Sui vaccini la Cgil è troppo tiepida. Segno di un cambio di pelle
Simona Granati - Corbis via Corbis via Getty Images
Chi sarà il prossimo segretario della CGIL? Forse un leghista? O almeno un dirigente sindacale figlio di una nuova idea della rappresentanza sociale basata non più sul movimento del lavoro ma sull’associazione di dipendenti.
L’intervista di Maurizio Landini al Corriere della sera sul green pass sembra gia prendere atto di questo cambio di pelle del sindacato più antico e consistente del Paese. Il successore di Giuseppe Di Vittorio e Luciano Lama, due dei prestigiosi leader comunisti della CGIL che pure segnarono una autonomia e una sensibilità verso le diverse tipologia degli interessi che rappresentavano, ha scelto un linguaggio e una posizione che segna una cesura radicale nella tradizione della CGIL.
Innanzitutto l’idea che in uno scontro politico e culturale in cui si vede la forze dislocate sul versante liberista, se non proprio reazionario, aprire un fuoco di fila sulla centralità di uno spazio pubblico nel contrasto al virus il sindacato più a sinistra si limita a “raccomandare” ai lavoratori di vaccinarsi. Una tiepidezza che non si era ritrovata in altre battaglie analoghe, per esempio sul divorzio e i diritti delle donne, o sullo sviluppo del Sud, o ancora la feroce opposizione a ogni equilibrismo di slogan tipo “né con lo stato né con le Br”, o ancora per la difesa del servizio pubblico radiotelevisivo.
Il sindacato in generale, la CGIL in particolare, rivendicava proprio la centralità del mondo del lavoro nella difesa dello stato democratico e del suo ruolo di equilibratore nell’economia di mercato. Più ancora proprio il conflitto sociale che si innestava nelle aziende fu il motore di processi di liberazione quali ad esempio quello che portò all’apertura dei manicomi, o alle esperienze di innovazione delle forme di organizzazione negli stessi apparati di controllo dello stato, dalla magistratura alla polizia.
Eravamo in altri tempi certo, in cui la base sociale delle confederazioni aveva una alta omogeneità e compattezza e soprattutto aveva, insieme all’idea di ridistribuzione del reddito , quella di una diversa gestione del potere istituzionale.
Da almeno un ventennio, ma il processo risale alla fine degli anni ’80, diciamo al fatidico ’89, il sindacato sostituisce la strategia del conflitto collettivo con una difesa dei diritti individuali che spostano sensibilmente il baricentro sociale della sua azione. Una scelta che risente e condiziona al tempo stesso l’aggregazione dei nuovi iscritti che soprattutto al Nord segnano, per la prima volta, una singolare convivenza fra la militanza sindacale, anche battagliera, con una scelta politica ed elettorale su sponde opposte.
In Lombardia e Veneto numerosi studi segnalano un voto verso la Lega di quote consistenti di iscritti alla CGIL. L’identità del lavoratore come componente di una comunità antagonistica alla proprietà aziendale sbiadisce in una contesa sulla spartizione degli utili, o sulla difesa del posto di lavoro in caso di una congiuntura sfavorevole. Si calcola che almeno il 35/40% degli iscritti alle categorie industriali e dei servizi, prevalentemente nelle regioni settentrionali, siano oggi elettori stabili del fronte populista, prevalentemente la Lega ma sale anche il voto protestatario e anti elitario a Fratelli d’Italia.
Se non c’è il socialismo, si spiega, rimane come ambizione il premio di produzione e questo arriva se l’azienda non è minacciata da competizioni globali come lo spettro cinese o le normative europee, o da una pressione dal basso come i lavoratori a basso salario che arrivano dall’immigrazione.
Da lavoratori antagonisti il salto a generici dipendenti competitivi muta la fisionomia e i comportamenti della confederazione di sinistra che deve farsi più cauta e deve contemperare le proprie scelte con i propri associati. Landini che viene dall’esperienza della Fiom, dove il radicalismo in azienda ha imparato presto a convivere con comportamenti elettorali eccentrici nelle grandi isole come Brescia, Bergamo, e le marche venete ed emiliane, interpreta quest’imbarazzo appiattendo il profilo politico e riducendo il protagonismo globale del sindacato che una volta era dei socialisti e comunisti.
Proprio nell’intervista al Corriere della Sera spiega che “non è possibile pensare a licenziamenti o demansionamenti perché un dipendente decide di non vaccinarsi”. Il nuovo segretario della CGIL rappresenterà appunto tutti i singoli dipendenti che eventualmente decideranno di non vaccinarsi, o di non aderire a questa o quella strategia solidaristica e inclusiva del sindacato. E forse sarà proprio Landini il primo leader sindacale eletto da questi dipendenti e non più dai lavoratori.