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LA VIOLENZA DOMESTICA NEI TRIBUNALI È QUASI INVISIBILE

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

I tribunali civili e per i minorenni non sono luoghi per le donne, almeno non per quelle li incrociano nei loro percorsi di fuoriuscita dalla violenza domestica. Le loro istanze non sono sufficientemente ascoltate, e rischiano di diventare prigioniere di meccanismi di colpevolizzazione secondaria (cioè quelli che portano a considerare la vittima di un crimine in tutto o in parte responsabile di ciò che le è accaduto o la inducono ad autocolpevolizzarsi).

 

La copertina del rapporto di ricerca di DiRe

È quanto emerge dalla ricerca-inchiesta condotta da D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) e realizzata attraverso una inchiesta che ha coinvolto le avvocate che collaborano con i centri antiviolenza della rete, che conoscono bene le difficoltà che le donne incontrano nel percorso con la giustizia.

La ricerca si intitola “Il (non) riconoscimento della violenza domestica nei tribunali civili e per i minorenni” (qui il testo completo), e ha preso in esame i procedimenti giudiziari presso i tribunali civili e per i minorenni nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 e il 30 giugno 2019, per verificare l’applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul relativo alla “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza”, che impone «la necessità di considerare la violenza (e la sicurezza della madre) nella determinazione e regolamentazione di tali diritti, il divieto di meccanismi obbligatori di mediazione, la necessità di strumenti di valutazione del rischio, la protezione della vittima».

Il (non) riconoscimento della violenza domestica

La violenza domestica non viene sostanzialmente riconosciuta dai tribunali civili e per i minorenni:

  • nelle decisioni adottate dai tribunali civili e per i minorenni nei casi seguiti dalle avvocate D.i.Re, la Convenzione di Istanbul non è mai citata come riferimento normativo;
  • in tutti i procedimenti giudiziari presso i tribunali civili e per i minorenni le avvocate hanno depositato documentazione comprovante la violenza subita dalla donna e la violenza assistita dai minori (allegazioni): denunce (94,4%), referti (100%), misure cautelari emesse in sede penale (98,1%), decreti di rinvio a giudizio (96,3%), sentenze di condanna (88,9%), relazioni del Centri Antiviolenza (63%);
  • quasi il 78% delle avvocate dichiara che le allegazioni vengono poste a fondamento dei provvedimenti giudiziari e/o delle sentenze nei casi da loro seguiti. Ciononostante il 42% delle avvocate riferisce che la violenza viene riconosciuta solo in minima parte.

Le decisioni su custodia e diritto di visita

Ancora più grave la situazione quando si guarda alle decisioni in merito ai/lle minori che possono aver assistito alla violenza o aver subìto violenza essi stessi: dalla ricerca emerge chiaramente che «ancora oggi per i Tribunali l’obiettivo principale è salvaguardare e conservare “il rapporto con la prole”, ovvero il legame genitore-figlio/a, indipendentemente dalla presenza di condotte violente nei confronti della madre. La convinzione radicata è che un uomo maltrattante possa essere un buon genitore», scrivono le curatrici.

  • Anche a fronte della documentazione depositata dalle avvocate (allegazioni) in merito alle violenze subite e/o assistite, solo il 22% delle avvocate dichiara che gli incontri protetti tra il padre maltrattante e i/le figli/e vengono organizzati in modo da tutelare la madre.
  • Né il Tribunale per i minorenni né il Tribunale ordinario utilizzano strumenti per la valutazione del rischio: l’unica esperienza positiva in tal senso è citata dal centro antiviolenza Mascherona di Genova.
  • Nell’ 88,9% dei casi presso il Tribunale ordinario e nel 51,9% dei casi presso il Tribunale per i minorenni, è stato disposto l’affidamento condiviso tra i genitori anche in presenza di denunce, referti, misure cautelari emesse in sede penale, decreti di rinvio a giudizio, sentenze di condanna e relazioni del centro antiviolenza.
  • Nel 70,4% dei casi presso il Tribunale ordinario e addirittura nel 90,7% dei casi presso il Tribunale per i Minorenni, è stato disposto l’affidamento ai servizi sociali, anche se nella quasi totalità dei casi è stato contestualmente predisposto il collocamento presso la madre.

«Il presupposto per disporre l’affidamento a terzi è l’inidoneità di entrambe le figure genitoriali a prendersi cura in maniera adeguata dei figli. Allo stesso tempo i giudici ritengono che sia la donna maltrattata il genitore ‘idoneo’ a prendersi materialmente cura degli stessi. Questa situazione è conseguenza diretta della confusione tra violenza e conflitto, uno degli ostacoli principali di accesso alla giustizia da parte delle donne che subiscono violenza», scrivono le curatrici.

Le Consulenze Tecniche 

La ricerca conferma il ruolo preponderante delle relazioni dei servizi sociali sulla genitorialità, disposte nel 75 per cento dei casi seguiti dalle avvocate presso il Tribunale per i minorenni, e delle Consulenze tecniche di ufficio (CTU) che invece vengono disposte nel 75,9 per cento dei casi per i quali le avvocate hanno fornito documentazione comprovante la violenza domestica e la violenza assistita.

L’inchiesta ha approfondito il funzionamento delle CTU:

  • Nell’83% dei casi i quesiti ai quali le CTU sono chiamate a rispondere sono standardizzati e non definiti in base al caso preso in esame, e ben nel 94% dei casi non sono poste domande in merito alla violenza subito e/o assistita.
  • Il 74,1% delle avvocate dichiara che l’alienazione parentale (PAS), o altri comportamenti manipolatori da parte della madre sono citati nelle relazioni delle CTU.
  • Le CTU e le CTP (consulenze tecniche di parte, spesso necessarie proprio per difendersi dalle CTU) muovono un ingente flusso di denaro: nel 75 per cento dei casi tali perizie arrivano a costare fino a 5.000 euro.
  • Inoltre le avvocate confermano che le sentenze sono scritte di fatto dalle CTU: nella totalità dei casi il/la giudice, acquisita la relazione del/la CTU, assume nel proprio provvedimento (definitivo o interlocutorio) i suggerimenti proposti dal/la CTU, senza sottoporre la relazione peritale ad alcun giudizio critico.

La mediazione familiare

La Convenzione di Istanbul vieta anche la mediazione obbligatoria nei casi di separazione e affidamento che coinvolgono donne che hanno subito violenza. Eppure:

  • quasi il 65% circa delle avvocate dichiara che nei casi considerati ai fini della rilevazione, il Tribunale ordinario invita i genitori alla mediazione familiare, una percentuale inferiore si registra nei Tribunale per i Minorenni (35,2%).
  • Una percentuale ancora più alta di invito alla mediazione familiare si registra da parte del servizio sociale (70%).
  • Infine quasi il 60% delle avvocate dichiara che sia il Tribunale ordinario che i servizi sociali invitano i genitori a intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, mentre il 40% delle avvocate dichiara che tale indicazione viene data dal Tribunale per i minorenni.

Questa prassi, spiegano le curatrici “è in aperta violazione dell’articolo 48 della Convenzione di Istanbul e produce una vittimizzazione secondaria”.

Cosa fare?

Per le curatrici della ricerca, la risposta sta tutta nelle raccomandazioni del GREVIO, il Gruppo di esperte/i sulla violenza contro le donne, contenute nel suo rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia pubblicato a gennaio 2020

D’altro canto, segnalano le avvocate, lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura nella Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica, pubblicata il 9 maggio del 2018, dava già indicazioni, che continuano a essere disattese.

 

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