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America-Cina del Martedì 20 luglio 2021

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Martedì 20 luglio 2021

Il sogno di Bezos e quelli (infranti) dell’America rurale
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image di Viviana Mazza

Buongiorno,

torniamo alle origini: tra poco è previsto il volo di Bezos, l’uomo più ricco del mondo, che sogna questo momento sin da quando era bambino. La sua società spaziale si chiama Blue Origin perché quando un giorno vivremo nello spazio secondo lui torneremo di tanto in tanto nel «pianeta blu» delle origini, un po’ come si fa quando si visita un museo. Ci sono modi diversi per tornare alle origini. Un altro è quello dell’editorialista del «New York Times» Nicholas Kristof: dopo aver scritto a lungo in difesa dei diritti umani nel mondo (e aver vinto due Pulitzer) adesso vorrebbe migliorare le cose «a casa», nell’America rurale dei sogni infranti dove molti amici d’infanzia hanno vissuto in povertà e degrado. La newsletter di oggi è piena di storie: tagliamo corto e vi lasciamo a leggere.

La newsletter AmericaCina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

1. Il volo di Bezos: meno spettacolare di Branson e sognato sin da bambino
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imageJeff Bezos (al centro) con il fratello Mark (a sinistra), il diciottenne Oliver Daemen e l’aviatrice Wally Funk, 82 anni

Dopo quello di Richard Branson, arriva il giorno di Jeff Bezos. La storia delle avventure spaziali dei miliardari è ormai già stata digerita dal grande pubblico. E il volo alle tre del pomeriggio di oggi (ora italiana) del fondatore di Amazon sarà probabilmente meno spettacolare di quello di 9 giorni fa. Mentre nel caso della Virgin Galactic vedemmo prima l’aereo-madre portare in quota la capsula, poi il distacco, la salita fino a 85 chilometri dal suolo e infine questa sorta di mini-shuttle planare fino alla base in New Mexico, nel caso di Blue Origin sarà tutto diverso e più veloce: la capsula con a bordo Bezos, il fratello Mark, l’82enne aviatrice Wally Funk e il 18enne Oliver Daemen, verrà lanciata dalla base spaziale costruita nel Texas dall’uomo più ricco del mondo in cima a un missile New Shepard che, una volta esaurita la spinta, si staccherà e tornerà a terra per essere riutilizzato. La capsula, lanciata alla velocità di 3700 chilometri orari, arriverà a una quota di 105 chilometri dove i quattro passeggeri (tra loro nessun pilota, tutto è guidato dai computer della base) potranno vedere la curvatura del nostro pianeta e sperimentare per 4 minuti l’assenza di gravità. Poi la navicella tornerà a terra, frenata da piccoli motori razzo e grandi paracadute. Della gara tra miliardari — innescata da Branson che ha deciso di anticipare il suo volo, rinviato da anni, quando ha saputo di quello del fondatore di Amazon — abbiamo già scritto molto (qui anche un podcast di Corriere Daily), così come dei due passeggeri — il più giovane e il più anziano astronauta della storia del volo spaziale — che accompagneranno i fratelli Bezos. I due miliardari che si offrono come testimonial di un nuovo business di turismo spaziale basato su brevi voli suborbitali sono, comunque, solo apparentemente personaggi simili.

Branson si è appassionato allo spazio dopo la conquista della Luna, ma l’ha visto come un altro affare, un po’ più avventuroso, da affiancare alle altre attività (dal trasporto aereo alla musica) della sua Virgin. Bezos, invece, sogna lo spazio da quando era bambino e il nonno, membro della commissione atomica federale e abituato a occuparsi di missili balistici intercontinentali, insegnava al piccolo Jeff come aggiustare ingranaggi misteriosi e affascinanti. Il fondatore di Amazon investe metodicamente ogni anno, dal 2000, una parte del suo patrimonio nella ricerca spaziale con l’obiettivo di arrivare a partecipare alla realizzazione di un sistema di basi spaziali orbitanti intorno alla Terra nelle quali, secondo lui, gran parte dell’umanità dovrà andare a vivere dopo aver spremuto gran parte delle risorse naturali del nostro pianeta. Per questo sta già costruendo un missile più potente, il New Glenn: progetta di usarlo per diventare protagonista anche nei voli orbitali e nelle missioni verso la Luna.

