La falsa vena pro-life di Ursula von der Leyen
La coerenza è una dote molto rara tra i politici. Esigerla a tutti i costi è decisamente utopistico. Quando poi si sconfina nel loro privato, un giudizio etico diventa difficilissimo da pronunciare. In Italia è rimasto acceso per molti anni il dibattito sulla dicotomia tra il “predicare bene e razzolare male” e il suo esatto contrario.
Ci riferiamo a tutti quei politici (pressoché interamente ascrivibili all’area di centrodestra), che, a vario titolo, hanno difeso le istanze della famiglia naturale, pur avendo sulle spalle separazioni, divorzi e figli avuti da più partner o fuori dal matrimonio. Tra questi: Berlusconi, Casini, Salvini, Meloni. Dall’altra, troviamo politici (per lo più di centrosinistra) che, pur avendo una vita familiare esemplare e all’insegna della più rigorosa monogamia, hanno sostenuto leggi come il divorzio breve, le unioni civili e, più recentemente, il ddl Zan. Tra questi: Prodi, Renzi in primis.
Se è vero che è sempre opportuno distinguere il giudizio morale sulla sfera privata delle personalità pubbliche dal giudizio sul loro operato politico, è anche vero che, a volte, il contrasto tra queste sfere risulta particolarmente stridente, tanto da indurre, come minimo, a una riflessione. Quando poi un politico tira in ballo la sua esperienza personale, per legittimare le proprie scelte pubbliche, allora argomentare sulla sua coerenza diventa più che giustificato.
Il discorso, ovviamente, non è soltanto italiano. Si pensi a quanto affermato nei giorni scorsi durante il G20 delle donne dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. «A troppe di noi è stato detto che dovevamo scegliere tra essere madre e fare carriera – ha affermato von der Leyen –. Come madre di sette figli e come presidente della Commissione europea, mi permetto di dissentire. Ma conosco gli ostacoli che le donne affrontano. Dobbiamo quindi sforzarci di creare le condizioni giuste affinché tutte le donne possano godere di un accesso paritario al mercato del lavoro».
L’obiettivo dell’Unione Europea è quello di «ridurre il divario occupazionale di genere del 50% entro il 2030» e von der Leyen ha annunciato che porterà questo impegno «al tavolo dei leader al G20 di ottobre». «Per raggiungere questo obiettivo, le donne hanno bisogno del giusto sostegno – ha proseguito la presidente della Commissione Europea –. Abbiamo bisogno di pagamenti parentali e congedo parentale per madri e padri. Abbiamo bisogno di offrire una maggiore e migliore assistenza all’infanzia. Dobbiamo rafforzare l’assistenza agli anziani».
Bellissime parole, nonché condivisibili. Oltretutto, con i suoi sette figli, Ursula von der Leyen sarebbe un’ottima testimonial per la conciliazione famiglia-lavoro. La realtà, però, è assai diversa. Pur provenendo dalle fila dei Cristiano Democratici tedeschi e del Partito Popolare Europeo, pur essendo classificabile come una centrista e come una moderata, la von der Leyen, in particolare dall’assunzione del suo attuale incarico, sta portando avanti pedissequamente l’agenda europea sui diritti umani. Un’agenda che ha messo al primo posto i diritti lgbt che, mai come in questa legislatura avevano goduto di un approccio così incondizionato da parte dell’Unione Europea.
Già dal momento della sua nomina, Pro Vita & Famiglia aveva messo in guardia dalle politiche pro-gender, che Ursula von der Leyen aveva rispolverato le sue esperienze da ministro in Germania. Una linea gay friendly praticata ora su più larga scala, dal più alto scranno di Bruxelles. La presidente della Commissione Europea ha anche espresso favore all’utero in affitto e al rafforzamento dei diritti delle persone lgbt. Fino alla procedura d’infrazione promossa contro l’Ungheria, rea di aver semplicemente adottato una legge più restrittiva delle altre sulla protezione dei minori, che include anche il bando dell’ideologia gender da tutti i programmi scolastici.
Un politico che, a parole, vuol promuovere la famiglia e poi, nei fatti, la demolisce, non è credibile non per un discorso morale, quanto per il principio di non contraddizione. Ancor più arduo porsi come paladina dei diritti dell’infanzia, quando si è favorevoli all’aborto. A questo proposito, lo scorso autunno, von der Leyen aveva ammonito la Polonia per le sue politiche pro-life, intimando il governo di Varsavia di non fare “marcia indietro” sui “diritti delle donne”, indentificati qui come il diritto all’aborto.
Non si possono servire due cause in contrasto tra loro ma, a quanto pare, questa contraddizione Ursula von der Leyen la porta avanti con grande nonchalance.