Stampa

Violenze sulle donne, le donne dell'est denunciano al primo schiaffo, le musulmane sopportano per anni

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Genny Giordano è psicoterapeuta e da quindici anni lavora con le donne che subiscono violenza maschile. È vicepresidente di Iside, cooperativa sociale che gestisce i Centri Antiviolenza di Mestre, Noale e Castelfranco Veneto: “Vediamo almeno un terzo di donne straniere, moltissime musulmane - racconta - abbiamo anche donne dell’Est, loro sono delle vere amazzoni, reagiscono subito ai maltrattamenti. Tante musulmane invece sopportano per anni”.

L’indagine Istat sulla violenza contro le donne in Italia ha incluso per la prima volta le straniere nel 2014, e dà ragione a Genny. Le straniere subiscono violenza fisica o sessuale più o meno quanto le italiane (31,3% e 31,5%). Tuttavia, la violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro il 19,6% per le italiane), mentre la violenza sessuale è più frequente fra le italiane (16,2% delle straniere contro il 21,5%). Le forme gravi sono più diffuse tra le straniere (7,7% e 5,1%). Le italiane subiscono soprattutto violenze sessuali meno gravi, come molestie da parte di sconosciuti, le donne straniere, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Considerando le prime sei cittadinanze di straniere residenti in Italia, le donne che dichiarano più violenze sono le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%), seguono le donne marocchine (21,7%), albanesi (18,8%) e cinesi (16,4%). Per le donne straniere nella maggior parte dei casi (68,9%) la violenza subita dal partner, attuale o precedente, è iniziata già nel paese di origine. Per il 20% la violenza è relativa ad una relazione iniziata in Italia. Sono violenze efferate: le straniere segnalano ferite (44,5%) e temono per la loro vita (44,2%), eppure fra loro è più bassa la quota di donne che definiscono questi fatti come “molto gravi” (36,6%).

Perché donne provenienti da paesi dove la sottomissione femminile è legge, cultura, precetto religioso, dichiarano abusi, stupri, maltrattamenti meno delle altre, per paura, vergogna, ignoranza della legge.

Linda Laura Sabbadini, stimata in tutto il mondo come una pioniera delle statistiche di genere e Direttrice del Dipartimento di statistiche sociali e ambientali dell’Istituto, presentando la ricerca Istat ha detto di non essere stupita se le donne dell’est Europa dichiarano di aver subito violenza molto più di marocchine e albanesi, e la denuncino di più: “Non è detto che subiscano più violenza delle altre. Nei paesi dell’est Europa le donne godono degli stessi diritti degli uomini e la violenza maschile sulle donne è un reato. Se qui vengono abusate o picchiate sono già consapevoli di potersi rivolgere alla polizia, al magistrato e ai servizi per fermare il maltrattante, allontanarlo e ottenere il divorzio. Ne parlano quindi anche di più”. E’ molto più difficile invece per le immigrate da paesi dove la violazione dei diritti umani è la norma, o lo è stata fino a ieri, donne e bambini appartengono agli uomini per legge e la violenza maschile non solo non è punita, ma è istituzionalizzata e socialmente accettata. La scrittrice italo-somala Ubah Cristina Ali Farah commenta: “Islam e violenza sulle donne è tema delicatissimo. La violenza c'è senza dubbio, ma la disubbidienza delle donne non era scontata. Invece di leggere questi dati soltanto come indice di crescente violenza nelle famiglie di immigrati musulmani, a me salta subito all'occhio il fatto che le donne cerchino di liberarsi e denuncino. E’ troppo diffusa in Occidente l'idea delle donne musulmane meramente passive e succubi all'autorità maschile”.

L’assalto di Colonia ha reso lampante una contraddizione fra la libertà femminile e la cultura degli immigrati da paesi dove la sottomissione delle donne è legge e fondamento dell’ordine sociale. Esiste una inaccettabile reticenza di sinistra a criticare l’oppressione delle donne nelle società islamiche, a schierarsi con le femministe musulmane minacciate di morte: Hirsi Ali, Taslima Nasreen, Irshad Manji, Ziba Mir-Hosseini, Zeinah Anwar. Nella sinistra europea serpeggia piuttosto la preoccupazione – e in Italia è vero terrore - che tenere libertà e diritti delle donne come dirimenti e non negoziabili dia una mano alla propaganda razzista e populista delle destre contro immigrazione e rifugiati. E se fosse esattamente il contrario, se la libertà e la inviolabilità delle donne fossero riconosciute come misura della civiltà? Le occidentali sono infinitamente più libere delle immigrate che vengono dagli stati islamici, tuttavia è bene ricordare a chi ancora non lo ha preso sul serio (per esempio il nostro Governo) che un terzo delle donne europee subisce violenza fisica e sessuale soprattutto fra le mura domestiche, senza distinzione d’età, classe sociale, scolarizzazione e censo. Il dato è altissimo pure nei paesi più avanzati: in Germania il 27,9%, in Danimarca 22,19%, in Norvegia 26,8%.