Bezos ha tradotto la sua filosofia nel nome dato alla sua società spaziale: Blue Origin vuol dire che l’uomo dovrà adattarsi a vivere fuori dal suo pianeta ma non lontano, su Marte, come pensa Elon Musk. Resterà vicino alla madre Terra, il «pianeta blu» delle sue origini sul quale tornerà di tanto in tanto per brevi periodi, attento a non rovinarlo. Come quando si va a visitare un museo pieno di delicatissime opere d’arte.

Leggi anche l’articolo di Gramellini su Wally Funk, «la nonna nello spazio», che prenderà il volo oggi con Bezos.

2. La trattativa al Senato per salvare l’accordo bipartisan sulle infrastrutture (cruciale per Biden)
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di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

imageMitch McConnell, leader della minoranza repubblicana al Senato, uomo cruciale nelle trattative (Epa)

Sono ore di trattativa frenetica al Senato. Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato, ieri ha fatto sapere che domani, mercoledì 21 luglio, vuole portare in aula il piano da circa mille miliardi di dollari sulle infrastrutture. L’obiettivo è ottenere il via libera al confronto, che significherebbe la rinuncia al filibuster da parte dei repubblicani.

Nonostante il regolamento nebuloso, è chiaro a tutti che siamo alla vigilia di un momento chiave per Biden.

  • Il presidente ha già chiuso un accordo con un gruppo bipartisan di 10 senatori.
  • Ha accettato di dimezzare la portata del suo progetto iniziale; ha accolto le richieste dei moderati, concentrando gli interventi innanzitutto sulle infrastrutture tradizionali: strade, ferrovie, ponti, aeroporti.
  • Adesso, però, la Casa Bianca ha bisogno del risultato.

Questo è il primo vero intervento di stimolo all’economia, dopo i 1.900 miliardi di dollari stanziati per fronteggiare la pandemia. Sulla carta ci sono ancora tre settimane per arrivare al voto finale. Il Senato sospenderà i lavori il 9 agosto per la pausa estiva e tornerà a riunirsi il 10 settembre. Biden e l’economia americana non possono aspettare così tanto.

I democratici sono più o meno compatti. Ci sono alcune differenze nel merito che appaiono superabili con un po’ di applicazione.

I repubblicani, invece, si dividono sostanzialmente in tre tronconi. L’area moderata, quella di Susan Collins, Mitt Romney e altri, è pronta a chiudere l’accordo. Dall’altro capo dello schieramento, c’è la fazione oltranzista, con Ted Cruz, Josh Hawley, che punta alla paralisi dell’Amministrazione, anche se l’economia del Paese ne soffrirebbe. In mezzo ecco la pattuglia più numerosa: diffidente, strattonata, come sempre ormai, dai richiami trumpiani da una parte e dagli interessi concreti dei loro distretti dall’altra. L’uomo decisivo potrebbe essere ancora una volta il leader della minoranza Mitch McConnell.

Per ora il provvedimento si è impigliato sulle fonti di finanziamento. I democratici vogliono potenziare l’agenzia delle entrate per stanare i grandi evasori e intensificare i controlli sugli elusori fiscali. In questo modo la Segretaria al Tesoro Janet Yellen stima che si possano recuperare 700 miliardi di dollari in dieci anni. I repubblicani temono che la manovra si traduca nei fatti in un assedio tributario alle imprese, comprese le piccole e medie.

3. Gladys, 28 anni, la 69esima attivista uccisa in Messico
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imageGladys Aranza Ramos, 28 anni, con suo marito Omar

Gladys Aranza Ramos Gurrola cercava suo marito Omar dal dicembre 2020. L’uomo era svanito nello stato messicano di Sonora, al confine con l’Arizona, e lei si era unita ad un’associazione umanitaria impegnata nella raccolta di informazioni sui desaparecidos. Una donna-coraggio come molte altre, in un paese dove gli scomparsi sono decine di migliaia.

Gladys, 28 anni, non è riuscita a portare a termine la sua missione, pochi giorni fa un commando ha fatto irruzione nella sua abitazione, l’ha sequestrata e uccisa. Un omicidio probabilmente legato al suo impegno. Possibile che sia stata eliminata in modo plateale per lanciare un ammonimento a chi chiede verità.

