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Lavoro, diritti delle donne: le note sono dolenti

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Anche in questo ambito le donne rimangono ancora l’ultima ruota del carro, che peraltro cammina sbilenco. In Italia la carriera di una donna rappresenta un lungo e accidentato tragitto, fatto di scelte difficili e di costrizioni. Stride con la nostra Costituzione, che all’art. 37 dice: “Le donne lavoratrici hanno gli stessi diritti e, a parità di lavoro, stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.

Solo nel 2020, che potremmo definire ‘annus horribilis‘ a causa dello scoppio della pandemia, sono 249mila le donne hanno perso il lavoro e 96mila di queste erano mamme.

Partiamo dal primo giorno di lavoro

Nella maggior parte dei casi una donna accede ad un posto di lavoro dopo aver terminato il corso di studi appropriato, ed il momento in genere coincide con il desiderio di maternità. Ma per molte non è ancora il momento giusto perché sente il bisogno di fidelizzarsi con l’azienda, così tende a rimandare anche se inizia a ticchettare inesorabilmente il suo orologio biologico. Per chi non sappia l’esatto significato di ciò che implichi questo momento, si potrebbe fare un esempio che renda l’idea: sarebbe come voler fermare un treno in corsa, ad alta velocità.

Eppure, quante donne riescono con forza bruta a spostare in avanti un orologio che è stato programmato dalla natura. Lo fanno perché un gran numero di aziende considera maternità e gravidanza come una sorta di assenteismo, e di conseguenza le donne non vogliono rischiare di perdere il proprio posto di lavoro.

Ci sono decreti a tutela delle lavoratrici, come il Decreto legislativo 151/2001 emanato dal Presidente della Repubblica che vieta la discriminazione di genere e dà la possibilità di assumere personale con contratto a tempo determinato o temporaneo al fine di sostituire in tal modo lavoratrici e lavoratori in congedo.

In merito al congedo, inoltre, il decreto recita: “È vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta”. Il decreto in questione riconosce i congedi in caso di malattia del figlio e i permessi di riposo e la “tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza e fino a sette mesi di età del figlio” vietando tutte quelle mansioni che “potrebbero arrecare danno alla gestante, quali trasporto e sollevamento di pesi, lavori pericolosi, faticosi e insalubri”.

imageUn’opera della street artist Alice Pasquini che celebra le donne (Photocredits: @AlicePasquini)

Evidentemente non basta

Ci vorrebbero nuove riforme, certo, ma soprattutto la garanzia che vengano rispettate. Ad esempio riguardo il congedo parentale per gli uomini con l’allungamento del periodo di paternità obbligatorio, ma anche prezzi accessibili dei servizi che curino e intrattengano i bambini mentre i genitori lavorano. Solo così si potrebbe parlare di progresso.

Uno tra i problemi di maggiore entità si verifica quando una donna, dopo il periodo di maternità, può tornare tornare a lavorare: sarebbe necessario che lo Stato, le Regioni o i Comuni istituissero un servizio di babysitting, con persone qualificate in grado di occuparsi adeguatamente di un neonato perché all’asilo nido non sempre si trova posto. Un altro importante tema riguarda i costi della scuola materna, un sacrificio economico non tutte i genitori sono in grado di sostenere: anche in questo caso ci vorrebbe il supporto e l’intervento delle istituzioni per le famiglie meno abbienti. Chi affida i pargoli ai nonni fa parte di quel gruppo di privilegiati che non fanno testo. Per le altre la scelta può essere quella di chiedere un part- time oppure lasciare il posto di lavoro.

Agli uomini questo non succede e l’ispettorato Nazionale del Lavoro dice che il 73% delle dimissioni volontarie rassegnate dalle lavoratrici madri sono state causate dall’incompatibilità tra il lavoro e la cura dei figli. Quelle che riescono a tenersi il lavoro occupano posti meno prestigiosi e meno retribuiti dei colleghi maschi. Teniamo conto che nelle aziende private italiane solo il 28% delle posizioni dirigenziali è occupato da donne. E fino al 1943 le retribuzioni femminili erano inferiori, in media, del 60% rispetto a quelle maschili. Poi, nel 1956 la legge 741 intervenne sulla parità di remunerazione, principio che l’anno successivo fu ulteriormente affermato nel Trattato di Roma (art.119).

La situazione delle donne al lavoro è migliorata negli ultimi 50 anni?

Certo, ma non abbastanza, è una questione culturale ed è necessario partire dall’istruzione perché è ancora difficile vedere la presenza di donne in alcuni particolari ambiti di studio: all’università discipline come fisica, matematica, ingegneria sono frequentate da una stragrande maggioranza maschile. Stereotipi difficili da abbattere, che portano poi ad una distribuzione dei ruoli ben lontana dall’equità di genere. Ancora un passo indietro che non aiuta le donne a realizzarsi pienamente nel lavoro. Una discriminazione di genere antica e radicata, difficile a morire.

Siamo alle solite, quante lotte e grida, grandi insuccessi e piccole vittorie. Siamo molto lontani dal concepire i ruoli maschile e femminile come bilanciati. Servono riforme ma ancora un grande cambiamento culturale, alla base, nell’educazione di bambine e bambini, cui vanno insegnate pari opportunità, da subito, perchè le differenze di genere sono solo una questione sociale ed è da questo punto che dovremmo ripartire.

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