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Tina Anselmi: "Noi donne in politica? Più concrete e oneste e meno ideologiche"

Scritto da Google News. Postato in Pari Opportunità

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La notizia è ancora ufficiosa, ma già di pubblico dominio: sarà lei a capo della delegazione che nel luglio dell’anno prossimo [il 1985], a Nairobi, rappresenterà l’Italia alla Conferenza mondiale sulla donna. D’altronde, è un onore che le spetta: per il suo lungo impegno nella lotta delle donne (fin da quando, nel dopoguerra, organizzò la protesta delle «filandere » venete) e perché fu lei a presiedere, nel 1975, la nostra delegazione a Città del Messico, dove fu indetto il decennale della donna. E la legge italiana sulle pari opportunità, elaborata allora, fu il frutto conclusivo del lavoro del comitato a cui lei. che era sottosegretario al Lavoro, dette un notevole contributo tecnico.

Sguardo diretto, sorriso aperto, l’aria concreta e dignitosa da massaia veneta che quarant’anni di vita pubblica non le hanno — per fortuna — portato via, Tina Anselmi è una donna che conquista subito. Ha una carica umana straordinaria, e la capacità di essere, anche nelle situazioni più delicate, sempre uguale a se stessa, simbolo, per il cittadino qualunque, dell’Italia dei buoni sentimenti. Simile in questo a Pertini; e non per nulla c’è chi la indica come possibile successore alla presidenza della Repubblica. Onorevole Anselmi, l’Italia secondo lei è matura per avere una donna Presidente?«L’Italia, non so...». Ma ride con gli occhi. «Mi chiederei piuttosto se sono matura io». L’idea tutto sommato non le dispiace. «A parte ogni merito o gratificazione personale, penso che sarebbe interessante dal punto di vista del costume. E soprattutto, significativo per le donne. Vede, una donna che riesce, riesce per tutte le altre. Me ne sono accorta dalle lettere, dalle adesioni che ho avuto come presidente della commissione P2. Le donne hanno bisogno di trovare in un’altra donna la dimostrazione che è loro possibile essere e fare. L’esempio le aiuta ad acquistare una maggior fiducia in se stesse». Lei è stata la prima donna a presiedere una commissione di inchiesta. «Non solo. Sono stata la prima donna a partecipare a una commissione di inchiesta. E sono convinta di doverlo al fatto che le nomine le ha proposte una donna, Nilde Jotti. Diciamolo con franchezza. Quando a fare le nomine erano gli uomini, mai sono stati sfiorati dall’idea che una donna potesse entrare in una commissione d’inchiesta». Quale contributo pensa di aver portato lei, specificamente, come donna? «Noi facciamo politica in un modo diverso. Siamo molto più concrete e meno ideologiche, abbiamo più capacità di arrivare a una soluzione di compromesso senza partire da Adamo ed Eva. Siamo più pragmatiche e, diciamolo, anche più oneste. Forse perché siamo arrivate al potere da poco e lo viviamo come un servizio, non come una passione personale. Infatti nessuna donna parlamentare è stata mai coinvolta in uno scandalo, in una inchiesta». C’è solidarietà tra voi, al di là delle posizioni politiche?«Eccome. Anche per la legge sulla violenza sessuale, su cui le donne dei vari partiti partivano da posizioni molto diverse, avremmo trovato un compromesso se non fosse stato per gli uomini che sono intervenuti. Credo anche che questa solidarietà sia l’unica carta vincente per allargare la presenza femminile in politica. Chi arriva ha anche una funzione promozionale, deve esserne consapevole e fare da treno per le altre. Altrimenti, non serve a nulla. La singola che arriva c’è sempre stata, è l’eccezione che conferma la regola. Ora è importante arrivare in molte». Spesso le donne denunciano la discriminazione da parte maschile. Però la scarsa rappresentatività femminile in Parlamento indica che la discriminazione c’è anche da parte delle donne, che non votano donna. Come lo spiega?