Negli ultimi tre anni sono stati assassinati 68 attivisti schierati su tanti fronti, dalla tutela dell’ambiente alla difesa dei campesinos. Gladys è diventata la numero 69 in un elenco che non conosce limiti. I killer continuano a colpire, armati da narcos, politici e poliziotti corrotti, piccoli poteri o grandi boss. Ed è dura per i giornalisti che provano a raccontare lo scempio: Abraham Mendoza, reporter, è stato freddato sulla sua auto a Morelia.

4. La Cina offre aiuto alla Siria e avanza in Medio Oriente

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(Marta Serafini) La Cina ha appoggiato il nuovo presidente siriano «rieletto» Assad, poiché il salvataggio del Paese in preda al conflitto diventa un progetto centrale di un asse anti-occidentale che si estende da Mosca e Teheran a Pechino. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è stato il primo dignitario straniero a visitare Assad, dopo che questo è stato riletto con il 95 per cento dei voti alle elezioni di maggio con un risultato decisamente contestato. La visita ha coinciso con la cerimonia di giuramento di Assad, davanti a 600 invitati, compresa la first lady Asma, reduce dalla lotta la cancro. Wang si è offerto di portare la Siria nella dentro la Belt and Road Initiative della Cina, piano di investimenti in infrastrutture in Asia e Medio Oriente, in cambio dell’accesso ai mercati locali e del supporto diplomatico.

La Siria ha fatto fin qui pochi progressi nella ricostruzione delle sue città distrutte mentre Stati Uniti e Ue hanno deciso di non allentare le sanzioni lasciando il Paese preda di una fortissima svalutazione e di una serie di carenze di beni primari, tra cui cibo e medicinali. Una politica che va a colpire soprattutto la popolazione delle campagne e che non tocca certo l’oligarchia siriana, ancora salda al potere, nonostante i dieci anni di guerra. «Ora con il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e l’inizio del quarto mandato di Assad, l’indipendenza della politica estera cinese dimostra la sua lungimiranza», ha spiegato Hua Liming, ex ambasciatore cinese a Teheran. Dall’inizio della guerra in Siria, Pechino è sempre stata alla finestra, appoggiando però Damasco con il suo voto in Consiglio di sicurezza insieme a Mosca, senza però impegnarsi militarmente. D’altro canto Mosca, fin qui, ha dato appoggio militare ma sul fronte della ricostruzione e del sostegno economico ha fatto di recente parecchi passi indietro, costretta da esigenze economiche interne.

E ora, mentre il regime di Assad è strangolato sia dalle sanzioni che dalla crisi finanziaria libanese, la Cina resta, insieme all’Iran, l’unica carta da giocare per Damasco. «Supportiamo la Cina incondizionatamente», ha dichiarato Assad. E non importa che si parli di quella stessa Cina che massacra la minoranza musulmana uigura. Anzi, quegli stessi uiguri sono entrati a far parte delle milizie jihadiste che combattono contro il regime nell’enclave di Idlib, a nord della Siria. Come dire, insomma, che sul fronte diritti umani non c’è alcun dubbio che Pechino e Damasco potranno andare d’amore e d’accordo. E fare buoni affari.

5. Pechino raddoppia lo spionaggio: due navi per seguire le esercitazioni Usa-Australia

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(Guido Olimpio) Manovre sotto sorveglianza. La Cina ha inviato due unità con capacità di intelligence a spiare le esercitazioni Usa-Australia in corso al largo del Queensland. Secondo la rete Abc, che cita fonti militari, nella zona agiscono la Tianwangxing e l’Haiwangxing, inoltre non è esclusa l’incursione di qualche sottomarino. Questo tipo di attività sono routine, ma la novità sta nell’impiego contemporaneo di un paio di navi. È una presenza visibile, evidente, a sottolineare l’attenzione di Pechino per le mosse dei suoi rivali.

I messaggi tra potenze si scambiano anche in questo modo, con le flotte a ribadire la proiezione strategica, a far da scudo a rotte commerciali, a garantire la libertà di navigazione. A chiudere un’annotazione di un esperto: gli australiani devono recuperare terreno nella lotta anti-sommergibile, i loro mezzi non sono ritenuti sufficienti rispetto a quanto muove nella regione.

6. La parolaccia del diplomatico giapponese fa saltare il viaggio di Moon a Tokyo

(Guido Santevecchi) Seul dice che «un ostacolo dell’ultimo momento» ha fatto saltare il viaggio a Tokyo del presidente sudcoreano Moon Jae-in. Per mesi le diplomazie di Sud Corea e Giappone avevano lavorato per preparare la visita e un vertice tra Moon e il premier Suga in occasione della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi.

