paesi. Ci sono mezzi dell’Alleanza atlantica, ma anche quelli di stati come Egitto, Israele, Tunisia, Marocco e Emirati. Appuntamenti come questo servono a migliorare la cooperazione, ma rappresentano anche un segnale.

C’è molta attenzione alle manovre perché seguono di pochi giorni un episodio serio che ha coinvolto davanti alle coste della Crimea un’unità britannica. Mosca ha sostenuto di aver sparato colpi d’avvertimento e di aver fatto intervenire i caccia (con sgancio di bombe) per costringere il cacciatorpediniere Defender a cambiare rotta. Versione contestata da Londra. La Russia ha protestato in modo ufficiale contro le esercitazioni ed ha messo in guardia la controparte: siamo pronti a reagire nel caso sia messa in pericolo la sicurezza nazionale.

9. Finalmente libere due attiviste saudite (ma non è finita)
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imageSamar Badawi con Michelle Obama e Hillary Clinton: nel 2012 l’attivista saudita ha ricevuto il premio US International Women of Courage

Le due attiviste saudite Samar Badawi e Nassima Sada sono state rilasciate dopo tre anni di reclusione a causa delle loro attività per i diritti delle donne e contro il sistema della Wilaya (la supremazia maschile che costringe le donne a chiedere il permesso di un uomo della famiglia per svolgere moltissime attività). Sono state arrestate nel luglio 2018 sull’onda della campagna repressiva che aveva colpito molte altre donne. La loro liberazione è stata annunciata dall’Associazione ALQST, con sede a Londra.

  1. Samar Badawi è stata insignita del premio US International Women of Courage nel 2012per aver sfidato il sistema di «tutela» ed è stata tra le prime a firmare una petizione che chiedeva al governo di consentire alle donne di guidare, votare e candidarsi alle elezioni locali. Appartiene ad una famiglia di difensori dei diritti umani. È sorella di Raif Badawi, un attivista per i diritti umani, condannato a 10 anni di carcere nel 2014 per «aver offeso l’Islam» sul suo blog. Suo marito è Waleed Abul-Khair, avvocato, anche lui condannato a 15 anni per le sue prese di posizione sui temi dei diritti delle donne e per le libertà di espressione e organizzazione.
  2. Nassima Sada, giornalista e scrittrice, proviene dalla provincia di Qatif, a maggioranza sciita, e ha lavorato per la rivista online, Juhaina. Ha partecipato alla campagna per il diritto di guidare e l’abolizione del sistema di tutela. Si è candidata alle elezioni locali del 2015 che hanno visto per la prima volta riconosciuto il diritto delle donne saudite al voto attivo. La Commissione elettorale ha cancellato d’ufficio il suo nome dalla lista dei candidati. Il suo arresto è stato motivato con l’accusa di aver comunicato con gruppi all’estero (giornalisti e organizzazioni per i diritti umani) ostili all’Arabia Saudita.

Le due donne tuttavia non godranno di una vita normale e una libertà piena, ma saranno delle «osservate speciali»: non potranno viaggiare all’estero, rilasciare interviste o intervenire sui social media. Il loro rilascio segue quello di Loujain Al-Hathloul, dello scorso febbraio. Rimane ancora in carcere invece, Maya Al-Zaharani, condannata alla fine di dicembre 2020 a 5 anni e 8 mesi di reclusione.

Leggi Anbamed, rassegna essenziale per chi segue le notizie sul Mediterraneo (e dintorni)

10. Resta in carcere l’iraniana Sepideh Gholian (ma in Italia escono i suoi diari)
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di Sepideh Gholian, reporter e attivista iraniana

imageLe celle, le stanze degli interrogatori e i bagni: la mappa del carcere di Sepidar disegnata da Sepideh Gholian

Ci picchiano da mezzogiorno alle 10 di sera. Temo che non resterò in vita. Dire che sono terrorizzata non basta davvero a esprimere ciò che provo. Sento qualcosa di caldo fuoriuscire dal mio corpo. Resto completamente muta, persino quando mi picchiano non riesco neppure a gemere. Sono certa che uccideranno Esmail e che questa oscurità non avrà mai fine (Esmail Bakhshi è un sindacalista della raffineria Haft Tappeh, imprigionato e torturato per il suo ruolo nella mobilitazione del 2018, ndr) .

