Non fu Beatrice la donna più importante di Dante
Imagno via Getty ImagesITALY - JANUARY 01: Dante Alighieri, Italian poet (1265-1321) who wrote the "Divina Commedia". Inv. 8066. (Photo by Imagno/Getty Images) [Dante Alighieri, italienischer Dichter (1265-1321) , der die "Gottliche Komoedie" schrieb. Inv. 8066]
«Come diremmo oggi, lui si fa tutto un film, su madonna Beatrice, la esalta per poterne poetare e si avvilisce alla sua morte anche perché per un poeta è nobile quella sofferenza. Ma la sua donna non è Beatrice, che nel tempo si trasfigura sempre di più in un’allegoria e lascia trasparire dietro, in filigrana, un altro volto, un altro nome. La donna della salvazione per Dante è lei, Gemma, quella che l’ha fortemente voluto e non lo ha mai abbandonato: ne sono convinta e sono certa che negli anni della maturità lui se ne sia perfettamente reso conto, da quell’uomo intelligente e sensibile che comunque era».
Tutti parlano del Sommo, in questo Settecentenario carico di atmosfera e ossequi, ma prima che lo facesse la scrittrice storica Marina Marazza, nessuno aveva mai puntato i riflettori sulla moglie in maniera così accurata. La negletta, la grande silenziosa, la quasi trasparente Gemma Donati. Invece Gemma fu connotata da una grande personalità, come dimostrano le cronache del tempo, e ricoprì un ruolo di rilievo nella complessa esistenza del più grande poeta di tutti i tempi.
“La moglie di Dante” di Marina Marazza (Solferino) è un omaggio a colei che per 7 secoli se ne è stata nelle retrovie in uno stato di invisibilità ed apatia, quando – nella vita quotidiana – fu invece donna di grande coraggioso e intraprendenza, in grado di adattarsi a situazioni difficili e reclamare i propri diritti, in un’epoca – ricordiamolo – in cui alle donne si dava sempre poco ascolto.
La ricostruzione dell’autrice alterna il dato storico – acquisito durante mesi e mesi di studio matto e disperatissimo negli archivi ma anche su testi autorevoli – con la componente romanzesca, laddove è stato necessario sopperire ai buchi neri, e lo fa con mano sapiente, ricordandoci quanto già era stata brava nei romanzi precedenti (cito “Io sono la strega” (Solferino), ma date un’occhiata alla sua corposa produzione).
Il lettore resterà incantato da questo affresco magistrale sulla Firenze medievale (e non solo Firenze, verso il finale lo scenario si allarga, per forza di eventi dovuti all’esilio di Dante), una città densa di intrighi, agguati, faide, dove però i poeti facevano dissing a suon di tenzoni e sonetti, dove la vanità femminile veniva repressa tramite le moralizzatrici leggi suntuarie (e per fortuna c’era chi le infrangeva), dove le famiglie vendicavano le onte subite anche con decenni di ritardo, dove per ammogliare una donna si controllavano le ricchezze del marito e lo stato di salute di lei, che fosse sana e adatta a figliare.
Incontrerete personaggi memorabili che forse ricordate dai libri di scuola. Guido Cavalcanti, Giotto, la malinconica e sfortunata Piccarda (cugina e amica di Gemma), il bellissimo e tremendo Corso Donati, Bicci, persino Beatrice che, secondo alcune ricostruzioni critiche elette dall’autrice, morì prima del matrimonio di Dante, quindi fu più metafora e costruzione poetica che non altro.
La bella scrittura di Marina Marazza ci altalena tra una storia che trasuda attualità (pensiamo ai voltafaccia politici, ai tradimenti, alla precarietà di certe situazioni di oggi, ma anche alla forza delle donne che ogni giorno devono combattere per inseguire una parità non ancora pienamente ottenuta) e un’epoca intrisa di fascino, mistero, magia, dove le bisce, cotte nell’olio e fatte unguento, venivano usate per curare le setole dei cavalli di puledro, ad esempio, e dove la Chiesa aveva un’ingerenza impressionante. Si tratta di una scrittura accurata, scorrevole, magnetica, con inserti dal sapore medievale ed espressioni dall’eco lontano (“mettere in saccoccia”, ad esempio) sempre perfettamente incastrati nei dialoghi o nella narrazione.
E Dante? Scoprirete tanti dettagli anche su di lui, probabilmente non tutti sanno che soffriva di mal caduco o epilessia. Ma come ne esce? Non certo santo né perfetto. Un po’ pedante, maschilista come era nella prassi del tempo, autoreferenziale, si risentiva facilmente e ogni tanto era affetto da quello che oggi chiamiamo narcisismo. Però era un uomo speciale e non solo per la sua incredibile cultura, per il motto sagace e per quel fascino che colpiva tutti. Ma anche per ciò che umanamente lo contraddistingueva: coraggioso, onesto, a volte eccessivamente idealista. Perfino fisicamente è molto distante da come lo dipinge l’immaginario collettivo:
«Il Dante di cui Gemma si innamora non è quell’immaginetta accigliata presa di profilo col cappuccetto rosso del lucco in testa e il nasone adunco: è un bell’uomo bruno, giovane e vigoroso, con la barba, che sa cavalcare, va a caccia col falcone, disegna bene, combatte per la sua città a cavallo in prima fila, veste elegante, sa come comportarsi in società, balla perfettamente, fa l’amore con passione, parla benissimo e ha fascino da vendere. È un Dante di carne e sangue, uomo del suo tempo, con i suoi difetti e le sue virtù, quello che vorrei consegnare a tutti i lettori».