I due Paesi sono divisi da una rivalità storica, dal rancore per l’occupazione giapponese della penisola coreana tra il 1910 e il 1945. Una situazione che preoccupa gli Stati Uniti, che temono un indebolimento dell’alleanza politico-militare nella regione, di fronte alla minaccia nordcoreana e all’espansionismo cinese.

Ma quale è stato l’ostacolo dell’ultima ora che ha bloccato la missione? Eccolo: parlando con giornalisti di Tokyo il numero due dell’ambasciata giapponese a Seul ha detto: «Moon si masturba se pensa di sfruttare i Giochi per migliorare le relazioni». Il diplomatico è stato rimosso.

7. Fox fa campagna contro il pass vaccinale ma crea il suo

(Massimo Gaggi) Nell’America che, nonostante l’abbondanza di vaccini disponibili ormai da molti mesi, non riesce ad arrivare all’immunità di gregge perché una quota rilevante della popolazione (anche la metà in alcuni Stati dell’interno) rifiuta di immunizzarsi, il principale motore della diffusione dello scetticismo o, addirittura, dell’ostilità ideologica nei confronti dei sieri è stata sicuramente la Fox, la rete televisiva dei conservatori. I suoi conduttori hanno dato grande spazio e spesso lodato i no-vax, mentre i commentatori più popolari hanno usato a piene mani domande retoriche basate su presupposti falsi come «ma se i vaccini funzionano perché chiedete ai vaccinati di continuare a indossare le mascherine? Evidentemente non funzionano» (in realtà i vaccinati, protetti dalla malattia, soprattutto nelle forme più serie, possono comunque trasmettere il virus da portatori asintomatici).

Ora il network sta cavalcando la campagna di molti conservatori contro la diffusione di sistemi, come il passaporto vaccinale, coi quali verificare l’effettiva immunizzazione dei cittadino: misure considerate illiberali.

imageTucker Carlson, il più seguito dei commentatori di Fox (Afp)

Tucker Carlson, il più seguito dei commentatori della rete di Murdoch, è arrivato a paragonare quella che sarebbe la versione americana del green pass europeo alle leggi di segregazione razziale. Mentre i suoi giornalisti gridano tutta la loro opposizione all’introduzione di strumenti di controllo, però, la Fox intanto chiede a tutti i dipendenti — redattori e conduttori compresi — di fornire, volontariamente e con strumenti di autocertificazione, tutti i dati sulle loro vaccinazioni: le date della prima e della seconda dose e il tipo di siero usato. L’iniziativa è stata comunicata al personale con una mail della direzione per le risorse umane nella quale l’azienda spiega che non esiste un obbligo specifico, ma i dati raccolti serviranno per rendere efficace il contact tracing in caso di contagi e per pianificare la gestione degli spazi in ufficio. Evidentemente si pensa di isolare fisicamente chi non è vaccinato, mentre l’azienda ha comunicato che i vaccinati non dovranno più sottoporsi ai controlli sanitari quotidiani previsti per chi entra negli uffici: quando raccontano di situazioni simili, in genere i commentatori della Fox inveiscono contro chi crea cittadini di serie A e B. Ma l’azienda se ne infischia e va avanti con la creazione di quello che all’interno viene chiamato Fox Clear Pass.

8. Due milioni di cinesi scrivono all’Oms: «Cercate a Fort Detrick le origini del Covid-19»
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di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino

imageDue ricercatrici americane a Fort Detrick, in Maryland (Ap)

Due milioni di cinesi hanno firmato una lettera aperta indirizzata all’Organizzazione mondiale della sanità per chiedere un’indagine su Fort Detrick nell’ambito della ricerca sulle origini del Covid-19. È la risposta di Pechino alla famosa e famigerata «teoria della fuga del coronavirus» da un laboratorio scientifico. Finora i dubbi hanno avvolto l’Istituto di virologia di Wuhan, dove lavora Shi Zhengli, nota come la scienziata «Batwoman» per i suoi studi sui pipistrelli. Da mesi i cinesi chiedono di ispezionare Fort Detrick, il centro di ricerche sulle malattie infettive diretto dall’US Army nel Maryland.

