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La Corea del Sud e la marcia degli uomini che odiano le donne: «Il femminismo è una malattia mentale»

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

«Il femminismo è una malattia mentale». Di questa e di altre frasi del medesimo tenore è fatta la battaglia degli antifemministi in Corea del Sud. Uomini, giovani e in genere vestiti di nero, che scendono in piazza in gruppi in verità sparuti per contro-protestare in caso di manifestazioni femministe nel paese. Ce l’hanno con le donne con i capelli corti, gridano Uccideremo le femministe, promettono battaglia. E alla (scarsa) mobilitazione off line ne affiancano un’altra on line, più partecipata, con canali YouTube chiusi e puntualmente riaperti. E con una costante richiesta di soldi ai sostenitori. Via chi odia gli uomini, gridano.

La mobilitazione on line

Il sentimento antifemminista trova casa sulla rete. L’attuale canale YouTube 신 남성연대, New Men’s Solidarity, ha al momento oltre 450 mila iscritti. Il precedente era stato chiuso a inizio settembre, racconta su Twitter da Seul il giornalista Raphael Rashid. In quell’occasione anche l’account di Bae In-kyu, 31 anni, capo di Man on Solidarity, uno dei gruppi antifemministi più attivi del paese, che qualche anno fa era tra coloro che più guadagnavano su YouTube in Corea del Sud, era stato rimosso dalla piattaforma.

Questi attivisti prendono di mira tutto ciò che sa di femminismo, costringendo un’università a cancellare una lezione di una donna che accusavano di diffondere misandria, scrive il New York Times. Diffamano donne di spicco come per esempio An San, tre volte medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo, per il suo taglio di capelli corto. Minacciano le aziende di boicottaggio, ree a loro avviso di pubblicare immagini che ridicolizzerebbero le dimensioni dei genitali maschili. E prendono di mira il governo perché promuoverebbe un’agenda femminista, chiedendo, da tempo, la rimozione del ministero della Famiglia e di quelle che in occidente chiameremmo Pari Opportunità.

image EPA/YONHAP | L’atleta An San con la medaglia d’oro ai giochi olimpici di Tokyo 2020, 30 luglio 2021.

Il target principale di questi giovani sono le femministe. Le ragioni sociali del successo di questo movimento sono facilmente rintracciabili: la coperta è corta, l’incertezza economica avanza e le pari opportunità portano a dividere la torta in un numero maggiore di fette, dovendo includere il prima escluso universo femminile. A chi prima mangiava di più, questa riduzione ora non va. La disuguaglianza è una delle questioni più delicate nel paese, tra crisi, prezzi delle abitazioni altissime, mancanza di posti di lavoro e un crescente divario di reddito. E molti giovani sudcoreani, si legge sul NYT, sostengono che sono gli uomini, non le donne, a sentirsi minacciati ed emarginati. «Non odiamo le donne e non ci opponiamo ai loro diritti», dice il leader Bae In-kyu. «Ma le femministe sono un male sociale». Col termine “femministe” intende coloro che odiano gli uomini. Il suo motto un tempo recitava: «Fino al giorno in cui tutte le femministe saranno sterminate!».

Attivismo provocatorio, il cui seguito effettivo sembra essere di difficile quantificazione. Bae recentemente si è presentato a una manifestazione femminista vestito da Joker e con in mano una pistola ad acqua giocattolo. Seguiva le manifestanti puntando loro la pistola ad acqua e fingendo, diceva, di «uccidere le mosche». La scena è stata vista da decine di migliaia di fan, che non hanno fatto mancare le loro donazioni. Ad agosto Bae, scrive il quotidiano statunitense, ha raccolto nove milioni di won ($7.580) in tre minuti.