Viaggiamo su una strada che sembra in salita, dopo un po’ la macchina si ferma. Dalle voci attorno a me capisco che hanno buttato a terra Esmail e lo stanno trascinando via. È morto? Sono morta, io? D’improvviso riattaccano dalla mia parte e mi colpiscono nuovamente. Scendo dalla macchina. Mi accusano: «Hai insudiciato l’auto con il tuo sangue». Poi, tirando un pezzo di cartone che mi mettono in mano mi dirigono da un’altra parte. Sono bendata e non posso vedere bene dove vado. So solo che mi guidano per un declivio fino a una stanza. Sto tremando, e imploro che mi lascino vedere una guardia donna, ma in risposta mi urlano: «Una donna, e perché? Qui dentro ci muori».

Continua a leggere l’estratto sul sito del Corriere.

I «Diari dal carcere» (Gaspari Editore) escono in Italia per iniziativa del festival Vicino/lontano e delle Librerie in Comune di Udine, con il patrocinio di Amnesty International. Arrestata nel 2018 nell’ambito delle proteste per il carovita, Gholian seguiva in veste di giornalista lo sciopero dei lavoratori della raffineria di zucchero Haft Tappeh. I diari saranno presentati il 1° luglio alla 17^ edizione di Vicino/lontano a Udine: alle 19, nella Loggia del Lionello interverranno Luciana Borsatti, giornalista esperta di Iran e Fabrizio Foschini, traduttore dei Diari. Condurrà l’incontro il direttore dell’Ansa Fvg Francesco De Filippo, video intervento di Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia, che firma la prefazione del libro. Info vicinolontano.it

11. Come può Washington ristabilire la deterrenza con le milizie iraniane?

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(Guido Olimpio) Le milizie sciite — come era prevedibile — hanno reagito immediatamente al raid aereo condotto dagli Usa contro le loro postazioni in territorio siriano e iracheno. Nella notte hanno tirato razzi su un’area nel nord orientale della Siria (al Omar) che ospita avamposti statunitensi. Nessuna conseguenza, solo un atto dimostrativo. Gli americani, a loro volta, hanno ribattuto con qualche cannonata. Interessante il parere dell’esperto Michael Knight. A suo giudizio Washington deve elevare il livello della risposta per ristabilire la deterrenza. Con quattro mosse:

  • Maggiore frequenza delle ritorsioni nei confronti dei gruppi filo-iraniani. A fronte di sei attacchi in pochi mesi, Biden ha autorizzato solo due rappresaglie.
  • Incursioni più pesanti e non solo mosse simboliche. Dunque distruzione di depositi, sistemi d’arma.
  • Azioni mirate per eliminare quadri e dirigenti delle fazioni. Devono capire di essere in pericolo.
  • Attività coperte. Non è necessario annunciare o confermare un’operazione. Il Pentagono segua l’approccio israeliano, protagonista di centinaia di strikes in Siria che raramente sono rivendicati. Il punto è però politico. La Casa Bianca, per ora, non ha alcun interesse ad ampliare lo scontro.
12. Facebook si salva (per ora?)

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(Massimo Gaggi) Mentre Joe Biden allarga la sua offensiva contro il potere monopolistico di alcuni grandi gruppi da quelli tecnologici ad altri settori come le banche, oggetto di un ordine esecutivo sul ripristino della sorveglianza antitrust che la Casa Bianca starebbe definendo in queste ore, un tribunale federale assolve Facebook dall’accusa di esercitare un potere monopolistico che le era stata mossa dalla FTC (Federal Trade Commission, l’authority che tutela la concorrenza) e dagli attorney general (i capi delle procure) di 48 Stati dell’Unione. Per il gruppo fondato da Mark Zuckerberg, da anni sotto tiro con l’accusa di abusare del suo potere di mercato, è una prima, importante vittoria. Conseguenze immediate anche in Borsa dove il titolo del gigante delle reti sociali ha guadagnato il 4%.

