Dalla violenza sulla donne ai dirittiserve una ministra alle pari opportunità
Sono intervenuta a titolo personale ed in dissenso dal mio gruppo sul punto della legge di stabilità che riguarda l’accesso al pronto soccorso da parte della vittime di violenza (il cosiddetto “codice rosa”, che poi è diventato Percorso tutela vittime di violenza) perché credo che rischi di generare diversi problemi, così come in tante hanno denunciato in queste settimane.
Il testo dell’emendamento approvato in commissione (che ora è il testo della legge di stabilità) è stato migliorato rispetto a quello originariamente presentato soprattutto attraverso il riferimento alla legge 119 del 2013 sul femminicidio, su cui in tante abbiamo lavorato con convinzione, ma permangono ancora alcune ambiguità.
Ho sottolineato che il Piano nazionale antiviolenza previsto dalla legge 119 disegna una strategia articolata per il contrasto alla violenza, prevede linee di indirizzo piuttosto precise e dettagliate secondo un approccio integrato e multidisciplinare su tutti gli aspetti, dalla formazione alla valutazione del rischio, fino al soccorso delle vittime di violenza. Per quanto riguarda ospedali e pronto soccorso, il piano prevede che il governo definisca non altre linee guida ma livelli minimi delle prestazioni.
Il piano è stato approvato in Conferenza unificata a maggio e finanziato per 10 ml nel 2015 e 10 nel 2016 (sempre nella legge di stabilità, con un emendamento, abbiamo ripianato il taglio di 2,5 milioni al fondo nazionale pari opportunità).
Se lo si voleva cambiare, serviva una discussione più ampia, che non tagliasse fuori associazioni e centri antiviolenza.
E comunque io penso che non ci servano altre norme, ma l’attuazione di quelle già votate, a partire dalla Convenzione di Istanbul, e da questo punto di vista si sente la mancanza di una ministra alle pari opportunità o comunque di una postazione di governo.
Nel tempo che mi è stato assegnato – un minuto- non è stato possibile dire di più, ma mi sarebbe piaciuto parlare del lavoro straordinario che fanno i centri antiviolenza che in questi anni sono rimasti troppo spesso soli. Di una lettura “politica” del fenomeno della violenza contro le donne, che non è violenza in genere ma violenza di genere ed ha una sua natura specifica nella disparità tra i sessi. Di una strategia, quella disegnata dalla Convenzione di Istanbul, che punta a sostenere l’empowerment femminile e del diritto che hanno le donne di trovare una rete territoriale forte e coordinata di sostegno in caso di necessità, dall’ospedale ai servizi sociali.
La previsione introdotta in legge di stabilità rischia di impoverire le politiche di contrasto fondate su questo approccio, perché troppo schiacciata su un versante sanitario e giudiziario, indispensabile ma che deve essere collegato con tutte le altre politiche, per provare a superare una cultura paternalistica che confina le donne ancora, purtroppo, in una condizione minoritaria.
L’emendamento soppressivo di Sel non è stato approvato.
È stato invece accolto dal governo un ordine del giorno a mia prima firma che chiede il coinvolgimento delle commissioni competenti nella formulazione delle linee guida ed il rispetto della Convenzione di Istanbul, che continua ad essere la bussola sulla quale continuare a lavorare per combattere la violenza di genere, per chi crede che il vero cambiamento lo fa la libertà delle donne.
LEGGI ANCHE
♦ La violenza domesticanon è solo questione di protezione di Ambrogio Cozzi
♦ Denuncia libera e percorsi di protezione Perché non volete il Codice rosa? di Alessandra Arachi
♦ Se la violenza sulle donne diventa questionemedico, sanitaria, giudiziaria di Lea Melandri
♦ L’obbligo di denuncia era troppo presto.Io la penso così di Alessandra Arachi
♦ Libere ma aiutate. Il «Codice rosa» funziona così di Carlotta De Leo