La lettera ricorda che a Fort Detrick sono contenuti per motivi di studio i virus più pericolosi del mondo: Ebola, Sars, Mers, vaiolo. La stampa di Pechino sta dando grande risalto alla massiccia sottoscrizione popolare e accompagna gli articoli sui numeri della sottoscrizione con una foto di due ricercatrici americane nel laboratorio del Maryland: chiuse in tute di protezione uguali a quella indossata da Shi Zhengli nelle immagini riprese dalla stampa occidentale.

9. L’Isis fa 30 morti a Bagdad, anche se non se ne parla più

imageUna donna irachena prega davanti ad una moschea di Bagdad per l’inizio della festività di Eid

(Guido Olimpio) Se ne parla poco perché non colpisce in Occidente. Ma è sempre vivo e letale. Lo Stato islamico ha rivendicato un attentato suicida avvenuto ieri a Bagdad. Oltre 30 morti e dozzine di feriti. Civili, donne e bambini. Perché la bomba è detonata tra i banchi di un mercato, affollato di persone inermi. Ad attivarla, secondo il comunicato della fazione, un estremista locale.

Il massacro ricorda a tutti quanto siano ancora pericolosi i seguaci del Califfo. Gli attacchi terroristici non sono frequenti come in passato, tuttavia i militanti dimostrano le loro capacità in una città presidiata. C’è un legame mai interrotto. Nelle aree extraurbane i mujaheddin continuano con la guerriglia e i colpi di mano. Gli allarmi si ripetono dal nord al deserto. Gli addetti ai lavori ipotizzano che il movimento non sia in grado di organizzare grandi operazioni all’estero, come al Bataclan di Parigi, perché ha perso quadri importanti e la vigilanza in Occidente è alta. Con molti filtri ad ostacolare la minaccia. Auguriamoci che sia così. Senza però dare nulla per scontato.

10. Tre razzi vicino al palazzo presidenziale a Kabul
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imageIl veicolo da cui sono partiti i razzi esplosi vicino al palazzo presidenziale di Kabul (Ap)

Non c’è pace per l’Afghanistan, nemmeno con l’inizio di Eid. Diversi razzi sono esplosi questa mattina verso le otto ora locale vicino al palazzo presidenziale di Kabul, dove il presidente afgano Ashraf Ghani parlava in diretta in occasione di Eid el Adha, la festa musulmana del Sacrificio. Le immagini di Tolo News mostrano il presidente Ghani mentre continua la cerimonia nonostante le esplosioni mentre quasi tutti i presenti non smettono di pregare (qui c’è il video).

Nessuno al momento ha rivendicato l’attacco, il primo avvenuto a Kabul dall’inizio dell’offensiva lanciata dai talebani in coincidenza con il ritiro delle truppe Nato. I razzi sembrano essere stati sparati da una piattaforma posta su un veicolo. Sito all’interno della Zona Verde fortificata che ospita inoltre alcune ambasciate straniere, il palazzo presidenziale era stato attaccato anche lo scorso anno in occasione del discorso inaugurale di Ghani, al quale assistettero centinaia di persone. Le due esplosioni, rivendicate dall’Isis, non causarono vittime. I razzi caduti sarebbero stati tre, di cui solo due esplosi. Il portavoce del Ministero dell’Interno, Mirwais Stanikzai, ha detto che nessuna vittima è stata al momento segnalata. «I nemici dell’Afghanistan hanno lanciato un attacco missilistico in vari punti di Kabul. Un razzo è caduto dietro la moschea di Eid Gah, il secondo dietro il centro commerciale Gulbahar e il terzo vicino al parco di Chaman e Huzori», ha affermato. Queste tre aree si trovano in un raggio di circa un chilometro intorno al palazzo presidenziale.

«Abbiamo ricevuto sei feriti, di cui tre si trovano ora in sala operatoria», ha spiegato Marco Puntin di Emergency dall’ospedale di Kabul che si trova a poche centinaia di metri dall’aerea colpita. «Dopo pochi minuti dall’esplosione abbiamo iniziato a ricevere i primi pazienti». Qui il video dall’ospedale di Emergency.