Soddisfazione della società californiana, mentre in Congresso i molti critici — tanto democratici quanto repubblicani — dei giganti di big tech hanno espresso sorpresa, oltre che delusione: Facebook era stata messa sotto accusa in modo circostanziato non solo da politici, ma anche da autorità con poteri di regolamentazione (FTC) e giudiziarie. Ad esempio, Letitia James, capo della magistratura di New York, aveva sostenuto senza mezzi termini che «Facebook ha usato il suo potere monopolistico per schiantare i concorrenti». Mentre la FTC aveva parlato di strategia sistematica di eliminazione della concorrenza anche acquistando le nuove realtà più promettenti come Instagram e Whatsapp, finite nel gruppo di Zuckerberg rispettivamente nel 2012 e nel 2014. Il giudice distrettuale James Boasberg, però, è stato di diverso avviso: ha bocciato tanto l’intervento della FTC, che ipotizzava rimedi come lo «spezzatino» con l’obbligo per Facebook di cedere le attività che le danno una posizione dominante sul mercato, quanto il ricorso delle procure di 48 Stati.

Quest’ultimo è stato liquidato come non tempestivo, visto che sono stati denunciati gli effetti deleteri di fusioni societarie avvenute molti anni fa, mentre nel primo caso il tribunale non ha escluso che l’azienda di Zuckerberg possa comportarsi da monopolista: si è limitato a sostenere che gli argomenti esposti dalla FTC sono «legalmente insufficienti» visto che non contengono nemmeno «cifre su questo dominio riferite alla situazione attuale o a un qualunque momento degli ultimi 10 anni». Normalmente al gruppo Facebook (cioè includendo anche Instagram, Whatsapp e Messenger) viene attribuito il controllo dei tre quarti, circa, del traffico dei social media americani.

Evidentemente queste cifre non sono state inserite nel ricorso, forse per evitare contestazioni metodologiche (tenendo conto, ad esempio, anche dei video di YouTube, i numeri cambiano). Comunque la sentenza di Boasberg, se dimostra quanto sia difficile procedere sul terreno del contrasto dei monopoli e del ripristino delle norme antitrust, non esclude che la FTC possa presentare un nuovo ricorso riveduto, corretto e rafforzato da Lina Khan, la studiosa e attivista nemica giurata dei monopoli che il presidente Biden ha appena messo alla guida dell’agenzia federale.

13. Il rapporto Onu sul razzismo: guardate che è un problema anche europeo

imageI fan ungheresi in marcia a Budapest con uno striscione anti-inginocchiamento, prima della partita contro la Francia finita in pareggio

(Viviana Mazza) Il razzismo è anche un problema europeo. Ce lo ricorda il rapporto delle Nazioni Unite sul razzismo sistemico pubblicato ieri specificando che «nessuno Stato ha fatto pienamente i conti con il suo passato e con il suo impatto sul presente». Il rapporto suggerisce l’esigenza di «riparazioni», da non considerare esclusivamente sotto forma di compensazione finanziaria, come ha specificato Michelle Bachelet, commissaria per i diritti umani dell’Onu. «È un concetto che dovrebbe includere restituzione, riabilitazione, riforme educative, riconoscimenti, scuse, commemorazioni e “garanzie”che non ci saranno ulteriori ingiustizie». E dovrebbe farci riflettere anche sulle polemiche in corso durante gli Europei, che sono diventati un’occasione per manifestare l’esigenza di cambiamento, ma anche per osservare la resistenza di chi pensa ancora di poter dire che il razzismo non è un reale problema «da noi» e che non ha bisogno di azioni collettive che lo condannino.

