6 luglio 2021 – Notiziario in genere
Benin, un uomo condannato per violenza contro tre transgender. «Imporre valori immaginari farà crollare l’Ue»: Jansa si schiera dalla parte di Orban. Bruxelles intanto prepara la procedura d’infrazione contro l’Ungheria. Turchia fuori dalla Convenzione Istanbul. Sessismo e violenza on line: 200 donne famose scrivono ai social per combattere gli abusi. Il presidente francese Emmanuel Macron? È femminista.
Ascolta il podcast
La giustizia dello stato del Benin ha condannato un uomo a 12 mesi di carcere per “aggressione e percosse” a tre donne transgender. La notte del 30 aprile, a una festa di compleanno a Cotonou, un gruppo di persone attacca tre ospiti. Tre donne transgender vengono aggredite, picchiate e spogliate. Solo uno degli aggressori è apparso in udienza, mentre i suoi complici sono in fuga.
«È un respiro di sollievo. Per la prima volta i tribunali si sono pronunciati su un caso riguardante i diritti delle minoranze sessuali in Benin», dice alla radio francese RFI Jean-Jacques Bankole, vice presidente della rete “Bénin synergie plus” e componente della comunità lgbtq. «Questo ci rende felici, l’intera comunità è davvero soddisfatta. L’unica cosa che questa comunità vuole è essere protetta. La comunità Lgbtq non ha bisogno di alcun diritto particolare o specifico poiché la Costituzione del Benin garantisce tutti i diritti umani».
Nel frattempo il Consiglio di Stato francese ha cancellato Benin, Ghana e Senegal dall’elenco dei cosiddetti paesi sicuri dell’OFPRA, l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi. In questi ultimi due paesi, l’obiettivo è proteggere i cittadini lgbtq vittime di discriminazione.
«Dovete rispettare le diversità dell’Est»: Janez Janša, premier della Slovenia e presidente di turno dell’Unione Europea, è dalla parte dell’Ungheria di Viktor Orban, negli ultimi tempi al centro delle polemiche e dell’attenzione dell’Europa per i suoi continui attacchi allo stato di diritto e alla comunità lgbtq. Imporre «valori europei immaginari» all’Europa centrale, dice Janša secondo quanto riportato da The Guardian, avrebbe come potenziale effetto collaterale quello di far crollare a un certo punto la stessa Unione.
«L’imposizione di una prospettiva aliena da parte degli Stati membri occidentali è la strada più rapida per il collasso» del blocco, dice Janša, da sempre grande alleato del premier ungherese Viktor Orbán. «Ci sono differenze che vanno prese in considerazione e rispettate e penso che ci sia una netta divisione tra competenze nazionali ed europee». «Non si giudica una persona in base a valori europei immaginari usando due standard, penso che questa sia la strada più veloce per crollare», dice ancora il premier sloveno. Janša è un leader molto controverso: è stato in carcere mentre combatteva per l’indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia e ha all’attivo una sentenza, capovolta, per corruzione. Dopo le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 è stato anche l’unico capo di governo del mondo a congratularsi pubblicamente con Donald Trump e non con Joe Biden per la vittoria delle elezioni, accompagnando il tutto con tweet in cui parlava di complotto.
Nel frattempo Bruxelles prepara la procedura d’infrazione contro l’Ungheria per la legge anti-Lgbt: «Non resteremo a lungo senza agire». «La Commissione europea userà tutto ciò che è in suo potere per garantire che i diritti di tutti i cittadini dell’UE. Non esiteremo ad agire, in qualità di guardiani dei Trattati», ha dichiarato il portavoce di Palazzo Berlaymont per lo stato di diritto, Christian Wiegand.
