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‘Let’s meet in Milan’, la web serie contro i pregiudizi sulle donne musulmane girata tra Baggio, San Siro e via Padova

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Hanno affrontato sguardi di disapprovazione alla fermata del bus, sono state discriminate a scuola oppure hanno fatto fatica a trovare un lavoro perché indossano l’hijab, il tradizionale velo musulmano. Tutte, però, hanno avuto anche la forza di reagire e, con l’intento di combattere i pregiudizi nei confronti delle donne islamiche, Aida, Soumya, Chiara Amina, Fatima, Mariam e Zeineb hanno deciso di raccontare le loro storie alle telecamere di ‘Let’s meet in Milan’. Ovvero la web serie contro l’islamofobia promossa dalla Fondazione L’Albero della Vita, all’interno del progetto europeo ‘MEET - More Equal Europe Together’, insieme a Francia, Belgio, Ungheria, Bulgaria e Polonia.

 

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Le protagoniste dei tre episodi italiani vivono nei quartieri San Siro, Baggio e Via Padova, a Milano, dove svolgono le loro attività quotidiane indossando quel velo che spesso le ha fatte sentire giudicate e incomprese. C’è chi lo indossa da sempre e chi invece, lo ha accolto con maggiore consapevolezza da grande. E a raccontare che quell’indumento che incornicia il volto non è il frutto di una costrizione, ma una libera scelta, c’è Fatima, neodiplomata con il sogno di diventare un’infermiera o Soumya che aiuta le donne musulmane di San Siro a integrarsi - racconta Antonio Bancora, responsabile progetti internazionali della Fondazione L’Albero della Vita - Anche Chiara Amina, che insegna ai suoi alunni quanto sia importante conoscere e apprezzare tutte le culture, oppure le studentesse Mariam e Zeineb o Aida che, in qualità di prima Tiktoker italiana, condivide video volti a rompere gli stereotipi sull’argomento e a far riflettere i suoi migliaia di follower attraverso un linguaggio ironico e giovanile”. 

 

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La realizzazione dei filmati è il frutto di un’esperienza formativa rivolta a numerosi giovani tra i 12 e i 18 anni provenienti da contesti culturali, economici e familiari diversi, che hanno partecipato in tutti i 6 Stati europei a laboratori di videomaking e di incontri su educazione al dibattito. “In Italia gli episodi sono stati girati grazie alla collaborazione degli esperti di tecniche di narrazione cinematografica della bergamasca ‘Lab 80 Film’ - spiega il responsabile della Onlus milanese - I laboratori hanno avuto il duplice obiettivo di fornire ai ragazzi strumenti tecnici di riprese video e contenuti educativi sui temi legati a islamofobia, discriminazione e stereotipi”. E non a caso si è deciso di puntare sui ragazzi: “Loro devono essere il nostro cambiamento affinché nessuno conosca sulla propria pelle la vergognosa esperienza della discriminazione - aggiunge Bancora - I giovani devono essere coloro che costruiranno una società pacifica e tollerante in cui condividere la bellezza della diversità all’interno di un contesto europeo che tuteli i diritti inalienabili e dove ciascuno possa sentirsi davvero a casa”.

 

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E per capire l’urgenza di affrontare questo argomento bisogna dare uno sguardo ai numeri. “In Italia il 4 per cento della popolazione è di fede musulmana, ovvero circa 2 milioni e mezzo di persone, di cui la metà con cittadinanza italiana - secondo Vox Diritti, l’Ossevatorio Italiano sui diritti - E il 65 per cento dei musulmani italiani dichiara di aver subito violenza, pregiudizi o discriminazione nel corso della propria vita”. Nello specifico, stando ai dati della Rete Europea Contro il Razzismo (ENAR), “le donne e le ragazze musulmane, in particolare se indossano simboli religiosi, sono vittime di una discriminazione multipla, che si traduce in aggressioni verbali in pubblico, insulti carichi di odio sui social network ed esclusione sociale, con difficoltà di accesso al mercato del lavoro e ai corsi di formazione”.

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