14. Chi arriva in Cina vaccinato rischia di finire in ospedale

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(Guido Santevecchi) Il Consolato di Spagna a Shanghai ha chiesto chiarimenti sula procedura sanitaria di ingresso in Cina. Si sa che non sono ammessi i turisti, ma solo chi ha già un permesso di residenza; serve comunque una lettera ufficiale cinese di «invito»; necessario tampone e test del sangue prima di partire. All’arrivo sono previsti 21 giorni di quarantena in Covid-hotel a spese del viaggiatore. Ma diversi spagnoli vaccinati con farmaci usati in Europa o anche con quelli cinesi, sono finiti in ospedale dopo il test del sangue effettuato all’aeroporto di Shanghai.

Secondo il Consolato spagnolo, il problema sorge se il test rileva una quantità di anticorpi «elevata»: ma quale sia la soglia fissata dalle autorità di Shanghai non è noto e i vaccini sviluppano anticorpi. Chi è stato isolato in ospedale ha denunciato condizioni di semi-reclusione sanitaria per tre o quattro giorni e pratiche «invasive» (i cinesi pensano che il tampone anale sia più sicuro). Joerg Wuttke, presidente della Camera di Commercio europea in Cina, ha riferito di essere al corrente di un caso di quarantena ospedaliera imposta a un businessman italiano a Shanghai.

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(Guido Santevecchi) Sul web cinese è diventato virale il nuovo fast food aperto nella Mongolia Interna dalla catena americana KFC (Kentucky Fried Chicken). È a forma di tenda mongola, la yurt usata dai nomadi e la gente chiede: «Il delivery lo fanno a dorso di cammello?»

15. La «cupola di calore» parcheggiata sul Nord-ovest (e sul nostro futuro)

imageUna visualizzazione della «cupola di calore» sul Nord-ovest degli Stati Uniti

(Viviana Mazza) «Intenso. Prolungato. Senza precedenti. Anormale. Pericoloso». Parole che — nota l’Associated Press — il Servizio Meteorologico Nazionale americano usa da giorni per descrivere la storica ondata di caldo che sta investendo il Nord-Ovest degli Stati Uniti. Subito a nord, la British Columbia in Canada, affronta una situazione analoga.

Portland in Oregon ha raggiunto i 44,4° C domenica, superando il record di 42,2° C stabilito appena un giorno prima. Seattle ha toccato i 40° per due giorni consecutivi — è la prima volta da quando si è iniziato a registrare i dati sulla temperatura nel 1894: fa così tanto caldo che il manto stradale si deforma. A Lytton, un paesino canadese, si è arrivati a 46,1 °C domenica sera, la temperatura più alta mai registrata nella nazione.

La colpa è della heat dome, una «cupola di calore» che, come una sorta di gigantesco coperchio di alta pressione parcheggiato sulla regione, surriscalda e «intrappola» l’aria sottostante. Secondo gli esperti è un assaggio di ciò che ci aspetta in futuro per effetto dei cambiamenti climatici. Gli scienziati sin dagli Anni Settanta e Ottanta avvertivano che le ondate di caldo sarebbero diventate più frequenti, lunghe e intense.

Da allora le «cupole di calore» sono peggiorate progressivamente. Europa 2003, Russia 2010, le estati del 2016 e del 2017 (l’Organizzazione meteorologica mondiale certificò 53,8 gradi a Mitribah in Kuwait e di 53,7 a Turbat in Pakistan — al tempo la terza ela quarta temperatura mai misurate). Nel 2018 l’emisfero boreale è stato colpito da un caldo record (dalla California alla penisola scandinava e fino al Giappone): uno studio pubblicato sulla rivista Earth’s Future concludeva che l’impatto si è sentito nel 22% delle terre popolate e coltivate dell’emisfero e che il pianeta è entrato in un nuovo «regime climatico», caratterizzato da ondate di calore di una ferocia mai vista prima. Fino alle vicende degli ultimi nostri. Per un resoconto più completo, consigliamo questo articolo del Washington Post.

Grazie per aver letto i nostri post fino alla fine. Vi auguriamo un fresco pomeriggio, ovunque voi siate.

Viviana Mazza

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