Black (girl) power - IlGiornale.it
A ddio nasini alla francese, algide veneri scandinave, temperamentose rotondità mediterranee. Nella bellezza vige il «black power» e chissà mai che qualcuno possa risentirsi di questo slogan quasi inevitabile che applichiamo noi (ma giureremmo che non saremo i soli) a un dato di fatto incontrovertibile: da sabato sera la bellezza mondiale è tutta di colore. I troni dei cinque principali concorsi di bellezza del pianeta sono tutti occupati da donne dalla pelle color dell'ebano. L'ultima a unirsi al gruppo è stata la ventitrenne Tori-Ann Singh, laureata in Psicologa, che arriva da Saint Thomas, in Giamaica, ma vive e lavora negli Stati Uniti, dove si è laureata alla Florida State University. Ed è simbolico che l'all in sia avvenuto all'ExCel di Londra, in quel Regno Unito che qualche ora prima, consegnandosi a Boris Johnson, ha di fatto obliterato il suo addio non solo alla Vecchia Europa della politica e dei palazzi ma anche a quella di canoni estetici evidentemente non più così globali: dal 1951 al 1969 undici miss Mondo su 19 furono europee (il 58 per cento), dal 1970 solo 14 su 50 (il 28 per cento).
L'affascinante psicologa giamaicana, che ha preceduto altre due bellezze esotiche (naturalmente secondo i nostri canoni), la francese della Guadalupa Ophély Mézino e l'indiana Suman Rao, ha subito iscritto la sua vittoria in quota «Girl power» con un tweet tenero e un po' furbetto accompagnato da ua sua foto da ragazzina: «A questa bambina di Saint Thomas, in Giamaica, e a tutte le ragazze di tutto il mondo dico: credi in te stessa. Sappi che meriti e sei in grado di realizzare i tuoi sogni. Questa corona non è mia, ma tua. Hai un obiettivo». Anche se va detto che comunque è una donna che vince Miss Mondo, quindi perché farne una questione di affermazione di genere?
Non sorprenda quindi che sia una «power girl» a essere scelta come la più bella del mondo. Sorprenda piuttosto che dei cinque titoli mondiali di bellezza siano tutti «black»: oltre a Tori-Ann ci sono Zozibini Tunzi, l'elegantissima ventiseienne nera sudafricana che qualche giorno fa si è imposta come Miss Universo (anche lei ispirata dal «Girl Power»: «Sono cresciuta in un mondo dove una donna con il mio aspetto, il mio tipo di pelle e di capelli, non è mai stata considerata bella. Penso oggi sia tempo che questo finisca. Penso che noi donne siamo gli esseri più potenti del mondo, dobbiamo avere eguali opportunità. Questo è ciò che dovremmo insegnare alle bambine, a conquistare spazio»); Cheslie Corrinne Kryst, una presentatrice televsiva che a inizio dello scorso maggio indossò la corona di Miss USA (la più «anziana» della storia a 28 anni e 4 giorni); Kaliegh Garris, diciannovenne detentrice di Miss Teen Usa; e Nia Imani Franklin, ventiseienne Miss America in carica. Cinque ministre di un governo della bellezza decisamente monocolore.
Possiamo interpretare in molti modi questo dominio di un solo canone estetico, che certamente non può essere una casualità. E proviamo a farlo pur sapendo di muoverci in un terreno sensibile, pieno di trappole ideologiche e controideologiche, a cui cercheremo comunque di sfuggire. Diciamo che il fatto che cinque bellezze di colore si vedano consegnare gli scettri delle più belle del mondo non significa necessariamente un passo avanti sul terreno del riconoscimento dei diritti delle donne di colore. Anzi il pericolo che intuiamo è quello che le donne «colored» si vedano srotolare davanti ai loro piedi il red carpet dei concorsi di bellezza come ennesima forma di ghettizzazione, magari questa volta con il benefit di fascia, scettro e lustrini. Un contentino, insomma, senza nessun vero significato politico. Crediamo che la vera parità razziale non passi per questo tipo di affermazione. Crederci sarebbe bello. Molto bello. Miss utopia.