"Sta male, temo per lui in carcere"
Ahmed Samir Santawy (Photo: ..)
Lo scorso 22 giugno, lo studente egiziano Ahmed Samir Santawy è stato condannato a quattro anni di carcere per presunta diffusione di notizie false sull’Egitto. Studente alla Central European University (CEU) di Vienna, Ahmed Samir si occupava di diritti delle donne prima di essere arrestato lo scorso febbraio, e incluso inizialmente nel caso 65/2021 con accuse di far parte di un’organizzazione terroristica. Philip Luther, responsabile di Amnesty International per il Nord Africa e il Medio Oriente ha condannato la sentenza. “Criminalizzare la diffusione di informazioni basandosi su concetti vaghi come ‘notizie false’ è contrario al diritto alla libertà di espressione garantito dalla Costituzione egiziana”, ha commentato Luther.
Non si ferma la repressione che coinvolge oltre 60 mila prigionieri politici in Egitto, secondo i dati di Amnesty. Il Comitato per la giustizia e altri sette think tank per la difesa dei diritti umani hanno criticato duramente l’approvazione della legge 71/2021 che impedisce qualsiasi tipo di ripresa, registrazione, foto, pubblicazione di immagini dei processi delle corti penali senza l’approvazione del presidente della corte. La nota riferisce della “mancanza degli standard minimi per la garanzia di un giusto processo”. Non si fermano neppure le esecuzioni delle condanne a morte, lo scorso 30 giugno sei esecuzioni sono state eseguite nella prigione di Borg al-Arab ad Alessandria d’Egitto. Altre nove condanne erano state eseguite lo scorso 27 giugno portando a oltre 70 le condanne a morte eseguite in Egitto nella prima metà del 2021. Abbiamo parlato del caso che coinvolge Ahmed Samir Santawy con la sua compagna, Souheila Yildiz, studentessa in Belgio all’Università di Gand.
Qual è stata la sua reazione alla notizia della condanna a quattro anni di carcere per Ahmed Samir?
L’avvocato mi ha chiamata la sera del 22 giugno e mi ha detto della condanna a quattro anni. Stavo camminando per strada e ho provato a metabolizzare questa notizia e rimanere forte. Appena sono rientrata nel mio appartamento ero completamente a pezzi e ho pianto. E ho pensato ai quattro anni in carcere, cercando di rimanere in me e di non perdere la testa in seguito a questa condanna surreale che non ci aspettavamo assolutamente. Pensavamo che sarebbe stata una condanna a otto mesi o al massimo, nel peggiore dei casi, a due anni. E ho iniziato a pensare cosa una persona può fare in quattro anni, tutte le cose che puoi offrire, puoi imparare, i soldi che puoi risparmiare, tutto questo ci sarebbe stato impedito, ho continuato a pensare come sarebbe stato dopo quattro anni, quanti capelli bianchi avrebbe avuto Ahmed, come sarei stata io tra quattro anni. E come avremmo potuto iniziare la famiglia che volevamo, pensavamo di farlo quest’estate dopo la fine del suo Master, lui ha compiuto 30 anni in prigione, io ne avrò 32 a settembre. E poi ho messo tutti questi pensieri da parte e ho iniziato a camminare per mettere in discussione la sentenza e chiedere al presidente al-Sisi di non autorizzarla e inserire invece Ahmed nella lista dei detenuti che otterranno la grazia presidenziale. C’è una lista di detenuti che otterranno il perdono presidenziale nelle prossime feste religiose (Eid al-Ahda, festa del sacrificio, ndr) il 20 luglio. Siamo felici che dopo tanto lavoro Ahmed sia in questa lista. E speriamo che sarà uno di coloro che sarà scelto per essere rilasciato. Ma ho messo la speranza da parte e ho solo lavorato per fare il possibile perché venga rilasciato.
Ahmed Samir ha iniziato lo sciopero della fame. Ci sono state accuse di torture al momento dell’arresto e sappiamo che le carceri egiziane sono note per le violenze sui detenuti. Quali sono le sue condizioni di salute e di detenzione?