Intanto, nonostante gli intensi combattimenti, il governo e i talebani hanno ripreso i negoziati di pace a Doha e ieri hanno emesso una nota congiunta nel quale hanno riaffermato l’intento di trovare una «giusta soluzione» alla crisi. Nessuno ha però espresso impegno per un cessate il fuoco. Un nuovo tavolo negoziale è previsto nel corso della settimana. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha intanto auspicato l’avvio di trattative con i talebani in seguito al rifiuto dei ribelli di lasciare che Ankara si occupi della sicurezza dell’aeroporto di Kabul dopo il ritiro degli Usa. L’attacco arriva dopo un altro sterile fine settimana di colloqui tra il governo afghano e gli insorti talebani a Doha. I talebani hanno lanciato un’offensiva a tutto campo contro le forze afgane all’inizio di maggio, con l’inizio del ritiro definitivo delle forze internazionali che dovrebbe concludersi alla fine di agosto. Prive del cruciale supporto americano, le forze afghane hanno offerto poca resistenza ed essenzialmente controllano solo le capitali provinciali e gli assi principali.

11. Ha stancato europei e americani? Ora l’app Clubhouse la usano i talebani
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In Occidente è in leggera ripresa mentre in Afghanistan è diventata un ponte tra i comuni cittadini e i talebani. Dopo un’iniziale fiammata, l’app vocale Clubhouse ha stancato Europa e America. Dai 9 milioni di download all’esordio su iOS in febbraio si era passati ai 900mila di aprile solo in parte compensati dal milione di utenti guadagnati in giugno con lo sbarco su Android. Facile da usare, l’app permette di creare stanze in cui parlare creando una sorta di arene (o conference call) a cui tutti possono partecipare. È il proprietario della stanza, l’host, a fare da moderatore e a dare (o togliere) la parola. Se qui da noi si parla di startup e marketing, nel Paese che sta vivendo con ansia il ritiro delle truppe Clubhouse diventa un forum vocale che avvicina talebani e cittadini. «Questo è uno sbocco interessante che consente ai comuni afghani di parlare direttamente con i talebani e il governo in tempo reale — racconta a France24 Fahim Kohdamani, attivista politico di Kabul che ospita regolarmente dibattiti politici sulla piattaforma —. La gente è molto preoccupata per ciò che accadrà ora che le truppe internazionali stanno lasciando l’Afghanistan».

Il fatto che le conversazioni non vengono registrate permette una certa disinvoltura nelle discussioni e in più Clubhouse ha un altro asso nella manica. Essendo vocale permette anche alle persone meno istruite di intervenire, a coloro che magari non se la sentono di scrivere o non sanno farlo. Tra i temi affrontati, la visione dell’aldilà dei talebani, la poesia persiana ma anche come avere una relazione d’amore di successo. Più caldi invece gli animi in una stanza aperta dai talebani. I militanti lodano i propri valori umanitari e rassicurano gli afghani che vogliono l’unità del Paese mentre gli oppositori discutono di guerra, diritti umani e ruolo delle donne nella società.

Questa nuova forma di comunicazione è in realtà un’arma a doppio taglio. Anzi triplo. Da una parte dimostra una nuova cultura sempre più aperta a pubblicizzarsi tramite i social e le nuove tecnologie. Raramente in passato i talebani si erano concessi a discussioni tanto aperte ma ora, come dicono ad Afp, «Questa è una buona piattaforma con cui parlare e capirsi con i nostri oppositori». Dall’altro però gli analisti vedono in questa apertura la dimostrazione che si sentono di aver conquistato il Paese. Da ultimo le discussioni potrebbero essere registrate a scopo estorsivo o ricattatorio. Clubhouse non permette di farlo direttamente ma basta mettere un microfono vicino all’altoparlante del telefono, magari quello di un secondo smartphone, e la registrazione è fatta. Una pratica aggravata dal fatto che sull’app si accede spesso con nomi reali e foto rendendo ancora più facile identificare chi parla.

12. Ben & Jerry’s blocca la vendita dei gelati in Cisgiordania: «Non è coerente con i nostri valori»

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(Alessio Lana) «Non è coerente con i nostri valori». Non usa mezze parole Ben & Jerry’s nell’annunciare che non venderà più i propri gelati negli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Dal prossimo anno l’azienda nata nel Vermont nel 1978 e oggi in mano al colosso Unilever non rinnoverà le licenze con i produttori locali ma, afferma, continuerà a vendere i suoi famosi cestelli in Israele.

Le reazioni non si sono fatte attendere e sono decisamente infuocate. Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha definito la decisione «immorale»: «Credo che si rivelerà anche un errore commerciale». Il ministero degli Esteri gli fa eco e in una nota parla di «resa alla pressione continua e aggressiva di gruppi estremisti anti-israeliani», chiama in causa il «terrorismo economico» e reitera il concetto di «decisione immorale e discriminatoria» perché «danneggia sia gli israeliani che i palestinesi e incoraggia i gruppi estremisti».

