Libano, "I tribunali religiosi discriminano le donne": possono divorziare solo gli uomini
ROMA - In materia di diritti civili, nessuna delle 18 religioni confessate in Libano rispetta l'uguaglianza tra i sessi. Nella maggior parte dei casi, divorziare o separarsi è una prerogativa degli uomini che ottengono facilmente la custodia dei figli e possono permettersi i costi di un processo, spesso proibitivi per la partner. Questa ed altre violazioni sono al centro del report di Human rights watch (HRW) "Unequal and Unprotected" che denuncia la discriminazione di genere attuata dai tribunali religiosi che decidono sui diritti personali dei libanesi.Le leggi. In Libano il parlamento è diviso in due, metà onorevoli sono cristiani e metà musulmani. Una divisione che rappresenta un tentativo più o meno riusciuto di convivenza tra religioni. Per far fronte alla multitudine di confessioni, il governo di Beirut ha deciso di affidare la giurisdizione del diritto civile a 18 tribunali (uno per ciascuna confessione). I tentativi di adottare un codice civile uguale per tutti sono andati a vuoto; la resistenza delle autorità religiose e di alcuni rappresentati politici è stata tale che ancor'oggi le questioni "personali" sono giudicate in base alle norme dettate dalla giurisprudenza religiosa.A rimetterci sono le donne. Nonostante la differenza normativa, sembra che i 18 tribunali abbiano una caratteristica comune: la discriminazione di genere. "Le donne - afferma Nadim Houry, vicedirettrice di Hrw per il Medioriente - sono trattate igiustamente su tutta la linea". Una discriminazione riscontrata anche nella documentazione di Hrw che per redigere il rapporto ha analizzato 447 sentenze emanate di recente da tribunali religiosi su custodia e sostegno ai figli e 243 casi di divorzio. Il risultato è sempre lo stesso: discriminazione sistematica contro le donne che si traduce in sentenze arbitrarie, difficoltà di accesso alle procedure di divorzio o obblighi di pagamenti troppo onerosi.Differenze tra religioni. Secondo le leggi libanesi gli uomini sciiti, sunniti e drusi possono divorziare in qualsiasi momento, unilateralmente e senza causa. La musica cambia per le donne che hanno al contrario molta difficoltà a chiedere il divorzio sia per l'ostruzionismo della comunità sia per i prezzi proibitivi e la durata dei processi. In teoria per legge nel contratto di matrimonio può essere aggiunta una clausola che al momento del divorzio assicura pari diritti a entrambi i coniugi, ma a causa delle pressioni sociali raramente viene inclusa. Basti pensare che su 150 sentenze di tribunali islamici prese in considerazione, solo 3 prevedono questa clausola.Agli uomini basta poco. La discriminazione avviene anche all'interno dei tribunali cristiani dove alle donne raramente sono riconosciuti uguali diritti rispetto al coniuge. Su tutti, sono due le norme che più sottolineano la disparità di genere. Agli uomini cristiani infatti è permesso convertirsi all'Islam (secondo le leggi di quest'ultima l'uomo può avere fino a quattro mogli) senza divorziare, mentre la donna cristiana non può risposarsi senza aver ottenuto il divorzio. Altra discriminazione avviene sul fronte della violenza domestica. Secondo i tribunali cristiani la donna non può ottenere il divorzio se non in caso di "tentato omicidio". Custodia dei figli e sostentamento. Sette delle 27 donne intervistate da Hrw hanno dichiarato di non essersi rivolte ai tribunali religiosi per due motivi: il costo elevato del processo e il timore di perdere la custodia dei loro figli. Timore che trova fondamento nelle 101 sentenze di tribunali islamici, cristiani e drusi prese in considerazione da Hrw dove risulta che spesso il verdetto dei giudici non si basa sull'interesse del minore. Infatti nel decidere la custodia dei figli i tribunali non esaminano il comportamento del padre, mentre la donna è sottoposta a uno scrutinio minuzioso che spesso riflette pregiudizi sociali e stereotipi. "Ho costretto me stessa a sopportare più di quanto un essere umano può essere capace - afferma Mireille, una donna maronita che ha subito anni di abusi fisici, ma che ha chiesto il divorzio solo dopo la maggiore età dei figli - Le mie figlie, che sono la mia anima e la mia vita, sono state il motivo principale ... non riuscivo nemmeno a sopportare l'idea di perderle".Altra violenza è quella economica. Quasi la totalità delle donne ascoltate ha affermato di non aver chiesto il divorzio in quanto economicamente vulnerabili e dipendenti dal consorte. Una dipendenza dovuta anche al fallimento delle leggi nel riconoscere i contributi economici e non della donna come il valore del lavoro domestico non pagato o il concetto di proprietà coniugale. Inoltre, le aspettative culturali, religiose e tradizionali minano l'autonomia economica della donna e contribuiscono alla sua dipendenza dal marito. Un esempio è il caso di Amina. Il marito, sposato in base alla legge sunnita, per accordarle il divorzio le ha chiesto la cessione dei suoi diritti finanziari. Una condizione accettabile secondo il legale della donna. Un codice civile. Da decenni in Libano si discute sull'adozione di un codice civile che possa offrire un'alternativa a coloro che non intendono sottostare alle leggi dei tribunali religiosi. Un decreto datato 1936 invitava le diverse confessioni a presentare al governo i codici dei tribunali per esser ratificate dal Palarmento al fine di garantire il rispetto della Costituzione e dell'ordine pubblico. L'invito è stato raccolto dai tribunali cristiani ed ebraici, mentre un decreto successivo ha liberato i tribunali musulmani da tale obbligo. "Il parlamento libanese - scrive Hrw - dovrebbe adottare un codice civile opzionale che garantisca pari diritti a tutti i libanesi che desiderano sposarsi con rito civile e supervisionare tribunali e autorità religiose per garantire il rispetto dei diritti umani, garantendo la parità di diritti in tutte le questioni personali".
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