30 dicembre 2019 - Notiziario in Genere
Rojava: violenze diffuse contro le donne curde. Molotov contro il film di Netflix su Gesù (gay). Canada: assassinata l’attivista transgender Julie Berman. E infine: la musica della prima orchestra di donne arabe e del Mediterraneo in Italia e l’occhio empatico della prima fotoreporter (donna) dell’agenzia Magnum.
Donne curde target numero 1
A due mesi dall’offensiva turca, nel Nordest della Siria non si fermano le violenze contro i curdi: attacchi, rapimenti, stupri, omicidi. A parlare è Lana Hussein, combattente dell’Ypj, il Gruppo di Difesa delle Donne: «Le donne sono il target numero 1: per noi il rischio è altissimo». Rapimenti, stupri, omicidi. E poi imposizione della lingua turca e islamizzazione forzata. A due mesi dall’inizio dell’aggressione turca, scrive Alice Facchini su Osservatorio Diritti la situazione nel Rojava, regione autonoma del Kurdistan in Siria, non è migliorata. Nonostante la sottoscrizione di due accordi di pace, uno tra Turchia e Stati Uniti, l’altro tra Turchia e Russia. E le atrocità colpiscono soprattutto le donne.
La missione turca era nata, si legge ancora su Osservatorio Diritti, per stabilire una safe zone lungo la striscia nel nord-est della Siria, dopo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di ritirare le truppe americane dalla regione. Ma secondo gli attivisti curdi, il vero obiettivo dei turchi non è di limitarsi a quei 30 chilometri ma di occupare tutta l’area.
«La Turchia non sta rispettando il cessate il fuoco sancito dagli accordi e gli attacchi continuano», dice l’attivista curda Lana Hussein a Osservatorio Diritti. «Dal 17 ottobre al 3 dicembre ci sono stati 143 attacchi di terra, 124 dal cielo e 147 di artiglieria pesante. Sono state usate anche armi chimiche e munizioni al fosforo bianco. Per non parlare dei massacri e delle atrocità compiute contro la popolazione civile». Si parla di 1.100 chilometri invasi fino ad oggi e 88 villaggi occupati. Dall’inizio dell’offensiva 478 civili hanno perso la vita, 1.070 sono stati feriti e più di 300 mila sfollati.
«Le donne sono il target numero 1: per noi il rischio è altissimo», racconta Lana Hussein, che da due anni fa parte dell’Unità di protezione delle donne (Ypj), l’esercito femminile curdo che insieme all’Ypg, l’Unità di protezione popolare, è riuscito a proteggere il Rojava dall’avanzata dell’Isis, combattendo al fianco dell’esercito degli Stati Uniti. «Solo ad Afrin 40 donne hanno perso la vita, 100 sono state ferite e 60 stuprate. Altre mille sono state rapite e nessuno sa che fine abbiano fatto. Anche all’interno del Ypj, 30 combattenti sono state rapite e ancora oggi tre sono nelle mani dei mercenari, che stanno chiedendo riscatti alle loro famiglie. Questi atti sono emblematici della mentalità che i turchi hanno nei confronti delle donne». Lana Hussein, si legge ancora su Osservatorio Diritti, si trova ancora oggi nel nord-est della Siria, ma non può rivelare il punto esatto per motivi di sicurezza.
Almar’à
Tredici donne, nove provenienze geografiche diverse, un sound unico. È Almar’à, la prima orchestra di donne arabe e del Mediterraneo in Italia. Abbiamo appena ascoltato “Rim Almar’à”, il loro primo singolo. Il titolo vuol dire “Giovane donna”, ed è la promessa d’amore a un uomo che sta partendo, forse per sempre. Un pezzo che appartiene alla tradizione araba tunisina e ne mantiene la lingua, ma che viene rielaborato sia nel testo che negli arrangiamenti fino ad acquistare un sound unico, che unisce la forza della linea melodica araba all’armonizzazione occidentale.
Almar’à significa “donna con dignità”: è un progetto che nasce dall’esigenza di sensibilizzare su un presente che superi gli stereotipi legati al mondo arabo. In questi giorni se ne è parlato su vari media, perché l’orchestra si è esibita in concerto a Napoli. Musiciste di ogni età, professioniste e non, cantanti tradizionali e moderne; suoni che partono dalla musica araba, attraversano quella classica ed entrano nei territori del jazz; strumenti orientali e occidentali insieme.
Molotov contro La prima tentazione di Cristo
Ne avevamo parlato nelle scorse settimane qui su Radio Bullets: in Brasile si sono scatenate grandi polemiche per il film umoristico in 46 minuti A Primeira Tentação de Cristo (La prima tentazione di Cristo) che, realizzato dal noto gruppo di YouTuber Porta dos Fundos e trasmesso come speciale natalizio su 3 dicembre, mostra un Gesù gay in visita alla famiglia con il presunto fidanzato Orlando. E non si arresta l’escalation delle polemiche: all’alba del 24 dicembre la sede di Porta dos Fundos a Rio de Janeiro è stata colpita da alcune bombe Molotov, si legge su GayNews. Non ci sono stati feriti. L’incendio è stato domato da una guardia di sicurezza.
