donne, le battaglie non finiscono mai — L'Indro
«Mientras se nieguen los derechos humanos a las mujeres, en cualquier parte del mundo, no puede haber justicia ni paz».(Se vengono negati i diritti umani alle donne, in qualsiasi parte del mondo, non ci può essere la pace) .
Questa è una celebre frase di Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003, avvocatessa iraniana e musulmana, da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne, soprattutto nel suo Paese, fin dallo scoppio della rivoluzione di Khomeini, che le vietò la possibilità di proseguire nella sua professione forense. Dal 2009 è in esilio volontario fuori dall’ Iran e si divide tra New York e Londra.Shirin EbadiLe donne sono sempre più protagoniste del mondo globalizzato. Eppure nonostante tutti i buoni propositi, in alcune parti del mondo, ma per la verità anche nell’ Occidente democratico, le battaglie delle donne sembrano non finire mai. Sebbene in Europa e in America la donna goda di diritti e doveri riconosciuti, la ricerca della parità e la lotta contro le disuguaglianze nei vari ambiti della vita associata rimangono un imperativo categorico per tutte quelle donne che vogliono affermarsi.
La questione però diventa più problematica e più radicata se la si trasferisce in altre parti del mondo come, ad esempio, la Repubblica Islamica. Infatti, già numericamente, le donne iraniane cominciano ad avere un certo peso, come si può osservare nel grafico sottostante. Nelle fasce di età tra i 25 e i 39 anni, le donne sono più numerose degli uomini. Giovani generazioni che sentono sempre più la necessità di vedersi considerate dalla società, nonostante la crisi economica che pare ostinata a non andarsene.
Le donne sono dunque sempre più protagoniste e sempre più desiderose di contare, ma devono battersi contro un’ impostazione sociale e religiosa che le vorrebbe relegare sempre all’ angolo. Ma andando a ritroso nella storia iraniana, il ruolo femminile non è mai stato secondario. Ai tempi dello Scià, le donne, che pur venivano favorite da quel processo di occidentalizzazione che aveva inaugurato Mohammad Reza Pahlavi, proteggendole in caso di divorzio e limitando la poligamia, si ribellarono a quella che consideravano un’ imposizione. Questa loro forma di rivolta si concretizzò nella scelta di indossare un lungo mantello, con un foulard che le copriva il capo. Anche le donne scesero in piazza, appoggiando nel 1979 la rivoluzione di Khomeini, costringendo lo Scià a lasciare la sua Persia.
La rivoluzione dell’ ayatollah Khomeini comportò una regressione rispetto a quella fase di ammodernamento propria dei Pahlavi, comprendendo anche un ribaltamento della condizione femminile: furono infatti imposte delle restrizioni a livello delle libertà, dell’ istruzione, del lavoro, a livello dei costumi, costringendo le donne ad indossare il hijab, nella sfera matrimoniale riaffermando la poligamia maschile e conferendo quindi la supremazia, nell’ ambito della vita familiare, all’ uomo. Le donne che non rispettavano questa condotta erano condannate alla carcerazione o addirittura alla lapidazione.
La situazione non è migliorata dopo la caduta di Khomeini ed è andata peggiorando ancor di più dopo l’ elezione di Ali Khamenei. Per comprendere l’ odierna condizione delle donne iraniane, abbiamo chiesto a Hadi Ghaemi, Direttore Esecutivo del Center For Human Rights In Iran, il cui staff comprende giornalisti, ricercatori e avvocati che sono impegnati nella lotta per il rispetto dei diritti umani in Iran, collaborando, tramite l’utilizzo di vari strumenti multimediali, anche con organizzazioni internazionali attive in questo senso.
A proposito della “Le donne iraniane si trovano ad affrontare discriminazioni di genere sia in diritto che in pratica. La legge ha molte disposizioni: le donne non sono uguali agli uomini, per esempio la testimonianza di una donna è considerata metà della testimonianza di un uomo. Anche nessun candidato femminile è stato mai qualificato per correre per la presidenza. Inoltre, i gruppi e gli avvocati delle donne, che vogliono riformare le leggi o guidare lo Stato per quanto riguarda le questioni femminili, non sono autorizzate alla libertà di espressione o assemblea e sono invece perseguitati e imbrogliati. Ad esempio, si veda il caso di Narges Mohammadi, che dura da dieci anni”.
Infatti la storia di Narges Mohammadi, avvocato che ha sempre combattuto per i diritti umani e contro la pena di morte, è emblematica. Lei, molto vicina al Premio Nobel Ebadi, era stata arrestata nel 2009 e ed era stata condannata,nel 2011, ad 11 anni di carcere con l’ accusa di ‘propaganda contro lo Stato’ e di ‘assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale’, in quanto appartenente all’ allora fuorilegge Defenders of Human Rights Center. In appello la pena diminuì a sei anni e nel 2013 Narges venne scarcerata per alcuni problemi di salute. Da libera non aveva abbandonato la sua battaglia, ma anzi incontrò, nel marzo 2014, l’allora Alto rappresentante per la politica estera Ue Catherine Ashton presso l’ambasciata austriaca a Teheran. Nuovamente arrestata nel 2015, la sentenza è stata confermata nel 2016.
Secondo il Global Gender Gap Index 2016, su 144 paesi, l’ Iran si attesta alla 139esima posizione nell’ elenco con un punteggio pari al 0,587. Il punteggio che va da 0 (assenza di parità di genere) a 1 fotografa la situazione di ogni Paese, valutando come ogni Nazione affronta le questioni di genere, in base a quattro pilastri: salute e sopravvivenza, educazione, partecipazione economica/opportunità e responsabilizzazione in politica. Il posto assegnato alla Repubblica Islamica non lascia spazio a dubbi: il problema c’è ed è molto grave.
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