Afghanistan Papers. 18 anni di dubbi e bugie sulla guerra che gli Usa non hanno mai capito
Una storia segreta della guerra in Afghanistan, fatta di dubbi, bugie e statistiche manipolate. La controstoria di un conflitto che va avanti da 18 anni, basata su centinaia di interviste riservate in cui funzionari americani e alleati mettono in fila la lunga serie di errori che hanno caratterizzato la missione americana in Afghanistan dal 2001 a oggi. A pubblicare le oltre duemila pagine di documenti – sotto il nome di Afghanistan Papers – è il Washington Post, che sottolinea come il lavoro giornalistico sia frutto di una battaglia legale durata tre anni.
“In principio - osserva il quotidiano - la logica che ha guidato l’invasione dell’Afghanistan era chiara: distruggere al-Qaida, rovesciare i talebani e impedire una ripetizione degli attacchi terroristici dell′11 settembre”. Ma sono bastati pochi mesi a perdere il focus e far finire le ultime amministrazioni Usa in un pantano dall’eco vietnamita.
“Entro sei mesi – osserva il quotidiano - gli Stati Uniti avevano ampiamente realizzato ciò che si prefiggevano di fare. I leader di al-Qaida e dei talebani erano morti, catturati o nascosti. Ma poi il governo degli Stati Uniti ha commesso un errore fondamentale che ripeterà ancora e ancora nei successivi 17 anni”, come mostra l’enorme mole di documenti governativi ottenuti dal Post.
“In centinaia di interviste riservate che costituiscono una storia segreta della guerra, funzionari Usa e alleati hanno ammesso di essere andati in direzioni che avevano poco a che fare con al-Qaida o l′11 settembre. Espandendo la missione originale, hanno spiegato di aver adottato strategie di guerra fatalmente imperfette basate su ipotesi errate su un Paese che non capivano. Il risultato: un conflitto impossibile da vincere senza una facile via d’uscita”.
I documenti riportano le dichiarazioni insolitamente schiette di funzionari che hanno servito sotto i presidenti George W. Bush e Barack Obama, entrambi accusati di aver fallito nel loro compito più importante come comandanti in capo: escogitare una strategia chiara con obiettivi precisi e raggiungibili.
Quella in Afghanistan - secondo quanto emerge dai documenti - è diventata ben presto una guerra condotta alla cieca. Diplomatici e comandanti militari hanno ammesso di aver faticato a rispondere a semplici domande: chi è il nemico? Su chi possiamo contare come alleati? Come sapremo quando avremo vinto? Un buio totale, un clima di incertezza che sarebbe stato sistematicamente coperto parlando invece di “progressi” nella guerra in Afghanistan.
Le loro strategie differivano – sintetizza il WP - ma Bush e Obama hanno entrambi commesso degli errori iniziali dai quali non si sono più ripresi, secondo le interviste.
Dopo una serie di rapide vittorie militari nel 2001 e all’inizio del 2002, Bush decise di mantenere una forza leggera di truppe statunitensi in Afghanistan a tempo indeterminato per cacciare sospetti terroristi. Ben presto, tuttavia, fece piani per invadere un’altra nazione - l’Iraq - e l’Afghanistan scivolò in secondo piano. Troppo in secondo piano, secondo i suoi uomini di allora, una leggerezza che agevolò il ritorno dei talebani. Obama stracciò la strategia antiterrorismo di Bush approvando un piano diametralmente opposto: una massiccia campagna di controinsurrezione, sostenuta da 150.000 truppe statunitensi e NATO, nonché tonnellate di aiuti per un debole governo afgano. Contrariamente a Bush, Obama riuscì a imporre scadenze rigorose e mantenere la promessa di portare a casa tutte le truppe statunitensi entro la fine della sua presidenza. Ma anche la strategia di Obama era destinata a fallire. Funzionari statunitensi, NATO e afgani lo hanno criticato per la fretta nell’ottenere risultati e per l’eccessiva dipendenza da un governo afghano corrotto e disfunzionale. Peggio ancora, hanno accusato Obama di aver cercato di fissare date artificiali per porre fine alla guerra prima che finisse. Tutto ciò che i talebani dovevano fare era aspettarlo fuori.
“Ci sono state diverse ipotesi errate nella strategia: l’Afghanistan è pronto per la democrazia da un giorno all’altro, la popolazione sosterrà il governo in breve tempo, più di tutto è meglio”, ha dichiarato Bob Crowley, un colonnello dell’esercito in pensione che ha servito come consigliere per la controinsurrezione nel 2013 e 2014.
Gli Afghanistan Papers sono il frutto di una battaglia legale che ha impegnato il Washington Post per gli ultimi tre anni. Il quotidiano è così riuscito a ottenere note e trascrizioni, oltre a numerose registrazioni audio, di oltre 400 interviste governative. In un linguaggio aspro, i documenti rivelano che le persone direttamente coinvolte nella guerra non potevano manifestare i loro dubbi sulla strategia e sulla missione, anche se Bush, Obama e, più tardi, il presidente Donald Trump dissero al popolo americano che era necessario continuare a combattere.
“Che cosa stavamo facendo in quel Paese?”, si domanda un funzionario americano non identificato che ha servito come collegamento con la NATO. “Quali sono i nostri obiettivi? Costruire una nazione? I diritti delle donne? Non è mai stato del tutto chiaro nella nostra mente quali fossero gli obiettivi e le scadenze stabiliti”.
Negli ultimi 18 anni, oltre 775.000 truppe statunitensi sono state schierate in Afghanistan, molte di queste ripetutamente. Di questi, 2.300 sono morti sul campo e 20.589 sono tornati a casa feriti, secondo i dati del Dipartimento della Difesa. Oggi circa 13.000 soldati statunitensi sono ancora in Afghanistan. L’esercito degli Stati Uniti riconosce che i talebani sono più forti ora che in qualsiasi momento dal 2001. Eppure non vi è stata una completa contabilità pubblica per i fallimenti strategici dietro la guerra più lunga della storia americana.