16 dicembre - Notiziario in genere
Arabia Saudita, per le donne finisce la segregazione nei ristoranti. In Brasile è polemica contro Netflix e il suo Gesù gay. Weinstein torna a parlare. Dopo gli arresti, a cantare l’inno femminista sono le deputate turche. Di fronte al governo.
Arabia Saudita
L’Arabia Saudita non richiederà più ai ristoranti di avere ingressi separati per uomini e donne. A dirlo è il governo, a riportarlo è la Bbc. Fino a questo momento, i locali erano obbligati ad avere un ingresso per donne e famiglie e un altro, separato, per i soli uomini. E all’interno dei ristoranti, le famiglie e le donne erano solitamente separate dagli uomini da degli schermi.Anche se nella vita di ogni giorno le restrizioni si erano già attenuate, prosegue la Bbc, con molti ristoranti, caffè e altri luoghi di incontro che non impongono più la segregazione.
Una serie di radicali riforme sociali in Arabia Saudita è stata accompagnata da un’intensificata repressione del dissenso. All’inizio di quest’anno, un decreto reale ha permesso alle donne saudite di viaggiare all’estero senza il permesso di un tutore maschile, e nel 2018 il regno del Golfo ha posto fine a un decennio di divieto di guida per le donne. Restano comunque in vigore molte leggi discriminatorie nei confronti delle donne. E diverse persone, anche importanti sostenitrici dei diritti delle donne, sono state arrestati anche mentre il governo aveva comunque avviato alcune riforme.
Il ministero saudita dei comuni ha spiegato che i ristoranti non avranno più bisogno di mantenere ingressi separati per donne e uomini: si tratterà, eventualmente, di una decisione lasciata ai gestori.
Le deputate turche
La settimana scorsa abbiamo parlato del grido di battaglia “El violador eres tu (Lo stupratore sei tu)” che dal Cile si è diffuso in tutta Europa. Arrivando anche in Turchia, a Istanbul, dove però una settimana fa le donne che danzavano sono state attaccate dalla polizia. E ci sono stati sette arresti. Il governatore di Istanbul, scrive ReteKurdistan, ha motivato gli arresti con il testo della performance, che costituirebbe un reato. Nel testo vengono attaccate le strutture che sopportano la violenza contro le donne, la rendono possibile e la eseguono loro stessi: non è colpa delle vittime si trovano “nel posto sbagliato“ o “indossano qualcosa di sbagliato“, ma dei poliziotti, dei giudici, dello Stato, del Presidente. La performance a Istanbul è stata organizzata dalla piattaforma Kadın Cinayetlerini Durduracağız (Noi fermeremo i femminicidi), un’organizzazione turca per i diritti delle donne, che registra le violenze contro le donne e si è data come compito la denuncia pubblica dei femminicidi.
Pochi giorni dopo, il grido di battaglia femminista è sbarcato nell’assemblea generale turca: qui le deputate hanno cantando la versione locale dell’inno virale cileno femminista per evidenziare la crisi del femminicidio nel paese. Un video di Deutsche Welle mostra le otto donne legislatrici del principale partito popolare repubblicano dell’opposizione che battono le mani sui banchi mentre interpretano la cosiddetta protesta del collettivo Las Tesis.
Altri colleghi si sono alzati in piedi e hanno mostrato una ventina di foto di vittime di femminicidio in Turchia, mentre il governo – tutti uomini, naturalmente, restava a guardare. “Grazie a te, la Turchia è l’unico paese in cui devi avere l’immunità (parlamentare) per partecipare a questa protesta”, ha detto la deputata Sera Kadigil a Suleyman Soylu, ministro degli interni della Turchia, prima della protesta. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, ricorda Reuters, affermano che il 38% delle donne in Turchia sono state violentate da un partner durante la loro vita, rispetto al 25% circa in Europa.
I dati non ufficiali raccolti da un gruppo di attivisti e attiviste mostra, scrive Reuters, che le donne uccise dagli uomini nel paese lo scorso anno sono state 440: più del doppio rispetto al 2012 quando Ankara ha approvato una legge per proteggere le donne.
La Turchia non ha statistiche ufficiali sul femminicidio.
Che fine Harvey Weinstein?
“Per le donne ho fatto più di chiunque”. Parola di Harvey Weinstein. Proprio l’uomo da cui – dalle accuse nei suoi confronti – ha preso piede il movimento #Metoo in tutto il mondo. Il produttore cinematografico, accusato penalmente di abusi sessuali, ha, a modo suo, ragione. Lo ha detto in una recente intervista con il New York Post dalla sua stanza d’ospedale a NYC, da cui è stato poi dimesso dopo un intervento chirurgico alla schiena a cui è stato sottoposto.