La Turchia è definitivamente fuori dalla Convenzione di Istanbul. Cento giorni dopo la firma del decreto del presidente Recep Tayyip Erdogan, nonostante le proteste internazionali e nazionali, anche da parte di associazioni e partiti, Ankara è ufficialmente fuori dal trattato contro la violenza di genere. La Turchia è il primo paese a ritirarsi dalla Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che venne aperta alla firma nel 2011 nella sua città più rappresentativa, a Istanbul. Si tratta anche della prima volta in cui uno stato del Consiglio d’Europa si ritira da una convenzione internazionale sui diritti umani. Per Amnesty International la scelta turca è “vergognosa”. «La Turchia ha rimandato indietro le lancette dell’orologio di dieci anni rispetto ai diritti delle donne e ha stabilito un terrificante precedente», dice la segretaria generale di Amnesty, Agnès Callamard. «Questa deplorevole decisione è diventata un punto di svolta per le attiviste di tutto il mondo, determinate con noi a resistere a ulteriori assalti ai diritti umani».
«Non abbandoniamo la Convenzione di Istanbul, per noi non è finita», gridavano le donne scese in piazza nei giorni scorsi. La settimana scorsa, per quelle stesse strade, il Gay Pride era stato represso duramente dopo essere stato vietato per il settimo anno consecutivo. «La nostra lotta contro la violenza sulle donne non è cominciata con la Convenzione di Istanbul e non finirà con il suo abbandono», dice Erdogan presentando un suo contro-piano d’azione sulla violenza contro le donne. Per lui si tratta di «strumentalizzazione politica» del trattato, che per Ankara è contrario ai «valori della famiglia» e sarebbe reo di «normalizzare l’omosessualità». Le azioni del governo di Ankara, dice Erdogan, intendono «difendere l’onore delle nostre madri e delle nostre figlie».
L’allarme lanciato da Amnesty è invece chiaro: cresceranno ora «i rischi di subire violenza per milioni di donne e ragazze». E i numeri sono già preoccupanti. La fotografia scattata dalla piattaforma “Fermiamo i femminicidi” parla di 300 donne turche uccise nel 2020 da mariti, compagni o familiari. Dall’inizio di quest’anno sono morte già 189 donne. E solo nei primi quattro mesi del 2021 i casi accertati di violenza domestica sono stati 73.000.
L’ex prima ministra australiana Julia Gillard, l’ex tennista statunitense Billie Jean King e le attrici britanniche Thandiwe Newton ed Emma Watson sono solo alcuni nomi tra quelli delle 200 donne di alto profilo che hanno firmato una lettera aperta rivolta ai big dei social − Facebook, Twitter, Google, TikTok − per chiedere azioni concrete contro gli abusi sessisti sulle piattaforme social. La lettera è stata diffusa al Generation Equality Forum delle Nazioni Unite. «Come premier dell’Australia, e come altre donne note, ho ricevuto regolarmente attraverso i social messaggi di carattere sessista e porno», ha spiegato Gillard alla Bbc, dicendo anche di essere «arrabbiata e frustrata per il fatto che le donne debbano ancora affrontare questo tipo di abuso». La lettera chiede di «dare priorità urgente alla sicurezza delle donne sulle vostre piattaforme». Gli amministratori delegati dei social hanno replicato con l’impegno a migliorare i sistemi di segnalazione degli abusi e a filtrare ciò che gli utenti vedono e chi può interagire con loro online.
«Con i leader qui presenti, rivendico di essere femminista. Femminista in nome del fatto che il femminismo è una forma di umanismo e che difendere la dignità delle donne, i diritti delle donne, significa difendere allo stesso tempo la dignità e i diritti degli uomini, le due cose non sono separabili, perché la condizione umana non è separabile»: a dirlo nei giorni scorsi è stato il presidente francese, Emmanuel Macron, al Forum mondiale dell’Onu per la Parità di genere e i diritti delle Donne a Parigi. «La lotta dei Lumi − ha proseguito Macron parlando dell’Illuminismo francese ed europeo − è una lotta per l’umanità e quindi per le donne e gli uomini, insieme, inseparabili, in destino e condizioni». «I diritti delle donne − dice Macron − sono quindi universali come sono l’insieme dei diritti umani, ovunque e sempre».
Ti potrebbe interessare anche:
E se credete in un giornalismo indipendente, serio e che racconta recandosi sul posto, potete darci una mano cliccando su Sostienici