«E’ un nodo da sciogliere. Me lo chiedo spesso anch’io, soprattutto in seguito alle manifestazioni di solidarietà che ho ricevuto. Come mai le donne, che paiono aver tanto bisogno di identificarsi in un modello femminile, poi non ci votano? Credo che le ragioni siano di due tipi. Primo, noi ci rifiutiamo ai meccanismi di selezione tradizionali, fatti con metodi duri e spietati che le donne non possono condividere. Clientelismo, spese altissime di organizzazione dei consensi e cosi via. In questo siamo più deboli, perché stiamo all’interno di una logica politica più seria. Poi, abbiamo meno appoggio dai partiti. L’esame, nei confronti delle donne, è più severo, e non finisce mai. Gli uomini possono permettersi qualche passo falso. Per noi, al primo sbaglio è finita. Ed è un peccato, perché la scarsa rappresentatività delle donne al Parlamento è un segnale del distacco che c’è tra la classe politica e il Paese reale». Il suo partito, la DC, è considerato particolarmente chiuso alle donne.«Forse era così una volta, oggi non lo è più. Ma il vero problema non è tanto il partito, quanto gli elettori. Il PCI ha molte donne perché è il partito che stabilisce chi riesce. Per gli altri partiti, è l’elettorato». Ma in tutti i partiti c’è una base pronta a votare per le candidature caldeggiate dalla dirigenza. «Si, ma alla fine conta molto il consenso che ogni politico si è saputo organizzare nella propria circoscrizione. E qui, come ho detto, noi donne siamo più deboli». C’è qualcosa che si può fare?«I problemi sono molti, le soluzioni lente. Intanto, bisogna dire che la vita di parlamentare può essere un grosso peso per una donna che non voglia rinunciare alla famiglia. Stare tutta la settimana a Roma, implica un sacrificio per chi ha marito e figli. In effetti le donne sono molto più rappresentate e attive a livello locale; anche perché nella soluzione dei problemi concreti, di vita quotidiana, si riconoscono molto bene». E per stimolare le donne a votare donna?«Qui è importante il ruolo dei mass-media, dei sindacati, delle associazioni femminili. Bisogna che le donne lottino per le altre donne. Gli uomini, gratuitamente, non ci danno nulla. E, soprattutto, è necessario che le donne comincino a rendersi conto che la partecipazione politica non è un diritto di parità: è prima di tutto un dovere. Il dovere di farsi carico della soluzione dei problemi, di non limitarsi a denunciarli. Sono convinta che la crisi di credibilità della classe politica potrebbe essere superata con una maggiore presenza delle donne, che hanno più moralità e più concretezza ». Lei pensa che sarebbe utile, a questo scopo, un ministero per la condizione femminile, come c’è per esempio in Francia?«Non ci ho mai creduto molto. La condizione femminile non è un fatto settoriale. investe tutti i problemi. Persino l’urbanistica cambia, tanto per fare un esempio, se si tiene conto delle esigenze delle donne che si muovono nella città. Quindi, o si mette su un superministero tale da incidere in ogni campo — e questo è praticamente impossibile — o è meglio una commissione rappresentativa di tutto il mondo femminile, che promuova battaglie di opinione perché non si perda d’occhio il quadro generale ». Di commissioni ora ne abbiamo due: quella presso il ministero del Lavoro, e quella del presidente del Consiglio. Non le sembra che sarebbe bastata una? «È troppo presto per dare giudizi. La seconda si è insediata da appena un mese. Comunque, una mi sembra più settoriale, per i problemi connessi al lavoro, l’altra delegata a seguire tutti gli sviluppi della condizione femminile ». In questi dieci anni, fra una conferenza mondiale e l’altra, la donna italiana secondo lei ha fatto progressi?«Enormi. Non bisogna dimenticare che da noi i diritti di parità risalgono appena al 1944. Eppure, abbiamo leggi più all’avanguardia di altri Paesi, in cui questi diritti sono acquisiti da più di cento anni. Certo, mancano spesso gli strumenti per applicare tali leggi in modo ottimale. Ma l’evoluzione è avvenuta così rapidamente! Bisogna avere pazienza, lasciare che anche il costume si evolva. D’altronde, guardando le coppie giovani, mi sembra che il cambiamento ci sia». Che cosa vorrebbe che gli uomini capissero?«Che la presenza femminile in politica, nei posti cosiddetti “di potere”, non serve, soltanto alle donne, ma serve a migliorare la qualità della società. Per tutti».

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