Le sue condizioni al momento peggiorano di minuto in minuto, sua madre l’ha visitato lo scorso sabato, il 3 luglio, il giorno prima del suo compleanno e Ahmed le ha detto che è deciso a proseguire con il suo sciopero della fame. E che continuerà perché non può pensare di rimanere per i prossimi quattro anni in una piccola stanza, di non poter leggere chissà per quanto tempo perché i suoi libri universitari fino a questo momento non gli sono stati consegnati, sebbene abbiamo avuto il permesso dalla sua università e dal ministero dell’Interno in Egitto. Li hanno ricevuti in prigione, ma non glieli hanno consegnati ancora. Sappiamo che è stato trasportato all’ospedale della prigione di Tora, si trova lì da solo, con nient’altro che il suo corpo affamato che paga per la sua libertà. C’è un medico che viene una volta la mattina e una la sera, siamo così preoccupati perché non possiamo visitarlo se non una volta al mese, e ci sono visite extra durante il mese ma in casi molto rari, per festività, la prossima sarà per l’Eid appunto il 20 luglio. Per tanti giorni quindi non abbiamo avuto alcun contatto con lui, non ci sono telefonate e ora anche le lettere non sono permesse. Sarebbero uno strumento per noi per fare pressione su di lui affinché concluda lo sciopero della fame. Quando sua madre lo ha visitato e gli ha portato la mia lettera, gli ha detto: “non ti daremo la lettera di Souheila finché non interrompi lo sciopero della fame”. Non gli era permesso di scriverci, di dire qualsiasi cosa che avrebbe voluto dire al mondo esterno in questi giorni così delicati per noi tutti. Il suo avvocato ha chiesto una visita dall’inizio del suo sciopero della fame e fino a questo momento non ci sono risposte a questa richiesta, hanno semplicemente ignorato la sua richiesta. È completamente tagliato fuori dal mondo esterno e sappiamo soltanto da questa visita veloce, di venti minuti, con sua madre, in modo generale come sta ma non abbiamo potuto raccogliere suoi messaggi a me o al resto del mondo. Ho sempre paura che lui abbia bisogno di un dottore, ci sono 12 ore tra la visita della mattina e quella della sera, qualcosa può succedergli, le sue condizioni possono peggiorare velocemente e potrebbe avere bisogno di qualcuno e lui è lì da solo.
Ci sono delle similitudini tra il caso di Ahmed Samir e Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna da oltre un anno in prigione in Egitto? Per lui la Camera ha approvato il 7 luglio scorso una mozione per concedergli la cittadinanza italiana. Le autorità austriache stanno facendo sufficienti pressioni sull’Egitto per chiederne il rilascio?
Le autorità austriache sono coinvolte dall’inizio, l’Università di Ahmed è in contatto con il ministero degli Esteri e con l’ambasciata austriaca al Cairo ma quello che posso vedere a questo punto è che stanno lavorando in modo molto discreto, vogliono che ogni cosa non venga resa pubblica, la reazione alla condanna di quattro anni e al suo sciopero della fame è molto debole rispetto a quello che l’Italia sta facendo per il suo studente, Patrick Zaki. L’Austria non sta facendo tanto quanto fa l’Italia e per il momento stanno aspettando le motivazioni della sentenza, non viene preso in considerazione il fatto che l’Egitto non lavori come facciamo in Europa, e fino ad ora l’avvocato non ha questi documenti, la sentenza è stata semplicemente comunicata al suo avvocato e alla sua famiglia, non abbiamo i documenti e non possiamo aspettare che arrivino per iniziare a mobilitarci. So che è stata raggiunta Faiza Abu el-Naga, consulente del presidente al-Sisi, ma non abbiamo avuto risposte. Gran parte del lavoro è stato fatto grazie ai suoi colleghi e amici a Vienna, attraverso il suo professore con cui vuole svolgere il dottorato all’Università di Cambridge.
Il caso di Ahmed Samir coinvolge le libertà accademiche e di studio, come si sono mobilitate le reti universitarie per chiedere il suo rilascio?
Questi think tank, come Scholars at Risk, hanno fatto la maggior parte del lavoro, e qui in Belgio i rettori delle cinque università delle Fiandre si sono incontrati e hanno chiesto al ministro presidente delle Fiandre, Jan Jambon, di incontrare loro e me. Abbiamo proprio un incontro con loro previsto per la prossima settimana per vedere quello che può fare il Belgio poiché sono la sua fidanzata e sono in Belgio io stessa. Ma in generale chiedo al governo austriaco, alla sua università, la Central European University (CEU), di essere più coinvolte, e fare di più per il loro studente. Tutti gli studenti in Austria sono sicuri quando scelgono Vienna come luogo di destinazione per i loro studi e che i loro diritti saranno difesi qualsiasi cosa succeda ma questo non sta accadendo fino a questo momento.
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.