In Italia i musulmani sono un milione di persone, le donne sono 400 mila. Come sono trattate dai loro uomini e nelle loro comunità? Le operatrici dei Centri Antiviolenza ne incontrano molte che chiedono aiuto per uscire dall’oppressione, da violenze fisiche e psicologiche. Finanziati poco e male, oggetto di continui tentativi di delegittimazione, i Centri Antiviolenza esistono da trent’anni in tutta Italia e 70 sono associati nella Rete nazionale D.i.Re. La loro esperienza è inestimabile per aprire uno squarcio sulla realtà della violenza sulle straniere in Italia.

Nadia Somma, blogger e attivista del centro antiviolenza Demetra di Lugo di Romagna spiega: “Secondo me la condizione delle donne mussulmane è differente rispetto alle altre perché sono soggette a una subordinazione nei confronti del padre, del marito e della famiglia che non si riscontra in altre culture. Negli ultimi anni la percentuale delle donne italiane che si rivolgono a noi è rimasta pressoché invariata, sono aumentate le straniere. Il 58% delle donne accolte è costituito da italiane, mentre la restante percentuale, il 42% da donne di altra nazionalità. il 16% vengono dai Paesi dell'Est europeo, un altro 16% sono del nord Africa, il restante 10 per cento di altre nazionalità. Se si rapporta questo dato all’incidenza di stranieri sul totale della popolazione locale siamo di fronte a un dato rilevante. Le donne musulmane sentono molto il peso del giudizio della famiglia e della loro comunità. Lasciare il marito è un atto forte, molte drammaticamente e con angoscia ci riportano la paura di essere emarginate per sempre dalla loro comunità o dalla famiglia, marchiate come ‘puttane’. Molte hanno rinunciato, sono tornate col marito di fronte alla pressione del padre che ha intimato loro di rientrare a casa nonostante le violenze. Le donne dei Paesi dell'est a mio giudizio sono molto più autonome anche rispetto alle italiane, una polacca, una rumena denunciano al primo schiaffo”.

Le ragioni di questo divario sono racchiuse in quel 73% di straniere in Italia che non definiscono “fatto grave” aver paura di essere uccise dal partner. Fabio Roia, magistrato del tribunale penale di Milano, ha spiegato alla 27ora che queste donne “faticano a capire quando l’offesa che ricevono e che può, teoricamente, essere accettata e non condannata nella cultura di appartenenza, superi il limite di tollerabilità. Spesso, nella testimonianza, ci troviamo di fronte a donne che non si rendono conto che quanto raccontano costituisce una forma di maltrattamento. Il doversi concedere al marito anche contro voglia, non poter uscire di casa sole, non poter gestire relazioni autonome con amiche o parenti vengono ritenute cose normali, ma secondo i parametri europei del diritto sono violenza". Oria Gargano di Befree, associazione che gestisce uno sportello antiviolenza all’ospedale San Camillo di Roma, dice che dopo l’istituzione del reato di clandestinità le donne straniere che si rivolgono a loro sono diminuite. “Ci sono molte differenze a seconda della nazionalità, e anche fra le islamiche: una donna tunisina non è uguale a un’algerina. Una bengalese o una pakistana possono subire per anni, un’ucraina invece si ribella subito”.

Barbara Spinelli, avvocata bolognese, autrice di Femminicidio, dice: "Le straniere che subiscono la violenza in famiglia sono doppiamente discriminate, come donne e come migranti. Se arrivano in Italia tramite il ricongiungimento familiare tollerano situazioni di violenza domestica anche intollerabili, perché temono di ritrovarsi clandestine. Se hanno figli hanno paura di denunciare e perdere la genitorialità”. La legge italiana dice che dopo sei mesi dalla separazione una donna arrivata in Italia grazie al ricongiungimento familiare perde il permesso di soggiorno, a meno di non ottenerne uno per lavoro. Ma per le donne delle comunità più chiuse e tradizionali è difficilissimo trovare un lavoro.

Fonte (click per aprire)

Aggiungi commento

I commenti sono soggetti a moderazione prima di essere pubblicati; è altrimenti possibile avere la pubblicazione immediata dei propri commenti registrandosi ed effettuando il login.


Codice di sicurezza
Aggiorna