La situazione economica

Eppure, si legge ancora – o forse qui sta il punto – la Corea del Sud ha il divario salariale di genere più elevato tra i paesi ricchi. Meno di un quinto dei suoi legislatori nazionali sono donne. Le donne sono appena il 5,2% tra chi compone i consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa, rispetto al 28% per esempio negli Stati Uniti. Ma la maggior parte dei giovani uomini nel paese sostiene che sono gli uomini, non le donne, in Corea del Sud, a sentirsi minacciati ed emarginati. Tra gli uomini sudcoreani di 20 anni, quasi il 79%, scrive ancora il NYT, in un sondaggio a maggio ha dichiarato di essere vittima di gravi discriminazioni di genere. «C’è una cultura della misoginia nelle comunità online a predominanza maschile, che dipingono le femministe come misandriste radicali e diffondono la paura delle femministe», spiega Kim Ju-hee, 26 anni, infermiera, che organizza proteste contro gli antifemministi.

Molti slogan di questa ondata antifemminista sono gli stessi di una certa destra in Occidente. Le donne che sostengono il diritto all’aborto sono etichettate come «distruttrici della famiglia». Le femministe non lottano per l’uguaglianza di genere ma sono «suprematiste femminili» e, insieme alle donne in generale, sono tra i target principali dell’odio on line, dice la Commissione nazionale per i diritti umani del paese.

Questione di genere

La generazione precedente sa di aver “beneficiato” di una forte impostazione patriarcale di emarginazione delle donne, con i soli figli maschi che accedevano all’istruzione superiore, il divieto (ancora in voga in alcune famiglie) per le donne di mangiare al tavolo con gli uomini e gli aborti “selettivi” in base al sesso del feto. Ora la situazione è cambiata, al college ci sono più donne che uomini, ma il tetto di cristallo per la metà femminile dell’universo resta ancora difficilmente scalfibile. «Gli uomini ventenni sono profondamente infelici, considerandosi vittime di discriminazioni inverse, arrabbiati per aver dovuto pagare il prezzo per le discriminazioni di genere create sotto le generazioni precedenti», commenta al New York Times Oh Jae-ho, che fa ricerca al Gyeonggi Research Institute in Corea del Sud.

Se gli uomini più anziani vedevano le donne come bisognose di protezione, oggi gli uomini più giovani le considerano concorrenti in un mercato del lavoro spietato. Gli antifemministi spesso notano che gli uomini sono svantaggiati perché devono ritardare l’ottenimento di posti di lavoro per completare il servizio militare obbligatorio. Ma – come nel resto del mondo – molte donne abbandonano il lavoro dopo il parto e si fanno ancora carico di gran parte dei compiti domestici.

La politica sembra sentire l’influenza di questa ondata di antifemminismo. I candidati alle elezioni presidenziali, che si terranno il prossimo 9 marzo per eleggere il ventesimo presidente della Repubblica di Corea, non danno spazio alla questione dei diritti delle donne. Pensare che un tempo il presidente Moon Jae-in si era definito “femminista”, durante la campagna elettorale di appena cinque anni fa. Anzi, Yoon Suk-yeol, il candidato dell’opposizione conservatrice, si sta schierando apertamente con il movimento antifemminista, accusando il ministero dell’Uguaglianza di genere di trattare gli uomini come “potenziali criminali sessuali” e promettendo pene più severe per chi accusa ingiustamente gli uomini di crimini sessuali, nonostante i timori sul fatto che un provvedimento del genere possa scoraggiare le donne a denunciare.

Le preoccupazioni

Il timore è quindi che il movimento antifemminista faccia compiere passi indietro ai progressi fatti nei diritti delle donne nel paese, dalla lotta per la legalizzazione dell’aborto a una delle più influenti campagne #MeToo di tutta l’Asia. «’Femminista’ è diventata una parola così sporca che le donne che portano i capelli corti o portano in giro un romanzo di una scrittrice femminista rischiano l’ostracismo», dicono le attiviste femministe oggi.

In copertina YouTube | Un frame di un video del leader Bae In-kyu

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