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'Lingui', quando l’aborto non è un diritto

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

CANNES – Ci sono diritti che noi occidentali diamo per scontati, ma che non lo sono affatto. È questo che sembra urlare al pubblico di Cannes Lingui, film in Concorso alla 74esima edizione del Festival cinematografico più importante al mondo. Ambientato a N'djamena, capitale del Chad, il film diretto da Mahamat-Saleh Haroun parte da un presupposto semplicissimo: una ragazza adolescente che rimane incinta. Peccato che nel suo Paese l’aborto, oltre a essere una pratica disonorevole a livello religioso, sia anche un reato dal punto di vista legale.

La vera protagonista del film, però, è Amina (Achouackh Abakar Souleymane), la madre della ragazza, che come lei in passato era rimasta incinta in giovane età, venendo così cacciata via con disonore dalla sua ricca e religiosa famiglia. Per evitare lo stesso destino di ignominia e povertà, Amina farà di tutto per aiutarla ad abortire, nonostante i rischi e i costi di questa pratica da svolgere nel più totale anonimato.

Lingui è un dramma che cresce lentamente fino a diventare asfissiante e che ci parla di una società ancora fortemente sotto il giogo di crudeli dogmi religiosi. Una società che non lascia scampo: da una parte c’è la vergogna e l’isolamento sociale, dall’altra l’illegalità. In mezzo, c’è una terza opzione, quella della morte, visto il rischio che la giovane Maria (così si chiama la ragazza, in un evidente richiamo biblico) è costretta a correre per un’operazione che dovrebbe essere teoricamente sicura, ma che diventa di colpo pericolosa, se svolta in casa, di nascosto e con attrezzatura inadatta.

Mancanza di indipendenza economica, biasimo religioso, aborto, stupro, infibulazione: in Lingui c’è tutto il corollario di ciò che di peggio può accadere a una donna. D’altronde come dichiara il regista Mahamat-Saleh Haroun: “I problemi delle donne sono sempre gli stessi, è solo il contesto che cambia”. Ed è proprio l’ambientazione una dei personaggi del film, con i suoi scenari cittadini polverosi magnificamente fotografati in cui le silhouette delle protagoniste si stagliano silenziose. Due donne forti e determinate che portano sulla testa, come giganteschi copricapi, pile di ceste di metallo fatte a mano da rivendere e che devono affrontare da sole un mondo che ruota attorno a loro, ignorandole.

Lingui è un film semplice ma dal grande impatto, per il senso di frustrante e implacabile veridicità delle immagini mostrate. Un film che scavalca il femminismo contemporaneo, per riportarci indietro di decenni, dove non credevamo di potere tornare. “L’argomento dell’aborto è molto discusso in Chad” – continua il regista – "per questo è un film attesissimo nel nostro Paese. Servirà per aprire ancora il dibattito”. Non possiamo augurarci che sia davvero così.

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