Pastori e parlamentari di gruppi evangelicali, sostenitori del governo Bolsonaro, hanno espresso la loro condanna attraverso una petizione lanciata da The Gospel Coalition (Tgc), rete di chiese riformate, di cui fanno parte numerose comunità neopentecostali brasiliane, ricorda ancora GayNews. Con oltre 2 milioni di firme è stato chiesto alla piattaforma streaming statunitense di cancellare la comedy in quanto offensiva del sentimento cristiano. Contro Porta dos Fundos e Netflix anche il deputato Eduardo Bolsonaro, terzogenito del presidente del Brasile.
Porta dos Fundos, il cui canale YouTube conta 16.200.000 persone abbonate, ha condannato in un comunicato «qualsiasi atto di violenza», auspicando che «i responsabili di questi attacchi siano trovati e puniti». «Andremo avanti, più uniti, più forti, più ispirati e fiduciosi che il Paese sopravviverà a questa tempesta di odio e l’amore prevarrà insieme alla libertà di parola», hanno twittato il giorno di Natale.
In Canada
Ancora da GayNews: è morta il 22 dicembre in ospedale a Toronto, in Canada, a seguito di ferite da arma da fuoco alla testa, l’attivista 51enne Julie Berman. La polizia, che l’aveva trovato moribonda nella sua casa lungo Brunswick Avenue, ha arrestato il 29enne Colin Harnack, presente sul posto, con l’accusa di omicidio di secondo grado.
Impiegata come parrucchiera, Julie Berman era – si legge su GayNews – una figura di spicco dell’associazione transgender The 519, che l’ha vista impegnata come attivista per oltre tre decenni. Memorabile il suo discorso durante il Transgender Day of Remembrance (TDoR) del 2017, in cui aveva parlato della gravità della transfobia – lei che era stata vittima più volte di violenze in passato – e dell’omicidio di un’amica trans. Negli ultimi due anni sono state tre le persone transgender assassinate a Toronto.
Inge Morath e la sua Leica
“Non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla”. Parola di Arthur Miller, che così descriveva sua moglie. Chiudiamo infatti il notiziario di oggi con un invito: quello, per chi può, al Museo di Roma in Trastevere per la prima retrospettiva italiana di Inge Morath. Inge è stata la prima fotoreporter donna entrata a far parte della famosa agenzia fotografica Magnum Photos.
Viaggiatrice instancabile, poliglotta, donna dai poliedrici interessi e di profonda cultura – ricorda il sito del museo – Morath nasce a Graz, in Austria, nel 1923. I rapporti lavorativi con personalità quali Ernst Haas, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, contribuiscono a chiarire l’evoluzione professionale della Morath e il personale stile fotografico nutrito degli ideali umanistici successivi alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche della fotografia quale “momento decisivo” come la definì Cartier-Bresson.
Nel corso della sua carriera ha realizzato reportage fotografici in Spagna, Medio Oriente, Stati Uniti, Russia e Cina, tutti preparati con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere le ha permesso di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto e profondo con la gente. Si preparava sempre, prima di un viaggio, a cominciare dallo studio della lingua del posto. Tanto da parlare persino il mandarino. Preparazione, conoscenza, empatia. Così può giungere al momento magico, quello della «chiusura dell’otturatore. Un momento di gioia, paragonabile alla felicità del bambino che in equilibrio in punta di piedi, improvvisamente e con un piccolo grido di gioia, tende una mano verso un oggetto desiderato».
La mostra si sviluppa in 12 sezioni che ripercorrono tutte le principali esperienze professionali e umane della Morath, attraverso circa 140 fotografie e decine di documenti originali. Compaiono anche immagini, realizzate da grandi maestri come Henri Cartier-Bresson e Yul Brinner, che ritraggono Inge Morath in diversi momenti della sua carriera.
In copertina giovane donna tunisina indossa il costume tradizionale. Inge Morath/Magnum Photos
In copertina podcast Kurdish YPG Fighters. Kurdishstruggle/Flickr
Musica: “Rim Almar’à”. Almar’à – l’orchestra delle donne arabe e del Mediterraneo è composta da: Dania Alkabir Alhasani – Valentina Bellanova – Sana Ben Hamza – Derya Davulcu – Dima Dawood – Eszter Nagypal – Hana Hachana – Nadia Emam – Silvia La Rocca – Sade Mangiaracina – Kavinya Monthe Ndumbu – Vera Petra – Yasemin Sannino
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