Ben & Jerry’s non è stata chiara riguardo al motivo di questa decisione. Parla genericamente di «preoccupazioni condivise con noi dai nostri fan e partner di fiducia» ma un ruolo di primo piano potrebbe averlo giocato il Vermonters for Justice in Palestine, gruppo d’opinione che un mese fa aveva chiesto all’azienda di porre fine alla «complicità con le occupazioni in Israele e agli abusi dei diritti umani dei palestinesi». Una posizione reiterata dalla leader Kathy Shapiro: «Mantenendo una presenza in Israele, Ben & Jerry’s continua a essere complice dell’uccisione, della detenzione e dell’espropriazione del popolo palestinese». Adesso l’azienda dovrà trovare un modo per non perdere l’intero mercato israeliano dribblando però le vendite in Cisgiordania. Una sfida difficile visto che il principale canale di distribuzione di Ben & Jerry’s, ovvero le catene di supermercati, operano tutte anche negli insediamenti.

LA FOTO DEL GIORNO / Chiude il tempio del flipper

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(Alessio Lana) Il museo del flipper non ce l’ha fatta a superare la pandemia e presto sarà chiuso. Organizzazione no profit nata nel 2013, nel tempo il Museum of Pinball di Banning, a un’ora d’auto da Los Angeles, è cresciuto fino ad avere 1.100 macchine da gioco esposte su 3.700 metri quadrati, una collezione di enorme valore che ora però finirà all’asta. Al suo posto verrà impiantata una coltivazione di cannabis.

13. La star transgender che piace a Pechino (e anche a Dior)

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(Guido Santevecchi) Si chiama Jin Xing: da bambino fu arruolato come ballerino della compagnia artistica dell’Esercito cinese. fu promosso fino al grado di colonnello per la sua classe artistica. Nel 1995 è stato il primo cinese a cambiare sesso; ha continuato a ballare e trionfare dagli Stati Uniti all’Italia, alla Cina. Jin Xing è diventata una celebre conduttrice di talk show. La esalta anche la stampa del Partito («Una vera donna»).

imageIn questa foto da bambino, quando era soldato

A maggio Dior l’ha scelta come volto di una campagna pubblicitaria e i giornali cinesi hanno nuovamente dato spazio alla notizia. In realtà lei piace alla stampa cinese perché è conservatrice, parla della maternità come necessità per il completamento di una donna, ha adottato tre figli. E rifiuta di essere individuata come portabandiera dei diritti della comunità LGBT: «Il rispetto lo si conquista da soli, non si può chiedere che te lo dia la società».

Leggi l’articolo completo sul sito del Corriere.

14. Ciliegie e sogni infranti. Il Pulitzer dei diritti umani si candiderà in Oregon?

imageNicholas Kristof con il suo amico d’infanzia Clayton Green

(Viviana Mazza) È famoso per aver vinto due Pulitzer — il primo con la moglie Sheryl WuDunn da piazza Tienanmen nel 1990, il secondo per i suoi editoriali sul genocidio del Darfur nel 2006 — e perché scrive contro le violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. L’editorialista del New York Times Nicholas Kristof è tornato alle origini, nel paesino di Yamhill, in Oregon, dove è nato 62 anni fa in una fattoria di ciliegie. Lo ha fatto scrivendo con la moglie un libro, Tightrope (Sul filo del rasoio), uscito in America l’anno scorso, la vita del suo amico d’infanzia Clayton Green, travolta da disoccupazione cronica, dipendenza da droghe, obesità e periodi in prigione, un simbolo dell’abbandono della classe operaia a parte dei politici e del fallimento del Sogno americano. C’è ritornato spesso negli ultimi due anni, per piantare mele da sidro al posto dei ciliegi. Nel frattempo l’amico Clayton è morto.

E ora alcuni suoi concittadini vogliono che Kristof si candidi alle primarie democratiche per la poltrona di governatore dell’Oregon. Un giornale locale ha anche lanciato un sondaggio che chiede alla gente cosa ne pensano di un giornalista alla guida dello Stato. Lui ci sta pensando.

Grazie per essere stati con noi anche oggi.

Viviana Mazza

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