Una delle grandi novità dell’intervista è che Weinstein ora penserebbe che la gente stia dimenticando tutto quello che, nel corso della sua carriera, avrebbe fatto per le donne. Dice di sentirsi un “uomo dimenticato”. “Ho prodotto più film diretti da donne e su donne di chiunque altro, e sto parlando di 30 anni fa. Non di ora, che ormai è di moda. L’ho fatto prima io! Sono stato pioniere”, dice. “Tutto è stato sventrato a causa di quello che è successo. Il mio lavoro è stato dimenticato”.
Fa anche degli esempi, Weinstein, di quanto avrebbe fatto per le donne. Cita Gwyneth Paltrow, cui sostiene di aver dato 10 milioni di dollari per recitare nel film del 2003, “View from the Top” – in italiano lo abbiamo tradotto con “Una hostess tra le nuvole” – più di quanto guadagnasse qualsiasi altro uomo in quel momento. Dice anche di aver fatto ottenere a Felicity Huffman una nomination all’Academy Award lanciandola in “Transamerica” ….. una mossa che considera super progressista, e per la quale pensa di meritare un riconoscimento, si legge sul magazine Tmz.
Dice anche che Madonna gli ha fatto conoscere il documentario, “Paris is Burning” – che parla della cultura drag della città – e rivendica di averlo portato all’attenzione del pubblico negli Stati Uniti e oltre, appropriandosi dei diritti di distribuzione.
“Se ti ricordi chi ero allora, potresti voler mettere in discussione un po’ di quello che sta accadendo ora“, dice. Ma non risponde alle accuse che gli sono state mosse.
Harvey Weinstein andrà a processo il 6 gennaio. Cinque sono le accuse, tra cui violenza sessuale predatoria, atti sessuali criminali e stupro. Sostiene di essere innocente.
Il coming out di Gesù
In Brasile c’è un film che sta sollevando un putiferio. Il deputato Eduardo Bolsonaro, terzogenito del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, ha protestato insieme col movimento evangelicale brasiliano contro il film Netflix La prima tentazione di Cristo, che, realizzato dal seguitissimo canale comico YouTube Porta dos Fundos come speciale natalizio per la piattaforma, dura 46 minuti ed è vietato ai minori di 14 anni. Ne scrive GayNews.
«Netflix Brasile ha appena lanciato uno “Speciale di Natale”, in cui Cristo (Gregorio Duvivier) è gay e ha rapporti con Fabio Porchat, oltre a rifiutarsi di predicare la parola di Dio, scrive Bolsonaro figlio su Twitter. Siamo a favore della libertà di espressione, ma vale la pena attaccare la fede dell’86% della popolazione? A voi la riflessione».
Il lungometraggio del collettivo satirico brasiliano ‘Porta Dos Fundos’ è disponibile anche sulla versione italiana della piattaforma e ha innescato una valanga di polemiche sui social oltre a una petizione perché venga rimosso. Ma Netflix lo difende: “libertà di espressione”. Anche pastori e parlamentari di gruppi evangelicali, sostenitori del governo brasiliano, hanno espresso la loro condanna attraverso un documento che ha già raccolto circa 400mila firme di sostegno, scrive ancora Gay News.Joel Teodoro, pastore collaboratore della Catedral presbiteriana di Rio de Janeiro, ha lanciato un monito ai suoi fedeli: «Dite addio a Netflix». È componente di The Gospel Coalition (Tgc), rete di chiese evangeliche riformate, di cui fanno parte numerose comunità neopentecostali brasiliane.
Il movimento evangelico neoriformato si è diffuso sempre di più in Brasile, dove gode di un potente sistema mediatico che include RecordTv. La seconda rete televisiva brasiliana, scrive GayNews, è di proprietà di Emir Macedo, fondatore della Igreja Universal do Reino de Deus, una delle comunità neo-pentecostali più potenti al mondo con oltre 6 milioni di fedeli in 127 Paesi.
Il film racconta la storia di un Gesù che deve presentare alla famiglia e ai suoi discepoli il suo fidanzato Orlando. Di ritorno da un viaggio di 40 giorni nel deserto, dovrà confrontarsi anche con la dura verità sulla propria paternità, ovvero la faccenda, tutt’altro che banale, della parentela con Dio. Un film quindi dai tratti fortemente satirici, irriverente, dissacrante. Da parte sua Duvivier, interprete del film con Fábio Porchat e Antonio Tabet nonché co-fondatore di Porta dos Fundos, ha ironizzato sui social in merito alla proposta di boicottare la serie televisiva. Il collettivo nato su YouTube ha già portato a casa un Emmy come miglior commedia per “Se Beber, Não Ceie”
Musiche: Suzanne Vega, Tom’s Diner/Un violador en tu camino
In copertina The First Temptation of Christ/Netflix
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