Morire per l’Afghanistan e per i diritti delle donne? Perché?
Il disastro che sta venendo fuori da Kabul, e dall’intero Afghanistan, non puo’ lasciare indifferenti. E per fortuna l’opinione pubblica continua a mantenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo su questo martoriato angolo di mondo. Certo un piccolo giornale bene farebbe a tenersi alla larga da situazioni troppo complesse, ma visto che ai livelli che ‘contano’ al di là di un brusio di fondo di circostanza, molto altro non ci sembra cogliere, un contributo a mantenere alta l’attenzione abbiamo deciso di darlo. Goccia dopo goccia augurandoci che arrivi un temporale. Ed alcune domande sorgono spontanee. Una dalla pagina di Repubblica che volentieri pubblichiamo: “Per che cosa sono morti?” i nostri 53 eroi sulla cui vita in Afghanistan è sceso il sipario? Già, per che cosa?
E poi la frase di Biden “Non possiamo morire in una guerra civile altrui”. Già, peccato soltanto che nella ‘guerra civile altri’ sono già morti 2312 americani. Altri 19.650 sono rimasti feriti. A questo punto inutilmente, se è vero come è vero che 20 anni non sembrano passati: Talebani c’erano al potere e Talebani ci sono! E poi, giustamente, il collega Testi ripropone oggi una pagina di un quotidiano francese “L’Ouvre”, il cui editorialista Marcel Deat si interroga: “Morire per Danzica?”.
Perché al di là del mondo, c’è il proprio continente e poi la propria nazione, quindi la propria regione. Ma anche la propria provincia ed il proprio comune. Dunque il proprio quartiere, la propria strada, la propria casa, se stessi e poi il nulla. Ecco, il nulla con cui è stato scelto di porre fine alla missione in Afghanistan. E le ‘femministe’? Per carità, nessuna intenzione di voler fare di tutt’erba un fascio. Ma mi sembra di cogliere addirittura minore indignazione rispetto a quando il malcapitato professor Morelli, che di rispetto per le donne ne ha da vendere, osò affermare che una donna si prepara anche perché vuole piacere. O a quando ci si accapiglia su ‘sindaca o sindaco’, ‘ministro o ministra’. E adesso? Adesso che le donne Afghane lanciano allarmi disperati perché in pericolo c’è tutta un’esistenza ed un modo di vivere? Adesso che le urla di protesta dovrebbe sentirsi in ogni angolo di qualsiasi città? Per carità: nessun atto di accusa verso nessuno, ma soltanto un interrogativo, l’ennesimo, rispetto al quale riflettere e, possibilmente, agire.